Cantautore, illustratore, regista, Dario Sansone è considerato uno degli artisti di punta della nuova scena musicale partenopea, non solo per la sua originale cifra stilistica, ma anche per quell’approccio multidisciplinare che lo ha portato, spesso, ad incrociare musica, disegno e narrazione visiva. Frontman dei Foja, con cui ha pubblicato sei album e calcato palchi in Italia e all’estero — incluso il prestigioso Teatro San Carlo di Napoli, dove nel 2016 ha firmato il primo concerto rock della storia dello storico teatro lirico — ha realizzato come disegnatore quattordici albi del fumetto Lazarus Ledd, mentre nell’ambito dell’animazione ha firmato gli apprezzati lungometraggi come “L’Arte della Felicità” e “Gatta Cenerentola”, di cui è stato co-regista, oltre ad averne firmato la colonna sonora con i Foja. “Santo Sud” è la sua opera prima come solista, racconta l’amore di un uomo per la sua città del Sud, un luogo che può essere sia inferno che paradiso, può deludere, ferire, ma anche spingere a ricercare nuovi stimoli e nuove esperienze. Il cantautore napoletano canta, così, dell’amore per le proprie radici, del dolore del distacco, raccontandoci il viaggio che è un continuo ritorno al punto di partenza, sempre alla ricerca del proprio Santo Sud. In questa intervista, Dario Sansone ci accompagna dentro il mondo di ‘Santo Sud’, tra musica, disegno e impegno narrativo, raccontando l’evoluzione di un linguaggio artistico in continua trasformazione.
La scelta è stata del tutto naturale, sono state le canzoni a guidarmi e indicarmi la strada. Questi pezzi mi hanno chiesto vestiti diversi, e poi a livello personale era il momento per qualche piccola rivoluzione.
Dai Foja alla tua opera prima come solista, come si è evoluto il tuo songwriting? Quali sono le identità e le differenze sostanziali tra queste due esperienze?
Rispetto a scrivere per una band, quest’album mi ha dato l’occasione di scrivere e cantare in una maniera diversa, di poter esplorare ottave più basse di poter sussurrare, laddove gli arrangiamenti della band chiedono una maggior pressione sonora e alle frequenze della voce di imporsi nel progetto solista le produzioni hanno messo voce e parole al centro della questione.
Ci puoi raccontare com’è nato il progetto “Santo Sud”, non semplicemente un disco ma anche una raccolta di disegni e parole “Santo Sud – A Poetry Sketchbook”?
È un progetto che è nato spontaneamente e mi ha chiesto di allineare tutti i miei aspetti espressivi in un unico concept basato sul viaggio interiore e fisico, sulle contraddizioni e il coraggio.
In che misura il tuo songwriting si interseca con la tua attività di disegnatore?
Spesso, come nel cinema di animazione, le due anime si incontrano, la musica e le arti visive possono potenziarsi a vicenda e supportarsi per raccontare l’anima.
Hai registrato “Santo Sud” tra Parigi e Napoli. Ci puoi raccontare questa esperienza?
Ancora non so decifrare cosa esattamente mi ha spinto ad andare a registrare a Parigi, o meglio, sapevo
che volevo cambiare “aria” e fare esperienze nuove, ma non so perché proprio Parigi, probabilmente, il perché è nascosto nell’apertura musicale e artistica che si respira in Francia. È stata per me un’esperienza intensa.
Com’è nato l’incontro con Seb Martel?
Seb mi è stato suggerito da Flo, cauntatrice napoletana che ha realizzato un disco con lui. È stato un incontro artisticamente e umanamente folgorante, è riuscito a trattare le mie canzoni con l’amore e il tatto giusto, aggiugendo sfumature sperimentali alla mia scrittura.
Come si è indirizzato il vostro lavoro in fase di arrangiamento e costruzione del suono?
Sono arrivato da Seb con delle pre-produzioni molto complesse ed eterogenee e il primo lavoro è stato proprio quello di sgrassare le canzoni di tenere quello che di buono c’era e togliere il superfluo, arrivale all’essenziale, che è quello che poi in fondo necessitano le canzoni. Dopo di che abbia eseguito delle take conservando l’istinto primordiale e guidandolo fino al compimento dell’arrangiamento. Il risultato è un melange tra acustico ed elettronico molto delicato.
Al disco hanno collaborato diversi amici come Gianfranco Gallo, Ciccio Merolla, Irene Scarpato, Simona Boo, Pierpaolo Provenzano, Diego Abbate e Gianluca Capurro. Quanto è stato importante il
Tutti i contributi sono stati naturali, incontri sulla rotta del Santo Sud, amici di avventure finiti nella lavorazione di quest’album che hanno contribuito impreziosendo con la loro arte il mio progetto.
Il titolo del disco “Santo Sud” sintetizza bene il filo rosso che lega i dodici brani: l’alto della sacralità, il basso dei sud del mondo. Ci puoi raccontare le ispirazioni alla base di questo disco?
È un album che racconta per contrasto le nostre contraddizioni, gli aspetti più nobili ma anche quelli più dolorosi che ci appartengono, e per farlo rimette in discussioni pezzi di vita, apre interrogativi introspettivi e sociali. È anche un atto d’amore verso la mia città, amore che dovrà essere ritrovato allontanandosi dalle abitudini e dai luoghi per poterli risentire propri.
Apre il disco “Where is my place?”. Come nasce questo brano?
È l’inizio del viaggio, una preghiera laica, il primo quesito che mette in chiaro che quest’album necessità di attenzione e cura, e soprattutto è alla ricerca del proprio posto nel mondo.
Le sonorità afro-beat pervadono “Mamma” dove spicca il verso “Mamma perché non ci capiamo più/Mamma perché non ci parliamo più/Quando arriva la fine del mondo vorrei averti qui”. Ci puoi raccontare questo brano?
È un’altra richiesta. Questa volta alla madre terra, alla madre/matrigna che a volte può diventare una città piena di contraddizioni. La via sembra smarrita e una madre è simbolo protezione che a volte può diventare oppressione.
Tra i momenti più intensi e poetici ci sono certamente “Cu’ddoje parole” e “’Na poesia e ‘na
La prima è una canzone d’amore che racconta un distacco, amore inteso in senso largo. La seconda parla proprio della mia città delle sue luci e delle sue ombre, ed l’immagine che si ha nel cuore e negli occhi quando si è distanti e si immagina il ritorno.
Uno dei vertici del disco è “L’ammore succere”. Ce ne puoi parlare?
È una vecchia canzone tornata a galla, scritta con Gnut più di dieci anni fa durante la nostra intensa collaborazione per il progetto Tarall&Wine. È riaffiorata a pel d’acqua durante la navigazione di Santo Sud, e siccome tra i temi di questo disco c’è quellodi indagare sul tema dell’amore e la sua imprevedibilità mi è sembrato giusto dargli un posto nel progetto.
Hai già rodato dal vivo i brani di questo nuovo disco. Come si evolve sul palco?
Le canzoni si reggono sia in versione voce e chitarra che con l’ensemble al completo. La sua forma migliore è quella teatrale per cui ho scritto una drammaturgia che accompagna il racconto del concept di Santo Sud e che conto di portare in giro quest’inverno.
Dario Sansone – Santo Sud (INRI/Metatron, 2025)
“Questo progetto, ancor prima di uscire nella sua forma discografica è riuscito a darmi tanto, mi ha insegnato tante cose ed è diventato parte integrante della mia vita. È un viaggio reale, profondo, che mi ha cambiato e mi ha insegnato ad avere coraggio nei momenti difficili e ad avere fiducia nelle emozioni vere ed essenziali. È una dedica a tutti gli uomini aperti al cambiamento ma che non scendono a patti con le esigenze di mercato, che cavalcano l'ispirazione, seguendo la rotta tracciata dalla poesia”. Con queste parole Dario Sansone presenta “Santo Sud” la sua opera prima come solista, un progetto che trascende i confini del formato discografico tradizionale, per diventare un’opera d’arte totale: un concept album, un concerto teatrale e un libro illustrato “Santo Sud – A Poetry Sketchbook” (Comicon Edizioni), un taccuino che raccoglie disegni, poesie e testi firmati dal cantautore napoletano. Tre livelli espressivi differenti per raccontare le contraddizioni della Napoli di oggi, la sua città che riflettono quelle della nostra epoca, un tempo sospeso tra bellezza e dolore. È una città che è madre e matrigna, amica e sorella, da cui fuggire ma alla quale tornare sempre per ricercare nuovi punti di partenze e nuovi stimoli. Il titolo del disco rimanda idealmente a quella la tensione che insiste tra sacro e profano, tra aspirazione e radicamento. Il “Santo Sud” è il punto d’equilibrio tra l’altezza spirituale della santità e la profondità viscerale del Sud. Lì, nel mezzo, si muove l’essere umano, sospeso tra il desiderio di elevazione e il richiamo della terra. Prodotto da Seb Martel – già collaboratore di artisti come Femi Kuti, Manu Dibango e Camille – e registrato tra Napoli e Parigi, il disco raccoglie dodici brani che, nel loro insieme, compongono le tappe di un itinerario sonoro ed emozionale in cui Sansone canta dell’amore per le proprie radici, del distacco e del dolore che ne derivano, un viaggio che è eterno ritorno al punto di partenza alla continua ricerca del proprio "Santo Sud". Tutto questo si riflette nella scelta di un sound plurale che colora la canzone d’autore di incroci ed attraversamenti musicali che si dipanano dalla canzone napoletana contemporanea ai suoni del Medio Oriente, per toccare l’Africa e il Sud America, il tutto impreziosito da arrangiamenti curati, vibranti e mai patinati. Il tocco del messicano César Urbina al mixer completa il quadro con un lavoro di cesello sui suoni, esaltandone le sfumature più intime e le tensioni più profonde. In questo senso importante è stato anche il contributo dei diversi ospiti, tra cui spiccano le voci femminili di Irene Scarpato (Suonne d’Ajere) e Simona Boo (99 Posse), la creatività percussiva di Ciccio Merolla con i suoi accendini e cucchiarelle, l’attore Gianfranco Gallo in un cameo recitato nella conclusiva “La Canzone del Sol (Maggiore)”. Ci sono, poi, ancora Pierpaolo Provenzano de La Terza Classe, Diego Abbate e Gianluca Capurro ai cori, a comporre un collettivo a geometrie variabili che ha incarnato perfettamente lo spirito del progetto. Ad aprire il disco è la riflessiva “Where is my place?” una preghiera laica per il Sud giocata sul climax afro-beat di percussioni e chitarre elettriche. Si prosegue con i ritmi africani della dolce ed intensa “Mamma”, cantata a due voci con Irene Scarpato e la riflessiva title-track, avvolta da sonorità world, che racchiude il senso profondo di tutto il disco. “Sole”, primo singolo estratto dal disco, è un canto per la pace, sostenuto dal ritmo in crescendo dei tamburi a cornice, che culmina nelle liriche della poesia “E do metà della mia vita” del poeta palestinese Tawfiq Ziyad. Il canto d’amore “Cu’ Ddoje Parole” ci introduce alla splendida “‘Na Poesia E ‘Na Jastemma” che affonda le sue radici nella canzone classica napoletana e all’incanto acustico di “Namoury” cantata con Simona Boo. Si canta d’amore ancora in “’Ammore Succere” mentre “La Legge del Potere” è una amara riflessione su “chi ha tutto e vuole tutto” che sporca, umilia, avvelena, inganna, svende e corrompe pur di far valere la sua posizione. La struggente e malinconica “La Nostra Canzone” ci guida verso il finale con l’introspettiva “‘A Vita mia” e la trascinante “La Canzone del Sol (maggiore)” che suggella un disco intriso di emozioni complesse che oscilla tra l’intimità e la denuncia, tra il canto e il silenzio.
Salvatore Esposito
Foto di Bruno Mottola (1, 2 e 3) e di Daniele Lepore (4 e 5)