I dialoghi musicali di Enzo Avitabile
Black Tarantella è il nuovo album di Enzo Avitabile uscito lo scorso marzo per l’etichetta CNI, che in poco settimane ha raggiunto i vertici di vendite di iTunes ed entrato nella classifica FIMI. Da sempre aduso alle collaborazioni, Avitabile questa volta condivide la scena con una dozzina di star italiane e mondiali del rock, del pop, della cosiddetta musica del mondo. Black Tarantella è opera che raccoglie passioni, ricerca musicale e poetica, tensione civile, incontri sonori, esperienze nei più grandi festival world music in giro per il mondo. Quello del compositore partenopeo è un percorso artistico senza pari in Italia, da Salvamm’ o munno a Festa, Farina e Forca, da Sacro Sud a Napoletana – album pluripremiato, che ha raccolto la Targa Tenco per il miglior disco in dialetto e il “folk award” di Loano – dalla Sinfonia La Lazzara all’emozionante cantata scenica Exeredati Mundi presentata lo scorso anno al Napoli Teatro Festival. Di Black Tarantella, parliamo con compositore-sassofonista-cantante partenopeo, presto protagonista anche di una pellicola girata dal premio Oscar Jonathan Demme.
Come nasce Black Tarantella?
Vivo Black Tarantella come omaggio ad una sinonimia allegorica dei nostri tempi, che è figlia della cultura popolare urbana. Un omaggio alla mia terra, Napoli nord, a quello che chiamo asse canapa, quell'area che va da Secondigliano ad Aversa, dove una volta si coltivava la canapa e dove ora passa l'Asse Mediano. Proprio in questa zona è fortemente sentita questa sinonimia con black, che rimanda al meticciato culturale, ma anche alle difficoltà della vita quotidiana: come si dice da noi: “A' vec black, cchiù nera da ' mezanotte'” (che significa: “La vedo nera, più nera della mezzanotte”, ndr). La tarantella è uno dei nostri simboli di riconoscimento, ma nella lingua popolare è anche la vita siamo costretti a vivere giorno per giorno: “Sta’ vita è na tarantella”, si dice. Da questo richiamo alla doppia possibilità di una tarantella che può essere anche black, non deve essere a tutti costi bianca, è nata l'idea di una doppia interpretazione anche della musica, quindi non solo del materiale sonoro ma anche della parola. Se la world music è la musica del mondo, questo lavoro è la musica dei mondi interiori, è un disco multi-espressivo, dove il mio il testo è la fonte di partenza su cui ciascun artista coinvolto interviene con il suo linguaggio. Non volevo realizzare un semplice disco di duetti, ma volevo un disco che raccogliesse dei dialoghi. Partendo dalle mie canzoni, ho cercato di coinvolgere amici e grandi artisti internazionali, che si raccontassero e raccontassero quelle stesse storie, ma dal loro punto di vista. Agli artisti che mi hanno onorato con la loro partecipazione ho detto: “Potete anche dissentire, avere una posizione opposta rispetto al mio scritto che, definisco testo fonte dell’evento, Non è accaduto! Ma mi è piaciuto tanto il rafforzamento di un’idea o la propria idea espressa attraverso il mondo di ciascun artista. Quando in “No è no” entra Franco Battiato, il suo testo è nettamente collegato, perché è “il no che diventa sì, la rinuncia che diventa affermazione della vita. Rinunciamo al male per dire sì al bene…”. Mi piace molto il suo intervento, perché lui rafforza questa idea, te la fa sentire profondamente nel cuore, ma non segue la solita linea della costruzione di una canzone a due voci. E questo vale per tuti”.
Questo viaggio attraverso i dialoghi non poteva che partire dalla tua Napoli.
Provengo da un quartiere di Napoli, Marianella, che oserei definire a svantaggio, che però è anche a vantaggio, perché ha dato in natali a Sant'Alfonso Maria de’ Liguori. Lì, la musica arrivava attraverso il juke-box. Sognavo di suonare il sassofono e quando sono diventato musicista e poi ho incontrato e suonato con quelli che erano i miei eroi credevo di aver realizzato tutti i mei sogni. In realtà, non era vero perché James Brown mi consigliò: "Ritorna a casa e riporta nel mondo un suono che è tuo". Per fare questo, nel tempo, ho capito che andava recuperata la nostra dignità. Noi accogliamo la conoscenza degli altri popoli solo se però innanzitutto recuperiamo la nostra identità altrimenti rischiamo nuove colonizzazioni. Per questo disco ho seguito quel detto che dice: “Prima di fare qualcosa consigliati con tuo fratello che hai in casa”. Ovviamente non potevo che cominciare con Pino Daniele, al quale mi lega una lunga amicizia. Avevamo un gruppo che si chiamava Batracomiomachia e in quel periodo nacquero i primi provini che prepararono Terra Mia. Il brano che cantiamo insieme “E' Ancora Tiempo” è uno strano incrocio tra il mio disco, Napoletana e Terra Mia, e chiude un cerchio. È una riconciliazione con i membri della nostra famiglia, la famiglia napoletana. Ci riconciliamo nel senso che ci ritroviamo insieme in questo canto mantrico dedicato alla nostra città, all'amicizia, alla fratellanza. Poi c’è Raiz, una delle voci più originali della scena napoletana, e ancora la nuova generazione con i Co' Sang, che si racconta con la poesia cruda.
Hai parlato del brano con Raiz che si chiama “Aizamm' Na Mana”.
È un canto molto semplice. “Aizamm' na mana” perché non bisogna abbassare la guardia. Ogni giorno c'è da lavorare. Noi siamo abituati più a criticare che ad operare, a lavorare. Diciamo pure la verità, è importante la sanità, è importante la monnezza, ma noi che dobbiamo fare? Aspettare che si risolvano queste cose? Per poi scrivere le canzoni. Non credo, perché abbiamo scritto le canzoni anche sotto le dominazioni. Quindi nel nostro piccolo cerchiamo di incentivare sempre la cultura attraverso il nostro umile operato.
Oggi è difficile trovare chi racconta la nuova emigrazione dal Sud verso il Nord del nostro Paese come, invece, tu fai nella commovente “Gerardo nuvola 'e povere..”.
Quella di Gerardo è una storia vera, e volevo cantarla con Francesco Guccini perché desideravo che qualcuno del Nord testimoniasse una realtà di questo tipo. Lui è uno dei nostri cantautori più credibili ed importanti e speravo che potesse accettare di cantare in dialetto. Siamo andati a Pàvana e quando gliel'ho chiesto, lui giustamente ha detto che erano anni che non scriveva nemmeno per se stesso, ma visto che ero arrivato sin là, mi ha promesso che avrebbe lavorato alla canzone. C'è questo ragazzo che parte, da Maddaloni in provincia di Caserta e va a lavorare al Nord dove vive una vita di nostalgia sessantottina, si sbatte nei discorsi sulla giustizia e sul lavoro e muore proprio sul lavoro. È una morte bianca, qualcuno direbbe una morte comune, ma noi da sempre tendiamo a far diventare uno stereotipo argomenti importanti come la pace e la solidarietà. Da anni mi sono detto è importante la ricerca del linguaggio perché attraverso questa si riesce a toccare da cuore a cuore.. Così è nata questa intuizione di sviluppare il brano in un dialogo con Francesco, che interpreta il ruolo di un fruttivendolo ed entra nella canzone per raccontare la storia di Gerardo dal punto di vista esterno, racconta la sua verità, porta la sua testimonianza.
In “Mane e mane “, invece incontri Daby Tourè, grande voce dell'Africa...
Questo disco si sviluppa in maniera concettuale e dunque, anche la presenza di Daby Tourè è un'altra testimonianza importante. Lui è un mio grande fratello, appartiene alla storica famiglia dei Tourè Kunda, e ha raccolto la pesante eredità di uno dei quello che è uno dei più grandi gruppi della musica africana nel mondo. La sua famiglia di muove da anni dalla Mauritania al Senegal, rappresenta una tradizione importante. E poi lui ha questa voce splendida da controtenore caratterizzata da passaggi veloci che partono da questa sorta di falsettone per diventare poi voce piena. E' un vero capolavoro a livello timbrico, che rimanda ai controtenori delle opere di Ciccio de Majo, uno dei grandi compositori napoletani del Settecento. Nelle sue opere la musica classica si trasformava in musica popolare colta.
Per rimanere nel continente africano ma più a Nord, molto significativo dal punto di vista musicale è l'incontro con il cantore kabila Idir.
Secondo me, Idir è uno dei grandi poeti della world music, un uomo di grande cultura e di grande sensibilità e con una voce molto suggestiva. La cosa che mi fa morire di “Nun è Giusto”, è che in questo brano si sviluppa realmente la sinonimia dei suoni. Il pezzo parte come una tarantella tipica dei Bottari, un tema tipico della pattuglia "a pastellessa", ma quando entra Idir il pezzo cambia repentinamente identità e diventa suo, quasi un brano rai. Man mano l'altro artista si appropria della musica, facendola sua. La musica nun è di nisciuno, non c'è niente fa fare. Nel refrain poi entra anche una banda, la Scorribanda, con cui suono da sempre. Un gruppo di fiati che raccoglie il testimone di tutta la tradizione delle nostre bande che vanno dal venerdì santo alle bande di gigli di Barra e di Nola. Le bande della tradizione popolare, come quella di Natale Ciccarelli a Mariglianella seguivano un preciso programma nei giorni di festa, dapprima suonavano in piazza, poi accompagnavano la processione e la sera facevano il giro del paese con la questua, durante la quale raccoglievano cibo e soldi. Durante la questua si suonava un canzoniere, che era un grande medley di canzoni popolari per banda e in questo brano ho ripreso uno di quei pezzi, riproponendo la melodia chiamata il “Grande Cosacco” che poi è diventata la base sulla quale è stata sviluppata anche “Fischia Il Vento”. Se con i Bottari il suono resta sostanzialmente connesso ai ritmi processionali e io mi diverto a giocare con gli anticipi delle ritmiche partendo da tutta la conoscenza arrivata dalla musica afro-americana, con i fiati faccio all'inverso, uso temi popolari però suonati con questo swing che proviene dal jazz e che rimanda a quella mancanza di regole che era alla base proprio del canzoniere della questua.
Rispetto ai tuoi dischi precedenti in questo disco le parole delle canzoni hanno un peso importantissimo, come nella splendida “Elì Elì”, che è anche l'ultima registrazione di Enrique Morente, prima della sua morte, e al quale hai dedicato il disco…
La parola, per me, è musica. Da quanto ho cominciato a lavorare a dischi concettuali per me ha avuto una grande importanza, come del resto per quello che concerne il suono che di per se diventa parola. Questo disco è un opera world legata al suono che diventa parola e alla parola che diventa suono. Un esempio è proprio, come hai detto tu, “Elì Elì”, dove la voce di Enrique Morente, che è stato senza dubbio uno dei massimi esponenti mondiali del flamenco, diventa anche uno strumento e non saprei definire fino a che punto è parola o strumento e viceversa. Questo è un canto di speranza, che rimanda alle parole di Gesù: “Padre Padre perché mi hai abbandonato?”. Come direbbe il poeta curdo Rafiq Sabir: “La vita che nasce comunque e comunque”.
Dal punto di vista sonoro come avete indirizzato la produzione?
Il disco è stato prodotto magistralmente da Andrea Aragosa, mio grande “fratello” e manager. Lui è un cultore della musica, un vero produttore, e soprattutto un grande uomo, uno dei pochi che permette ad un artista di esprimersi a pieno, che ti da la libertà di fare le cose, che ti crea le condizioni, e che si sforza al massimo per cercare di concretizzare ogni idea. In questo disco abbiamo operato una ricerca del minimale nel linguaggio sonoro e dell'autenticità. La musica world, essendo di provenienza real, la sua matrice è la musica etnica, quindi real, proprio quella reale, vera. Quando facciamo degli assemblaggi di un suono nuovo che cresce, tendiamo a conservare una autenticità di linguaggio, altrimenti si rischiano delle costruzioni che sono più americane, i quali si sono esauriti sui risvolti degli accordi, sull'artificio dell'arrangiamento, della sovrapposizione sonora, con sempre più strumenti. Se fai un corso di jazz al conservatorio la cosa difficile di un arrangiamento è l'aggiunta di sempre più strumenti. La world in questi anni ci ha dato un grande punto luce, cioè togliere strumenti più che aggiungerli. Oggi se tu ascolti un pezzo con setar e voce, ti accorgi che è un po' la tammurriata di Zì Giannino Del Sorbo che canta sul tamburo.
Altro brano di grande intensità è Suonn' A Pastell' nel quale con Bob Gedolf canti dei sogni violati dell'infanzia...
Qualcuno ascoltando il brano mi ha chiesto se fosse dedicato alla pedofilia, in questo brano però con Bob Gedolf non cantiamo solo la pedofilia, ma anche semplicemente i sogni negati dei bambini, che altrettanto sono una forma di violenza molto grave. Lui è stato così un altro grande testimone, un testimone di questo mondo che apre e richiude la porta, di questo mondo che è sempre indeciso e che alla fine però chiude e dorme in quiete. Dorme la sua quiete. Io credo che sia molto particolare tutto questo.
Canti da solo in “'A nomm e' Dio”
È quasi un monologo, nel quale canto degli uomini che vengono uccisi nel nome di Dio, o in nome della giustizia alla cui base ci sono le peggiori delle ingiustizie. Sinceramente non perché sia un brano scritto da me, ma credo che sia uno dei più belli di tutto il disco. Questa è una riflessione per tutti i martiri della storia delle guerre di religioni. A nome di dio è un invito alla tolleranza tra gli uomini.
Invece in “No è No” dividi la scena con la voce siciliana di Franco Battiato.
Questo è un brano dedicato al Sud, dove il No, che è stato sempre la negazione, il simbolo della negatività diventa un si alla vita. Il no che diventa si alla vita. La rinuncia che diventa si alla vita. Il Sud che rinuncia ai compromessi, rinuncia a vendersi, o il sud del Mondo che rinuncia a compromettersi e dice si alla vita. Franco è la testimonianza di tutto questo.
Uno dei vertici del disco è “E 'a Maronna accomparett' in Africa”, scritta e cantata con David Crosby...
Quello con David Crosby è stato un incontro particolare, ci siamo ritrovati a Firenze durante un suo concerto con Graham Nash. Lui canta da dio, ed insieme sono fantastici. Mi sento molto fortunato perché di solito so che non vuole cantare con nessuno. Devi credermi, quando glielo dissi lui accetto subito. Credo che tu puoi essere chi vuoi tu, a loro non importa nulla, loro hanno raggiunto già il massimo. E poi credo che sarebbe difficile convincerlo con brano che scimmiotta quello che è il suo stile. Io sono andato da lui con la canzone con questo testo che nasce dal cuore, gli ho raccontato la storia e gli ho detto che avevo sognato di cantarla con lui. Lui ha capito che in quel momento ero sincero, ma potevo rischiare che mi dicesse no e che mi buttasse fuori. Invece gli ho raccontato di questa apparizione, non ancora certa, della Madonna a Soweto in Africa, e poi gli ho detto: "Non so quale sia il tuo rapporto con la religione ma se un giorno ti dicessero che una donna di nome Maria è apparsa in Africa, tu come la prenderesti?" Quando parlo di Africa, parlo di un luogo da cui ricominciare, da cui ripartire, un fiore che nasce nel fango. L'Africa diventa così un simbolo per noi e se una donna di nome Maria appare in un paese povero, che io chiamo paese a svantaggio proprio come le nostre periferie, rappresenta un punto di luce, di speranza, ma non solo diventa realmente il cambiamento, diventa la trasformazione del bene nel male. Lui mi sorrise sornione. È nato così questo brano in cui la sua scrittura si intreccia alla mia, e nel quale canta alla Vergine e canta anche in italiano. Il suo testo è molto bello quando dice: "E una donna apparì in Africa su milioni di stelle", in quel momento lui fa un atto di fede, ma è una fede, che mi permetto di dire, laica, così come la mia. Se pure non fossimo cristiani, nel momento in cui cantiamo Maria e cantiamo la Vergine, noi lo siamo. Vogliamo uscire dunque da significato ed entrare, come direbbe il maestro Carmelo Bene, nel significante delle cose.
Sia “E 'a Maronna accomparett' in Africa che a “A nnomme e Dio” sono due brani che sembrano strettamente connessi al senso di un disco come Sacro Sud...
Quello è un disco che aveva la sua forza di muoversi anche nella fede devozionale, in quella preghiera che diventa anche rivendicazione…. La mia vita è stata strettamente connessa alla spiritualità. Sono nato cristiano, grazie a Tina Turner, però, mi sono avvicinato al Buddismo, anche se in realtà non capivo se era la sua personalità o la dottrina in sé da affascinarmi. Successivamente, quando andai la seconda volta in America attraverso le amicizie di Corrado Rustici mi avvicinai ad un guru spirituale induista che mi ha aiutato a trovare energie positive e a credere in me stesso, con lui facevo meditazione e ho appreso tecniche speciali di respirazione. Dopo un evento molto doloroso della mia vita, della nostra famiglia, non volevo più pregare nessuno. Dopo questo momento di grande difficoltà interiore e di grande confusione mi sono ricordato che il mio guru spirituale diceva che era importante ricerca il proprio mantra, e quasi casualmente ho scoperto che il mio è nella recita del rosario, e infatti ho scoperto che in esso sono racchiusi molti dei principi delle altre religioni a cui mi ero avvicinato. L'incontro con il mio guru mi ha insegnato ad usare la preghiera come azione. Una preghiera laica, voglio avere un contatto diretto con il Supremo. Un contatto tra finito e l'infinito.
Chiude il disco un grande classico della tua produzione “Soul Express” in una nuova versione in chiave world...
A stimolarmi questa nuova versione di Soul Express sono stati Toumani Diabatè, il grande maestro della kora e il nostro grandissimo, Mauro Pagani che si muove sempre con grande agilità nei suoni world suonando il bouzouki e la mandola. In tutto il disco comunque ha avuto un peso importante anche la mia band ovvero Gianluigi Di Fenza, Mario Rapa, Paolo Palmieri, Carmine Pascarella, Luca Rossi e alcuni musicisti d'eccezione come Massoud Shaari, che è un campione del setar.
Consideri Black Tarantella il disco di una vita? Oppure è la fotografia di una momento della carriera di Enzo Avitabile?
Questo è il disco di una vita, a dire il vero! Ho fatto tantissime collaborazioni, sarei troppo irriverente se lo considerassi un punto di partenza per il rispetto, l’amicizia, il talento artistico, la disponibilità delle grandi anime artistiche che hanno fatto tutto solo con il cuore, ognuno di loro, perché non avevo niente da offrire a nessuno. È un grande onore, visto che è il disco di mie trent’anni. È un disco di arrivo, anche se… ”E’ ancora tiempo”, ma mettere un tassellino è necessario, così come sto facendo con le 320 partiture musicali che ho scritto finora, che sono in via di pubblicazione, e poi con il film su di me che ha girato Jonathan Demme.
Un docufilm sulla tua vita artistica, che sta per uscire…
Jonathan (Demme ndr) sta ultimando il montaggio. Il titolo di lavorazione è Avitabile Border Crossings, Abbiamo girato a Marianella, nella Napoli greco-romana, al Cimitero delle Fontanelle, al Conservatorio di San Pietro a Majella, al San Carlo, a Capo Miseno. Lui è rimasto colpito dalla mia musica, ascoltata una notte in auto, per caso. Quando è venuto a Napoli in occasione del Napoli Teatro Festival, ha chiesto un incontro. Noi abbiamo portato i dischi, ma lui conosceva già tutti i miei dischi. Sono stato fortunato per il fatto che un grande personaggio della cultura mondiale, un grande regista, che considero un genio, che ama la mia musica, ha deciso di fare un documentario su di me: non so se me l’ha mandato Dio o me lo sono guadagnato con la mia musica. Quando abbiamo girato le scene, Jonathan mi ha detto: “Io vengo dove vuoi tu”. Siamo andati a fare visita a trovare Zi’ Giannino, grande maestro della tammurriata: mi sembrava giusto andare a salutare chi ha fatto la storia della musica popolare. Ci sono tanti altri artisti: Toumani Diabate, Dijvan Gasparyan, Eliades Ochoa, Amal Markus, Trilok Gurtu, Naseer Shamma, Gerardo Nunez, Mario Brunello, con cui abbiamo registrato al Salone Margherita. Ci sono mie musiche già edite, brani messi al servizio dell’artista, ma c’è anche un omaggio al Pentamerone di Giovanbattista Basile e musiche che amo come lo “Stabat” di Pergolesi. Un CD accompagnerà l’uscita del film, ma non ha nulla a che fare con Black Tarantella: il film non è certo un videoclip del disco.
Ciro De Rosa e Salvatore Esposito
Enzo Avitabile - Black Tarantella (CNI Music, 2012)
Disco intimamente soul, intriso della sacralità del ritmo, devozionale e profano al contempo, crudo e diretto nel dare voce ai povericristi, denunciando la violenza del capitale, l’intolleranza, i soprusi, la discriminazione, le guerre in nome di Dio. “È ancora tiempo” è l’overture partenopea, tema sottile con la chitarra languida di Pino che conversa con l’arpina di Enzo. Arriva poi il canto scurissimo di Raiz in “Aizamm’ na mana”. L’incipit lo dà una fronna dall’andamento in minore, poi il brano sviluppa su un ritmo di tammurriata-pastellessa, marcato dalle percussioni di Bottari su liriche che invitano all’azione”. I fiati della Scorribanda rinviano al suono delle bande che animano le feste religiose del Sud. I Co’ Sang (da poco separatisi) si uniscono ad Enzo rappando in “Mai cchiu”. “Gerardo nuvole ‘ povere” è uno dei vertici del disco: Guccini canta nel suo dialetto alternandosi alla voce narrante di Enzo che racconta la storia del giovane emigrato, mentre la timbrica accorata del setar dell’iraniano Massoud Shaari contrappunta il canto. Dal dialetto pavanese al siciliano catanese di Battiato di “ No è No”, brano in cui irrompe una voce lacerata, inserto di un canto raccolto sul campo nel materano. Sulla melodia gitana di “Elì Elì”, entra la voce nobile di Enrique Morente. Il ritmo lo danno i tamburi a cornice, il setar, piangente, sottolinea la drammaticità, contrappuntando le voci. Nel finale il sopranino, che richiama la timbrica di una zurna o di una ciaramella, ricama note di umore etno-jazz. È la volta di Idir, cantore berbero algerino in “Nnu e nu giusto”: lingue che si fondono, stili che si intersecano nel mare comune. Improvvisa spunta la citazione bandistica di “Soffia il vento”, ancora un omaggio alla cultura delle bande musicali, che è stata così importante per il Sud. La voce inconfondibile, calda e arrochita, di Bob Geldof è con Enzo in “Suonn’ a pastell’” nel brano più radiofonico del disco, invece il musicista partenopeo è solo nel canto-invocazione “’A nnomme ‘e Dio”. Qui si ripete lo schema del sopranino che emula il timbro delle ance etniche e popolari. Personalità ancora più lontana dal mondo di Avitabile è David Crosby che condivide “E ‘a Maronn’accumparett’ in Africa”. Il timbro scuro di Crosby si appoggia ad un ritmo da trance. Ancora una volta l’enfasi di Enzo è sul piede del ritmo, sulla sua essenzialità. Avitabile è di nuovo voce sola in “Nun vulimm’ ‘a luna”, ancora un canto di denuncia nel più classico stile di Enzo. Due i brani già incisi, ripresi in questo CD che celebra anche il trentennale della carriera del soul brother. Si tratta della luminosa “Mane mane” con la voce d’incanto di Daby Tourè, che passa con agilità da voce piena al falsetto e “Soul Express”con Mauro Pagani (bouzouki e violino) e Toumani Diabate alla kora. Finale col dialogo serrato tra il timbro caldo del sopranino e le note limpide dell’arpa-liuto del maliano.
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