Musicista e ricercatrice palermitana, Matilde Politi è una delle voci più belle della musica di riproposta italiana. Laureata in Antropologia Culturale e con un ricco bagaglio di esperienze maturate in teatro come attrice, ha seguito un percorso di formazione rigoroso e allo stesso tempo ha condotto un costante lavoro di ricerca e sperimentazione su repertori folk americani, spagnoli e siciliani. L’abbiamo incontrata per parlare con lei del suo percorso musicale, delle sue ricerche e dei suoi dischi.
Ci puoi parlare della tua formazione artistica e del percorso che ti ha condotto alla riscoperta delle radici della musica popolare in terra di Sicilia?
La musica fin da bambina era di casa, mio padre scrive canzoni di repertorio cantautorale italiano, da autodidatta, per questo ci ha fatto studiare musica, a noi due figli, pianoforte e violino, ma soprattutto solfeggio! Io non ho resistito molto, ho preferito imparare da me la chitarra per accompagnarmi nel canto, e ho cantato sempre e tanto, da sola e in compagnia. Poi da adolescente ho cominciato a fare teatro, cercando formazione di tutti i tipi, gruppi autogestiti ed esperimenti vari. La vera formazione teatrale poi l’ho fatta a Pontedera Teatro. La musica popolare l’ho scelta come repertorio e ambito di ricerca, in un momento in cui, da artista, ho avuto bisogno di allontanarmi dal teatro e cercare di focalizzare la mia voglia di cantare in un percorso anche professionale, intrecciato con una sorta di missione culturale
So che hai fatto teatro ai tempi dell’Università, quanto è stata importante questa esperienza nella tua realizzazione come interprete di musica popolare?
Il teatro l’ho fatto diciamo sempre, nel senso che da bambina il mio sogno era di diventare attrice, e non appena ho avuto modo di muovermi da sola, già da adolescente, non ho fatto altro che teatro. Nel corso degli anni ho potuto frequentare e approfondire diversi modi di fare e intendere il teatro, ma poi ho trovato quale fosse “il mio teatro”. Mi sono fermata a lavorare e imparare a Pontedera, era il periodo dell’università, andavo a Roma a dare le materie, ma vivevo e lavoravo a tempo pieno a Pontedera. Così ho acquisito il mestiere del perfomer, un mestiere artigianale, costruito giorno per giorno, esperienza per esperienza, al fianco dei miei compagni di lavoro e dei maestri che frequentavo. Evidentemente il mestiere è quello che mi accompagna in ogni mia esperienza professionale.
Sei laureata in Antropologia Culturale, e successivamente ti sei dedicata alla ricerca sul campo dei canti della tradizione Siciliana. Quanto hanno influito i tuoi studi nel tuo percorso artistico?
Mi viene più semplice affermare il contrario, cioè la scelta del percorso universitario è stata condizionata dai miei interessi. Ma questo è scontato! Però voglio dire, non ho trovato strumenti concreti di ricerca e di lavoro sulle tradizioni durante il mio percorso universitario, anche perché ero a Sociologia, anche perché ero fuori sede e lavoravo a tempo pieno. Ho sfruttato al massimo la biblioteca, questo si. E poi ho trovato la strada per intrecciare il corso di studi con il mio lavoro, e ho fatto una tesi sull’Antropologia Teatrale di Grotowski. Diciamo che era tutto già dentro di me, erano i miei interessi, l’Antropologia è un campo che mi appassiona, ciò che riguarda l’Essere Umano a livello culturale, e l’Altro, le relazioni tra le culture, vicine e lontane, la relazione tra il particolare e l’universale nell’uomo, e nell’uomo performer in particolare, in qualunque cultura.
Hai avuto modo di collaborare con una delle eroine della musica di riproposta in Italia, ovvero Giovanna Marini, quanto è stato importante l’incontro con lei per te?
La prima volta che ho avuto la fortuna di averla come docente era proprio all’interno di un corso di formazione professionale per attori a Pontedera. Lì fu veramente un momento speciale per noi, finalmente tutti ci trovammo a cantare insieme, repertorio popolare regionale italiano, noi eravamo una ventina e rappresentavamo mezza Italia. Riuscì a fare apprezzare a tutti un repertorio troppo misconosciuto dai giovani. Grandiosa!
Qual è il tuo metodo per la ricerca sul campo?
A parte tutto il lavoro sui materiali scritti di documentazione che sono stati prodotti dal settecento a oggi, raccolte di testi, trascrizioni, testimonianze, e poi anche registrazioni (da quando è entrato in uso la pratica della registrazione audio), cerco di incontrarmi il più possibile con persone che ricordano ancora come si cantava un tempo, per ascoltare, e quando è possibile farmi insegnare qualcosa. Ma oltre ai canti e alla musica, è molto bello farsi raccontare storie, come si faceva la vita, e imparare anche parole del dialetto che non sono più in uso, o caratteristiche di una zona piuttosto che di un’altra, della Sicilia
Nella storia della musica popolare siciliana un posto speciale lo occupa Rosa Balestrieri, quali sono le differenze e i punti di contatto tra te e questa grande voce della musica di riproposta italiana?
Fu mia nonna a passarmi delle cassette di Rosa Balistreri, dopo averle sentite per anni, non riusciva più a fare funzionare il registratore e me le regalò. La ascoltai per la prima volta, e mi
emozionai. Ma in seguito ho sempre evitato di ascoltarla troppo perché è talmente forte da influenzare facilmente con il suo stile personale. Credo che ognuno debba trovare in sé ciò che risuona di un canto, e il modo di cantarlo, arrangiarlo e interpretarlo. Per il resto, solo differenze, basta pensare alla sua storia di vita…
Come è nata la tua passione per il canto monodico? Qual è stato il tuo percorso e i tuoi riferimenti nell’apprendimento delle tecniche di canto?
Sono un’autodidatta che va rubando qua e là! Vado avanti da sempre a orecchio, soprattutto per quanto riguarda il canto, e a istinto mi avvicino a quello che mi attrae, che si sposta sempre da una parte all’altra del mondo. E poi canto, canto canto canto tutto quello che ascolto che mi piace che imparo. Una tecnica personale si è andata costruendo nel corso degli anni, so quali sono i maestri ai quali ho rubato di più nel corso di fugaci seminari, ma non sono allieva di nessuno, non ho avuto maestri veri e propri che mi conducessero lungo un percorso.
So che ogni anno curi seminari e
laboratori per il canto, com’è nata poi la passione per l’insegnamento?
Lavorando approfonditamente su se stessi e sul canto, si imparano delle cose, che possono tornare utili anche agli altri che non hanno l’opportunità di scoprirle da soli. Quello che so, che ho imparato, che ho conosciuto, mi piace condividerlo, sia a livello teorico che pratico.
E’ un progetto che amo molto, che nacque quando tornai a vivere a Palermo: scoprii che la mia città in dieci anni era cambiata parecchio, era diventata una città multietnica, e con un tipo di integrazione particolare, un clima diverso dalle città europee. In qualche modo Palermo è più simile a città che ho visitato fuori dall’Europa che ad altre città italiane del nord. Cominciai a dire che c’è più vicinanza tra Palermo e Nouakchott che tra Palermo e Pordenone! Insomma, volevo conoscere e condividere la città, le strade, la vita, con i nuovi palermitani, i migranti, e la chiave che avevo in mano era la musica. Così nasce la Sarabanda. Oggi è un progetto ospitato dal Centro Astalli di Palermo, una Onlus che opera a Palermo con un centro di accoglienza per richiedenti asilo, molto frequentato, è il più frequentato perché si trova in pieno centro storico, a Ballarò. Ci si incontra in media una volta a settimana e si suona insieme, quasi nessuno ha competenze musicali da professionista, eppure si cerca un repertorio da condividere, tra nigeriani, ivoriani, ghanesi, togolesi, marocchini, tunisini, italiani, bangla, ucraini, chi vuole può venire, chi si impegna può restare, quando siamo in grado andiamo a suonare in pubblico, a volte si guadagna qualche soldo, a volte ci regalano strumenti, a volte solo, ma è il più grande guadagno, si acquista il diritto a dire la propria e ad essere ascoltati da sopra un palco, con un microfono in mano, il diritto a divertirsi, a mettersi in mostra per far vedere quello che sappiamo fare e le ricchezze provenienti da altri mondi musicali. E si balla insieme, si fanno conoscenze, ci si integra concretamente sempre più in un tessuto sociale urbano.
Il tuo disco di esordio, Tirannia è una sorta di concept album dedicato ai canti politici siciliani, puoi parlarci di questo disco? Come è nata l’idea di recuperare questo corpus di canzoni di protesta?
Volevo proprio sapere come se la raccontavano i siciliani la loro storia, e come manifestavano le loro idee politiche attraverso i canti, così ho fatto questa ricerca, che parte dalla rivoluzione dei Vespri Siciliani, alla fine del ‘200, fino alle manifestazioni degli operai dei cantieri navali negli anni settanta. Mi sono divertita molto, ho trovato cose che non mi sarei aspettata… e con sorpresa ho dovuto anche fare una scelta, lasciarne alcuni da parte, erano troppi! Alla faccia di chi dice che i siciliani sono passivi e qualunquisti… ora toccherà fare il volume due!
Nel disco sono presenti due brani che mi hanno incuriosito molto e che fanno riferimento a Salvatore Giuliano, ovvero Il Separatismo e Portella Della Ginestra, che ricorda una delle pagine più buie della storia italiana. Puoi parlarci di questi due brani?
Parlano di un momento buio della storia della Sicilia, come lo sono la maggior parte dalla dominazione araba in poi. A parte gli scherzi, il Novecento è stato veramente difficile da interpretare, ancora le più grandi tragedie non sono state spiegate, o meglio, non c’è la volontà di fare emergere la verità storica. Mi sembrava interessante parlarne da un punto di vista popolare, in questo caso la versione del cantastorie di Riposto Orazio Strano, per niente politicizzato; d’altronde giuliano è stato anche un eroe popolare, fino a un certo momento, una figura mitica nell’immaginario popolare. E il separatismo, il delirio americano, il fallimento dell’esercito dell’Evis, tutte cose di cui sarebbe utile parlare un po’, ai giorni nostri, con le cose che passano in politica. Interessante poi un aneddoto: se avessi pubblicato il disco con la CGIL regionale, che avrebbe dovuto sponsorizzare in occasione dei 60 anni dalla strage di Portella, avrei dovuto cassare i brani su Giuliano, troppo controverso, non gradivano. Si tirarono indietro per difficoltà economiche, e la consolazione mia fu questa, di poter mettere anche Giuliano, a cui tenevo molto.
Nello stesso anno hai dato alle stampe Sugnari, ci parli di questo interessante progetto che riprende le liriche di una poetessa siciliana?
E’ stata una bella esperienza quella di dare corpo sonoro alle poesie di Valeria cimò, palermitana, mia coetanea, con un grande talento per la scrittura poetica. Il trio ha lavorato come in un laboratorio artigianale, a costruire pian piano i suoni e le armonie, con la soddisfazione di andare in studio e registrare tutti i brani in presa diretta in un solo giorno, sempre “buona la prima”!
Il tuo secondo disco sono presenti brani autografi e testi adattati, penso ad esempio Ruciaruci tratta da Fernando Pessoa. Da ricercatrice e cantatrice di riproposta, l’evoluzione naturale ti sta conducendo al cantautorato…
Non sono comunque una cantautrice per natura, sono piuttosto un’interprete. Poi qualcosa ogni tanto viene fuori, inaspettata, e se può trovare posto in mezzo alle altre cose trovo che sia interessante; anche la musica siciliana, tradizionale, in dialetto, non può e non deve restare uno sguardo al passato, nostalgico o no, è un passato talmente lontano, anche se non nel tempo, nello stile di vita, orami c’è un abisso. E scrivere musica siciliana oggi significa per forza scrivere con un linguaggio dell’oggi, la tarantella siciliana non esiste più, non la suona e non la balla più nessuno. Chissà che non si trovi un nuovo modo di suonare la tarantella, che faccia ballare i siciliani di oggi, giovani e anziani.
Sono passati tre anni dal tuo disco d’esordio Tirannia, come si è evoluto il tuo approccio con la tradizione e soprattutto gli arrangiamenti?
All’inizio mi rifiutavo di arrangiare il repertorio tradizionale, preferivo lavorare da sola, con la chitarra, per riproporre i brani in una veste più neutra possibile. Col secondo e terzo disco, confrontandomi con materiali non tradizionali, ho trovato più libertà per arrangiare e giocare con i suoni, gli strumenti, anche non rigorosamente siciliani di tradizione. Ora mi sa che ho preso gusto al suono di gruppo, anche dal punto di vista della gioia di suonare con gli altri…vedremo.
La Sicilia è una delle regioni più belle d’Italia ma è anche una delle più difficili e penso alla piaga della Mafia, piuttosto che al desiderio ancora vivo di autonomia, all’assistenzialismo, alla politica malata.. Quanto è importante oggi fare canzone di protesta in Sicilia…
E’ importante, come sempre, come in ogni luogo. L’Espressione attraverso il canto, la musica, crea condivisione, crea identità culturale, appartenenza, e qui in Sicilia ne abbiamo bisogno. Ma non a livello dei concertini nelle sale di musica colta, nelle associazioni di melomani, o nei teatri d’opera, ce n’è bisogno nelle piazze, nei cortili, nelle strade, dove sta la gente.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sono troppi, ho finito l’inchiostro. Intanto metto in cantiere qualche nuovo brano con il mio gruppo, la mia Compagnia Bella!
Matilde Politi – A tirannia. Canti politici e storici del popolo in Sicilia (Teatro del Sole)
A fronte di una copiosa produzione di materiale della tradizione popolare italiana, è sempre più difficile venire in contatto con dischi che prendono in esame il repertorio dei canti politici e di lavoro. Ancor più difficile è venire in contatto con dischi di debutto dedicati a questo materiale, a patto di non voler pescare nell’ormai abusatissimo combat-folk diventato ormai una caricatura rispetto a quello che esplose negl’anni novanta grazie a Gang e Modena City Ramblers. Uno dei dischi di debutto più sorprendenti degli ultimi anni, nel panorama della musica di riproposta è senza dubbio A Tirannia, Canti Politici e Storici del Popolo in Sicilia di Matilde Politi, musicista e ricercatrice siciliana, che ha dato vita ad un intenso e coraggioso percorso di ricerca attraverso i canti di politici e di lavoro della tradizione sicula. Per comprendere lo spirito che anima questo lavoro è interessante riportare quanto ha scritto la stessa Politi nella presentazione del disco: “(…) Le testimonianze arrivate a noi che, nella lingua del popolo, narrano questi avvenimenti vanno allora lette, seppure distanti nel tempo e nelle forme, come un’unica “cantata” che dimostra come la parte migliore del popolo in Sicilia abbia da sempre reagito, e reagirà, con la stessa fierezza e la stessa determinazione contro ogni “tirannia”. All’ascolto il disco sorprende per lo stile scarno eppure intensissimo dove a brillare è la voce della Politi accompagnata da strumentazione per lo più acustica, senza mai abdicare a sonorità facile ma rimanendo fedele alle strutture originali. Sin dalle prime note della title track, brano che apre il disco e che ci arriva in una struggente versione dal vivo, si comprende chiaramente come la ricercatrice siciliana abbia cercato di ripercorrere quei sentieri tracciati dalla voce dell’indimenticata Rosa Balestrieri, e ciò lo si nota nell’approccio vocale che pur mantenendo tratti molto personali, ci riporta a quel timbro cristallizzato dalla cantrice siciliana. I brani si susseguono in tutta la loro nuda e cruda drammaticità, aprendo uno spaccato sulla storia vista con gli occhi degli oppressi, come nel caso de Guvernu ‘talianu o della profondissima Lamentu pi Turiddu Carnivali su testo di Ignazio Butitta e resa celebre dalle interpretazioni di Ciccio Busacca e Otello Profazio. Insomma A Tirannia è un disco impegnato, che poggia su una solida base fatta di ricerche sul campo e sulle fonti originali, un opera unica nel suo genere che rende omaggio ad una tradizione musicale di cui si vanno perdendo sempre più velocemente le tracce, a favore di sonorità e temi spensierati e più accattivanti. La musica popolare però non è solo danza, ma soprattutto è la voce del popolo, e questo disco arriva a recuperare la vera voce dei lavoratori, oppressi, sfruttati e malpagati, la voce della gente comune che soffre e combatte giorno per giorno.
Matilde Politi – Si Eseguono Riparazioni Dell’Anima (Arcimiccica)
Si Eseguono Riparazioni dell’Anima è il terzo disco di Matilde Politi e segue gli ottimi A Tirannia e Sugnari, dischi diversi nella loro concezione eppure animati dallo stesso spirito fatto di ricerche sul campo e studio delle fonti tradizionali. Questo terzo lavoro della musicista e ricercatrice siciliana rappresenta un ulteriore evoluzione del suo percorso artistico e laddove nel passato aveva rielaborato le fonti originarie, qui se ne serve come ispirazione creativa che la vede alle prese con un cantautorato poetico ed intenso che penetra nel profondo dei sentimenti, delle coscienze e giunge dritta al cuore. Il disco inciso con la collaborazione di ottimi musicisti come Gabriele Politi (violino, viola, oud), Simona Di Gregorio (organetto e concertina), Lelio Giannetto (contrabbasso) e Lajos Zsivkov (darbouka, djembe), vede la cantautrice siciliana destreggiarsi con agilità tra la chitarra, la fisarmonica e le percussioni. La voce intensa della Politi conferisce forza e spessore ad ogni brano, quella forza e quello spessore di chi canta ciò che sgorga direttamente dal suo cuore. Nel suo cantautorato ritroviamo intatta quella voce del popolo che animava A Tirannia, ma qui assume tratti più intimisti e personali e laddove si parlava di politica qui si incontrano temi più personali come nel caso della struggente Figghiu Miu, un dialogo tra madre e figlio di grande intensità emotiva o ancora la bellissima Cumari che ricorda vagamente nella struttura un plazer provenzale. Spesso la Politi rielabora melodie della tradizione adattandovi testi personali, in altri casi compie il procedimento inverso mettendo insieme frammenti di canti raccolti sul campo, il tutto mantenendo fede alle strutture musicali tradizionali, riuscendo a mantenere intatto quella innocenza e quella purezza che sono alla base delle melodie popolari. Insomma Si Eseguono Riparazioni dell’Anima è un disco di grande spessore non solo musicale ma anche poetico e brilla per il profondo studio sulle fonti tradizionali che è alla base di tutta la produzione della Politi.
Salvatore Esposito
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