
Come nasce il progetto Khaossia?
I Khaossia nascono del 2005 a Cremona, sull'onda di un altro gruppo di musica irlandese da me fondato e che mi ha seguito durante le mie "emigrazioni", i Buskers. Spesso capitava infatti che, mentre suonavo musica irlandese, il pubblico, a conoscenza delle mie origini salentine, mi chiedesse la classica pizzica. Al che mi è sembrato opportuno distinguere i due generi in gruppi dall'identità precisa.
La vostra formazione è prevalentemente di conservatorio, come è nata la passione per la riscoperta delle radici della musica tradizionale?
Quando mi sono avvicinato alla musica popolare nel 1996, e successivamente ho fondato i Khaossia, ciò che mi ha spinto è stato l'orgoglio di poter diffondere la cultura della mia terra e il ricordare, attraverso suoni ancestrali, la generazione contadina dei miei nonni, vissuti tra soprusi dei padroni e fatica nei campi. La loro musica, come mi raccontava mia nonna che lavorava il tabacco, era uno dei pochi momenti di emancipazione e sollievo a una vita difficile. Spesso mi domando cosa penserebbe ora mia nonna e la mia prozia del movimento della neopizzica, della Notte della Taranta e degli stage di danza, a volte forzatamente ampollosi e tecnicistici, organizzati in tutto il mondo a fronte della semplicità e della spontaneità che caratterizzavano i loro canti da lavoro e della pizzica. Nei Khaossia si incontrano entrambi le tipologie di musicisti: coloro che provengono da una formazione classica e chi, invece, è partito dalla musica della sua terra attraverso la tradizione orale e l'imitazione. Quest'ultimi, pur non avendo a volte nemmeno i rudimenti della teoria musicale classica, contribuiscono a fornire la linfa popolare al gruppo. Avere un'impostazione "da Conservatorio italiano"(spesso legata a programmi, contenuti e metodi ancora ottocenteschi e in cui alla musica come arte è, spesso, preferita una visione di musica prettamente "tecnicistica") non favorisce un approccio alla musica tradizionale. Personalmente ho dovuto faticare non poco a fidarmi più del mio orecchio che non dello spartito e a superare delle rigidità inculcatemi.
La vostra proposta musicale parte dalle radici salentine per allargarsi a sonorità elleniche e irlandesi, puoi descriverci il vostro percorso di ricerca sulle fonti tradizionali?
Voglio subito precisare che i Khaossia non sono, non possono e non voglio essere i "leggittimi, unici e veri portatori della tradizione dei loro nonni", come sento dire da tanti gruppi miei conterranei. Noi siamo un semplice gruppo di riproposta che interpreta e ricerca, con la propria umiltà, sensibilità e il proprio bagaglio di esperienze, i
suoni ancestrali tramandatici e le sonorità che meglio traducono le atmosfere di una terra dolce e amara nello stesso tempo. Viviana Calabrese è stata sicuramente colei che ha portato la tradizione orale all'interno dei Khaossia, attraverso esperienze dirette dei suoi familiari a lei successivamente trasmesse. Lo studio poi di fonti storiche,
come il De arte magnetica di Kircher, e del lavoro pregievole e fondamentale di studiosi, come De Martino o Lomax, e di coloro che hanno creduto instancabilmente nella musica salentina in epoca non sospetta, come Daniele Durante, Luigi Chiriatti, Giorgio Di Lecce, Pino Zimba e tanti altri, ci ha indicato una via. Accanto al sapere ci è servito il voler percepire ciò che gli elementi naturali del Salento ci trasmettono, in una visione quasi panteistica. L'amore per la Grecia e per l'Irlanda, non poteva non influire nello stile dei Khaossia. Quando eravamo a Lecce, il nostro amore per la musica popolare salentina era molto intimo, dato che proprio in quel periodo avvenne
l'esplosione del movimento della pizzica con un fiorire spasmodico e incontrollato di gruppi e gruppettini "tarantolati", da cui ci siamo defilati. Viviana Calabrese, Vincenzo Urso e io optammo quindi per il nostro grande amore....la musica irlandese. L'esperienza in quel mondo sonoro ha poi influito perentoriamente nell'elaborazione dei successivi arrangiamenti dei Khaossia.
De Migratione nasce grazie all'incontro con il compositore e pluristrumentista cremonese Fabio Turchetti che, con la sua esperienza, diede al gruppo appena nato una visione più matura e orientata. Fabio, infatti, curò, e cura tuttora, l'aspetto discografico ospitandoci nella sua etichetta indipendente CPC. Si trattò di un primo approccio per i Khaossia alla realizzazione di un CD, pertanto, come penso la maggior parte dei gruppi salentini all'esordio, decidemmo di registrare i brani "classici". Da tutte le registrazioni dei Khaossia non si percepisce mai una spasmodica attenzione alla precisione tecnica. A noi questo più che un difetto appare una voglia di naturalezza nel ciò che facciamo e che vogliamo trasmettere sempre sia nel live che nelle registrazioni. De Migratione è un omaggio a tutti gli emigranti, in particolare salentini, che nel corso dei secoli hanno dovuto lasciare i propri cari, le loro terre, la quotidianità per intraprendere viaggi a volte senza meta e senza aspettative, costretti dalla penuria di lavoro e condizioni minime di vita. Un'emigrazione che lega tutte le generazioni e di cui io ne sono un esempio.
Nel vostro disco di debutto De Migratione, al fianco di brani noti come Fiore di Tutti i Fiori, Lu Sule Calau Calau e Lu Rusciu De Lu Mare, trovano posto anche brani del seicento e del settecento, puoi parlarci di questa opera di archeologia musicale?
I brani di Ignacio Jerusalem e Leonardo Leo sono dei sentiti riconoscimenti a due nostri grandi compositori conterranei del passato e rappresentano gli elementi estrinseci presenti nei Khaossia della mia specializzazione nella musica antica e nei flauti storici. In particolare abbiamo voluto evidenziare, nel nostro piccolo, la figura di Jerusalem: un compositore leccese che nel'700, partendo da Lecce al seguito di una compagnia teatrale, arrivò nel Nuovo Mondo, a Città del Messico, dove divenne maestro di cappella della cattedrale e uno dei più importanti musicisti settecenteschi delle Americhe. Ovviamente famoso nel mondo, per lo meno accademico, ma un perfetto sconosciuto per i miei concittadini. In De Migratione ne abbiamo voluto ricordare la sua figura incidendo, con gli strumenti antichi, gli incipit delle sue opere.
Com'è nata l'idea di riproporre in chiave moderna il dramma settecentesco La Rassa a Bute?
La Rassa è un'altra testimonianza dell'attenzione alla storia da parte dei Khaossia. Ci fu segnalato dal direttore della Biblioteca Provinciale di Lecce, il prof. Laporta, un manoscritto, "La rassa a bute" appunto, ovvero un libretto di un dramma per musica in lingua leccese di cui è andata totalmente persa la partitura. Da qui l'idea di ricomporre la musica, compito affidato a Fabio Turchetti. Lo studio di registrazione della Sudest, immerso nelle campagne di Guagnano tra uliveti e viti di Negramaro, hanno fatto il resto.
Come si è indirizzato il vostro lavoro di rielaborazione per questo disco?
La Rassa è un'opera che ci sta molto a cuore, partorita con non poche difficoltà riguardanti le scelte compositive. Eravamo davanti a due scelte: utilizzare un surrogato di prassi compositiva barocca o portare tutto a pizzica! Ovviamente non abbiamo scelto nessuna delle due opzioni, bensì abbiamo cercato di coniugare il rispetto storico del libretto con un'attenzione alle sonorità del territorio e lo stile esecutivo dei Khaossia. Il prodotto finale è stato un cd che alterna recitati, recitativi e arie "col da capo" che ripercorrono la quotidianità di un tempo lontano, ma indefinito, e di uno spazio che richiama la terra del Salento. Nella produzione, che, con grandi difficoltà, stiamo cercando di proporre in versione scenica, hanno collaborato il grande e giovanissimo attore Giancarlo Picci e gli amici Giovanni Amati, Mauro Durante, Vincenzo Urso e
Davide Grazioli.
Puoi parlarci del disco Dialogo inciso con Fabio Turchetti e Butrus Bishara?
Dialogo è il risultato di un altro progetto che porto avanti in collaborazione con Fabio. Il gruppo l'abbiamo denominato Ghazal (il nome indica dei componimenti poetici di carattere amoroso risalente al VI secolo in Persia, ma non caratterizzati da una lingua specifica) ed è il contenitore deputato a racchiudere le nostre sperimentazioni nella World Music. Dialogo è il titolo per definire delle vere e proprie conversazioni in musica tra strumenti etnici dalle origini geografiche decisamente distanti tra loro. Nel cd, infatti, sono presenti l'oud arabo, il dizi cinese, il bandoneon argentino, la traversa rinascimentale, ecc. Strumenti così diversi, ma capaci di un dialogo armonico e multietnico.
Il disco diviso in due parti mescola brani originali e tradizioni provenienti dalla Galizia, dalla Provenza, dalla Grecia e dalla Spagna, cosa ha ispirato quest'opera?
Anche in questo caso, sia dal punto di vista discografico che compositivo, il lavoro è stato affidato a Fabio Turchetti. La sua passione per l'oud, l'amore per il flamenco e la musica greca e arabo-andalusa risalente al periodo fra il IX ed il XV secolo, e l'incontro tra un palestinese, un cremonese e un leccese sono stati gli ingredienti
base per la realizzazione di questo cd. Il repertorio è formato, nella prima parte registrata in diretta su Radio Antenna 5, da brani in gran parte di origine medioevale, un epoca storica in cui la musica dei trovatori provenzali non era molto diversa da quella dei poeti andalusi o siciliani. Completa il cd un gruppo di brani scritti appositamente per questo organico, liberamente ispirati alle poesie della poetessa rom Mariella Mehr. A breve uscirà il secondo progetto dei Ghazal, attualmente in fase di
missaggio.
Ci puoi parlare del vostro ultimo disco Le Grechesche?
Le grechesche sono la produzione discografica con più tempo di gestazione dei Khaossia. L'idea originaria era quella di creare un collegamento tra Salento, Venezia, Grecia. Dalle nostre ore passate nella Biblioteca della Facoltà di Musicologia di Cremona abbiamo ripescato i Madrigali et ricercari a 4 del veneziano Andrea Gabrieli, pubblicati nel 1589, che racchiudono in sè anche le splendide Grechesche, villanelle alla veneziana su testo eterogeno (misto tra veneziano, dalmata, istriano e greco) di Antonio Molino. Il loro rimaneggiamento in chiave folk, lo stretto legame tra Venezia e la Terra d'Otranto e la nostra passione per la storia hanno fatto il resto.
Come si è evoluto il suono dei Khaossia da De Migratione al nuovo album?
Riteniamo che ci sia stata una maturazione tra De Migratione e Le grechesche. I suoni, gli arrangiamenti, la stessa conformazione dell'ensemble, il contenuto dell'ultimo cd rappresentano la voglia di ricercare nuovi orizzonti per i Khaossia, pur tenendo il Salento come punto di riferimento costante e immutevole. Torneremo a produrre registrazioni legate ai classici della tradizione popolare salentina, ma probabilmente saranno una fotografia o una serie di istantanee legate ai nostri live.
Cosa ha ispirato il nuovo lavoro?
Dietro le Grechesche abbiamo immaginato una vera e propria storia. Nel loro terzo cd i Khaossia si vestono da galeotti a bordo della Galea di Annibale Basalù, console per la Repubblica di Venezia a Otranto nel XVI secolo. Con lui intraprendono un ipotetico viaggio dai salotti della ricca e opulenta Serenissima lungo le colonie dello Stato da Màr, lì dove domina il leone di San Marco, per giungere in Terra d'Otranto. I brani sono stati composti ispirandosi alle atmosfere dei vari porti toccati nel loro viaggio. Si è cercato di far emergere nei luoghi, metaforicamente rappresentati dalle singole tracce, una matrice comune, ovvero quel dna marino e mediterraneo che rendeva luoghi lontani molto più vicini di quanto si possa immaginare.

L'idea nasce da un desiderio storico-patriottico di interpretare a nostro modo, e nel nostro piccolo, l'Unità d'Italia. La ricorrenza dei 150 anni non poteva vederci estranei dal celebrarla. Abbiamo cercato quindi di non creare un prodotto banale, commerciale e fine a se stesso, ma che trasmettesse una profonda connotazione unitaria, a testimonianza di un'Unità conquistata con i molti e indicibili sacrifici di ogni italiano del Nord, del Centro e del Sud, scevra dagli stereotipi comuni sul tema. Non ci bastava ricantare in chiave folk i classici delle canzoni risorgimentali, ci interessava raccontare delle storie in musica. Più precisamente due storie: quella di un garibaldino del Nord, il cremonese Pietro Ripari, medico di Garibaldi, e un garibaldino del Sud, il foggiano Moisè Maldacea, eroe di altri tempi. Abbiamo così cercato, e trovato, le loro memorie che raccontano, dal punto di vista dei testimoni, la Spedizione dei Mille; da quelle siamo partiti per sonorizzare alcune parti recitate e musicare le canzoni che hanno accompagnato quella spedizione e tutto il Risorgimento. Ne è uscita una produzione molto toccante, che per primi ci ha costretto a riflettere su qualcosa che abbiamo sempre dato per scontato, ma che non lo è affatto: il sacrificio dei nostri avi per un valore, l'unità, oggi messo in discussione da chi rinnega il passato e vede cinicamente ed egoisticamente il presente. Due dei Mille ti costringe ad abbandonare gli stereotipi che la scuola ha trasmesso in uno studio frettoloso e generalista, per vivere con i veri protagonisti, con i loro stati d'animo, le loro ansie, le loro aspettative, le loro delusioni, la "storia dal basso".
Puoi parlarci del vostro approccio con la realtà live?
Viviamo il live come un dialogo continuo tra noi e il pubblico che rappresenta una componente essenziale del concerto. I Khaossia non provano, salvo rari momenti, tutto ciò che viene prodotto si realizza sul palco. Ogni concerto è creato nello stesso momento in cui si svolge, non ci piace avere dei "cibi preconfezionati". Questo ovviamente può avvenire perchè c'è una grande intesa tra noi e perchè privilegiamo la spontaneità alla precisione, che tuttavia esiste. Il nostro obiettivo è quello di divertirci e far
divertire chi ci regala la sua presenza. Riteniamo che per questo genere di musica, se vogliamo lontanamente riprodurre l'atmosfera ancestrale dei canti popolari dei nostri nonni, non possiamo che creare il concerto con chi ci ascolta e balla nei nostri spettacoli. Ci consideriamo un gruppo salentino "da esportazione", infatti suoniamo raramente nel Salento, dove non condividiamo nè la competizione esasperata e distruttiva nè l'arroganza di alcuni nostri colleghi, e dove alcune dinamiche manageriali, tipiche del nostro territorio, ci sono avulse. Invece adoriamo sentir cantare con noi il pubblico americano, svizzero o anche italiano, in un leccese stentato, il ritornello di Santu Paulu; perchè, pur consapevoli che sia solo la parte superficiale dell'immensa cultura salentina a viaggiare nel Mondo, riteniamo che in altri tempi, non molto lontani, la stragrande maggioranza di quelli che ora cantano e ballano con noi all'estero, non avevano nemmeno idea dell'esistenza del Salento. Questo ci rende orgogliosi e ne diamo merito a chi ci ha preceduto con serietà e caparbietà. In conclusione se cantare il tormentone "Lu rusciu te lu mare" nel Salento mi "turba", farlo dove è poco conosciuto o non lo è affatto....mi commuove.
A differenza dei tanti gruppi che fanno musica di riproposta voi, pur partendo dalla riproposizione dei brani tradizionali, avete seguito un percorso differente puntando su un approccio che mescolasse musica classica, teatro e ovviamente radici popolari, come mai questa scelta in controtendenza?
Come ho detto, sono componenti insite nel DNA dei Khaossia e dovute al bagaglio pregresso di esperienze di ognuno di noi. Del resto a molti gruppi salentini va il grande merito che, partendo da un repertorio comune e condiviso, questi abbiano poi tracciato una loro strada originale, divenendo non solo gruppo di riproposta, ma, contemporaneamente, di innovazione capaci di affermarsi a livello internazionale.
Concludendo Due Dei Mille diventerà un disco?
Al momento no. Il nostro progetto è quello di portarlo in teatro e possibilmente diffonderlo il più possibile. Sul piano discografico, in questi giorni, uscirà la terza produzione Khaossia, sempre su etichetta CPC, "Le grechesche", che ti anticipo sarà un viaggio lungo le colonie e possedimenti veneziani del 1500, Terra d'Otranto compresa, a bordo di una galea.... I galeotti Khaossia al seguito della famiglia Basalù!
Khaossia - De Migratione (Consorzio Produttori Cremonesi)

Khaossia - La Rassa A Bute (Consorzio Produttori Cremonesi)

Turchetti, Bishara, Congedo - Dialogo (Consorzio Produttori Cremonesi)
Khaossia - Le Grechesche (Consorzio Produttori Cremonesi)

CONSIGLIATO BLOGFOOLK!!
A poca distanza dal successi riscosso con lo spettacolo "Due Dei Mille: Pietro Ripari e Moisè Maldacea - Quadri musicali ispirati alle loro gesta", i Khaossia hanno di recente dato alle stampe il loro terzo disco in studio, Le Grechesche, che rappresenta senza dubbio la loro opera più ambiziosa. Vestendo i panni di alcuni galeotti a bordo della Galea del Console della Serenissima Repubblica di Venezia, Annibale Basalù, il gruppo salentino ha dato vita ad un racconto in musica ambientato nel XVI Secolo, e durante il quale raccontano un ipotetico viaggio che parte dalla Laguna Veneta, attraversa le colonie dello Stato da Màr e raggiunge in fine al Terra D'Otranto. Il disco mette in fila sia brani originali ispirati ai vari porti toccati nel loro viaggio musicale su testi del poeta e compositore veneziano Antonio Molino detto Burchiella, sia composizioni attinte dal repertorio antico, recuperando e rileggendo attraverso gli stilemi folk, quattro Grechesche, ovvero una sorta di villanelle burlesche, pubblicate nel 1571 da Andre Gabrieli. Emerge così quel legame strettissimo che c'era tra Venezia e la Terra D'Otranto, le cui tracce sono rimaste vive nella storia a partire dal 836 quando i veneziani aiutarono i Longobardi e i Bizantini a resistere alle incursioni dei Saraceni, fino a far diventare il Salento un vero e proprio avamposto della Serenissima. Rispetto ai dischi precedenti Le Grechesche, rappresenta un'ulteriore passo in avanti per i Khaossia che ben lungi dal ripercorrere le vie vie della riproposta, seguono un originale percorso di ricerca più profondo, cercando di recuperare quel sottile e profondissimo legame che unisce la musica classica a quella popolare. In questo senso va sottolineato come siano riusciti a ricreare dal punto di vista prettamente sonoro quell'atmosfera di continui scambi culturali che legava e lega ancora le varie popolazioni del mediterraneo, facendo dialogare strumenti di estrazione etnica differente come il laouto cretese, il violino, la traversa e il tamburello. Questo nuovo disco è dunque una scommessa vinta, essendo un lavoro concettualmente rigoroso tanto dal punto di vista della storia narrata tanto da quello prettamente musicale.
Salvatore Esposito
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Salento