Aprono il loro set con “Spata d’oro”, costruita su un ritmo di tammurriata della zona dei Monti Lattari, quasi sublimata nell’arrangiamento creato dal leader e violinista Fraioli. Segue l’incalzante “ ’E nnuvole”, dove la vocalist Monica Pinto si ritaglia lo spazio di primadonna. Un concerto di Spakka-Neapolis 55 è quasi una rarità nella loro città natale. Cosicché, ci sta tutta l’emozione (o è rilassatezza?) dello giocare in casa, che conduce perfino a un pizzico di pedanteria e di impaccio nella presentazione di alcuni brani nel corso del bel concerto denominato Janus, dal titolo del loro disco pubblicato nel 2009. Lo scenario è quello del Teatro Trianon, teatro della canzone napoletana, nel cuore del quartiere di Forcella: dove la Napoli antica non solo la respiri ma la vedi nei resti delle mura della città greco-romana che affiancano al palcoscenico. Il concerto dell’ensemble partenopeo rientra nella corposa rassegna “Trianon Music Live”, che ospita sedici tra i più grandi artisti della scena napoletana (www.teatrotrianon.org). Anche gli Spakka si confrontano con la canzone classica napoletana, interpretando “Scetate”, sulla scia della partecipazione a Passione, il docufilm di John Turturro, nel quale invece hanno cantato “Vesuvio”, una tammurriata che rivolge lo sguardo al parco naturale del vulcano sfregiato dalle discariche di immondizia, “‘Mmiezo a festa”, anch’essa tratta dal primo album inciso per la Real World, racconta le feste devozionali dell’entroterra campano.
Con “Canzone precaria”, costruita su un impianto musicale di stile arabo, irrompe lo sguardo sulla dura realtà lavorativa d’oggi. Il violino sostiene la voce rabbiosa di Pinto in “Scampia”, fotografia della realtà periferica napoletana, lontana dai cliché mediatici che hanno reso cartolina anche il disagio urbano, perché raccontata con gli occhi di chi nel quartiere ci ha vissuto e lavorato. La formazione in sestetto è perfettamente funzionale ad un suono che sa essere essenziale e diretto. Il violino agisce da strumento melodico principale, le chitarre di Ernesto Nobili apportano un sostanzioso contributo armonico, il drive del basso di Giacomo Pedicini aggiunge corporeità, le percussioni (cajon e tamburi a cornice) di Francesco Manna danno sostegno senza essere mai soverchianti, eccetto quando devono condurre la danza, la mandola e l’oud di Gianluca Campanino ricamano dense e calde note, rinforzando il coté world.
Non sfugge alla frenesia salentina Fraioli, per anni frequentatore e didatta in Salento, ma anche artista che nutre una potente passione per il linguaggio delle tarantelle: dalle pizziche di Stifani alla danza rituale montemaranese. Per chi scrive, tre brani salentini in un set, seppur presentati con forte originalità, appaiono un po’ troppi. E tuttavia la vorticosità della pizzica consente a Monica Pinto di lanciarsi nel ballo, immettendo quel sovrappiù scenico che fa grande presa sul pubblico. La forza di Spakka-Neapolis 55 sta nel non rimasticare il folk revival napoletano degli anni ’70, considerato da molti artisti campani unico faro e punto d’approdo.
La proiezione internazionale inscritta nelle loro origini, li porta a rileggere la tradizione orale in modo creativo con passaggi dal piglio rock, ma anche ad esplorare gli assetti rimici e melodici dei repertori popolari. Spesso la ritmica tradizionale è punto di partenza per canzoni – concepite in collaborazione con affiatati parolieri – che immettono sulla scena l’attualità sociale. L’interpretazione di gusto world porta dentro la musica di Spakka-Neapolis 55 moduli sonori arabo-maghrebini che non sfumano nel luogo comune etnico o nella semplice citazione. La teatrale “‘ A suffragio” è essenziale nel suo procedere e, con la successiva tammurriata giuglianese, costituisce un omaggio alla ritualità e alla devozione popolari. Il finale di “O mare”, con tanto di violino che cita “Lo guarracino”, e il bis di “Aneme Perze”, canzone ispirata al culto partenopeo delle anime purganti, con un il bel preludio di violino, sono ancora nel segno di uno stile pulsante che sposa spinta rock e matrice popolare.
Foto di Davide Visca
BONUS TRACK: Con “Canzone precaria”, costruita su un impianto musicale di stile arabo, irrompe lo sguardo sulla dura realtà lavorativa d’oggi. Il violino sostiene la voce rabbiosa di Pinto in “Scampia”, fotografia della realtà periferica napoletana, lontana dai cliché mediatici che hanno reso cartolina anche il disagio urbano, perché raccontata con gli occhi di chi nel quartiere ci ha vissuto e lavorato. La formazione in sestetto è perfettamente funzionale ad un suono che sa essere essenziale e diretto. Il violino agisce da strumento melodico principale, le chitarre di Ernesto Nobili apportano un sostanzioso contributo armonico, il drive del basso di Giacomo Pedicini aggiunge corporeità, le percussioni (cajon e tamburi a cornice) di Francesco Manna danno sostegno senza essere mai soverchianti, eccetto quando devono condurre la danza, la mandola e l’oud di Gianluca Campanino ricamano dense e calde note, rinforzando il coté world.
Non sfugge alla frenesia salentina Fraioli, per anni frequentatore e didatta in Salento, ma anche artista che nutre una potente passione per il linguaggio delle tarantelle: dalle pizziche di Stifani alla danza rituale montemaranese. Per chi scrive, tre brani salentini in un set, seppur presentati con forte originalità, appaiono un po’ troppi. E tuttavia la vorticosità della pizzica consente a Monica Pinto di lanciarsi nel ballo, immettendo quel sovrappiù scenico che fa grande presa sul pubblico. La forza di Spakka-Neapolis 55 sta nel non rimasticare il folk revival napoletano degli anni ’70, considerato da molti artisti campani unico faro e punto d’approdo.
La proiezione internazionale inscritta nelle loro origini, li porta a rileggere la tradizione orale in modo creativo con passaggi dal piglio rock, ma anche ad esplorare gli assetti rimici e melodici dei repertori popolari. Spesso la ritmica tradizionale è punto di partenza per canzoni – concepite in collaborazione con affiatati parolieri – che immettono sulla scena l’attualità sociale. L’interpretazione di gusto world porta dentro la musica di Spakka-Neapolis 55 moduli sonori arabo-maghrebini che non sfumano nel luogo comune etnico o nella semplice citazione. La teatrale “‘ A suffragio” è essenziale nel suo procedere e, con la successiva tammurriata giuglianese, costituisce un omaggio alla ritualità e alla devozione popolari. Il finale di “O mare”, con tanto di violino che cita “Lo guarracino”, e il bis di “Aneme Perze”, canzone ispirata al culto partenopeo delle anime purganti, con un il bel preludio di violino, sono ancora nel segno di uno stile pulsante che sposa spinta rock e matrice popolare.
Foto di Davide Visca
Surriento&Surrender, Teatro Trianon, Napoli
In questi giorni il teatro di Forcella ospita Surriento & Surrender, un bell’allestimento dedicato all’immortale canzone “Torna a Surriento”. Voluta della Fondazione Bideri, la mostra segue analoghe iniziative che hanno acceso i riflettori su ‘O sole mio, sulla canzone dell’emigrazione, su Salvatore Di Giacomo e sul futurismo napoletano, al fine di mettere in moto un processo di recupero della memoria storica, valorizzando la canzone napoletana d‘arte. Curatore dell’allestimento è il giornalista Federico Vacalebre. Si tratta di un viaggio nella storia della canzone di Giambattista ed Ernesto De Curtis che ha girato il mondo, e che vanta numerose traduzioni ed interpretazioni, tra cui quelle di Presley, Sinatra, Quincy Jones, U2 e perfino Meat Loaf. La mostra, estesa tra foyer, piano della platea e mediateca Caruso, espone autografi, fotografie, lettere, rulli musicali, spartiti d’epoca, copielle, locandine, 78 rpm 45 rpm, LP, CD, filmati ed altri gustosi memorabilia che raccontano la genesi e la fortuna planetaria della canzone che celebra la località della Costiera. Nonostante i progetti di cui si parla da anni, ferisce ancora il vulnus della mancanza di un museo cittadino dedicato alla canzone classica napoletana, patrimonio immateriale mondiale ancora non riconosciuto dall’UNESCO (altra cosa è l’archivio sonoro allestito presso la RAI), ci piacerebbe almeno che, nel frattempo, ci fosse una canzone al mese messa in mostra, per dare lustro all’immenso giacimento musicale della città cantante.
Ciro De Rosa
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