Il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza fino a qualche anno fa classificava i cantastorie come saltimbanchi, la loro storia e la loro tradizione ha però un’origine ben più nobile ed antica che parte da Omero e di cui si trovano tracce disseminate nella storia dalle Metamorfosi di Apuleio passando per il Dante che recitava la Commedia su un sasso ancora conservato a Piazza Duomo a Firenze. Una vecchia leggenda dice che dalla Valle del Taro nel XVI secolo cominciò una vera e propria emigrazioni di intrattenitori, domatori di orsi, scimmie ed animali domestici che arrivò a toccare l’Europa, il Medioriente e l’Asia, tuttavia ciò che c’è di certo è che cantastorie avevano un ruolo importantissimo nella diffusione della cultura in Italia e, come ci ha recentemente raccontato anche Gualtiero Bertelli in una recente intervista sulle nostre pagine, anche loro hanno contribuito in modo determinante all’unità della nostra nazione. Con la scomparsa di figure storiche del mondo dei cantastorie come Marino Piazza e Lorenzo De Antiquis questa tradizione sta cadendo nell’oblio, ma non manca qualcuno come Federico Berti che si è fatto carico di riprenderla in mano per darle nuova vita, partendo proprio dalle sue radici. Cantante e suonatore, specialista in serenate e canzonette degli anni ’30 e ’40, Berti è da diversi anni impegnato nella ricerca sui cantastorie e grazie alla sempre attentissima casa editrice Nota, ha di recente dato alle stampe L’Asino, Il Leone, La Colomba, opera di duplice importanza, perché al disco ispirato a questa particolare tradizione, unisce un lungo saggio sulla figura del canzonettista ambulante ed in particolare sulle differenze tra la tradizione del passato e i moderni buskers, il tutto partendo dall’esperienza dell’Associazione Italiana Cantastorie. Nato in collaborazione con le Edizioni Italvox di Bologna e patrocinato dall’associazione “E bene venga maggio” di Monghidoro (Bo), il disco è stato inciso con Giuliano Piazza (fisarmonica), figlio di Marino Piazza nonché cantastorie ed editore, e Gabriele Ronda (contrabbasso), e presenta undici brani di eccellente fattura, tra riproposizioni ed originali. La scrittura di Berti nasce nel solco di quella dei cantastorie di un secolo fa, sospesa tra presente e passato mescola storie e leggende, miti e attualità in un atmosfera senza tempo nella quale convergono sonorità che spaziano dal folk urbano alla musica da ballo fino a toccare la musica tradizionale dell’Appennino Bolognese. Fondamentale nella riuscita del disco è senza dubbio la figura di Giuliano Piazza che con la sua fisarmonica impreziosisce ogni brano e rappresenta l’anello di congiunzione tra presente e passato. Durante l’ascolto emergono così brani come l’inziale Polca dei Mercati, che descrive le fiere di paese dove spesso si esibivano i cantastorie, la divertente Tango del Cellulare ispirata ad un motivetto degli anni trenta, o ancora la struggente Fantasmi in Galleria nella quale viene ricordata la tragedia dell’Italicus. Non mancano brani dal repertorio storico come La Signorina del Treno e Ricordando Garibaldi di Lorenzo De Antiquis, Il Ragazzo con Le Tre Fidanzate di Marino Piazza e Non Si Può Fare! Di Giuliano Piazza. Sul finale arrivano poi tre eccellenti composizioni come Fame e Pellagra, ispirata al tradimento degli ideali risorgimentali, la splendida Pilla di Qua e l’intensa Ca’ Dei Santoni, scritta da Berti sull’aria della Canta di Petramala per la commemorazione del 25 aprile ed ispirata all’omicidio di due giovani renitenti alla leva. L’Asino, Il Leone, La Colomba è dunque un disco di grande importanza perché unisce uno splendido disco nel quale riscopriamo l’antica tradizione dei cantastorie ad un eccellente saggio che contribuisce in modo determinante ad incuriosire l’ascoltatore che vi si avvicinerà.
Salvatore Esposito
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