Questo terzo disco di Brivele, “Khaveyrim Zayt Greyt”, è ancora “materiale resistente”, pubblicato in seconda cupa epoca trumpiana, il primo giorno di maggio di quest’anno e contiene le voci degli esclusi della società americana di ieri e oggi: lavoratori disoccupati, carcerati, sfrattati, immigrati, scomparsi, poeti nelle liste nere, scrittori assassinati, gente sfuggita a genocidi. Le melodie si intrecciano con ballate antifasciste e sindacali, in un folk-punk di istigazione alla rivolta contemporanea, attraverso armonie vocali che sovrappongono situazioni varie. Sono canzoni che giungono dagli archivi per finire impollinate da altre, la geografia diventa così un gioco del tempo e la Romania del 1941 può trasformarsi nell’ “America che non è mai stata l’America” di Langston Hughes con i suoi milioni di disperati senza “alcun compenso se non quel sogno oramai quasi spento”. Il disco riflette l’insieme di questo crogiolo cultural-identitario che sembra perennemente in via di sparizione sul filo della malinconica liturgia che attraversa i periodi di miserabili guerre di potere. È la poesia ebraica di “The Well” (Itsik Fefer) musicata in passato dalla diva israeliana per eccellenza Chava Alberstein assieme ai Klezmatics, ad ispirare “Di Grenetsn” (...dove lo stato di diritto non viene applicato, la verità è falsificata e le morti di massa sono giustificate, le frontiere chiuse punteggiano la terra). Ma nella ripresa di “Anthem” di Leonard Cohen, la poesia tende a una riconciliazione partendo dalle fonti della Cabala del rabbino e teologo ottomano del XVI secolo Isaac Luria, nel tentativo di togliersi dai cocci e dai brandelli contemporanei. La strofa del ritornello di questo brano, divenuta universalmente celebre e che cita “una fessura in ogni cosa da cui entra la luce” induce all’ottimismo nonostante l’apparente mancanza di speranze. Proviene direttamente dal concetto cabalistico di “luce infinita” elaborato da Luria, studioso del pensiero mistico ebraico che, dopo l’espulsione dei Sefarditi dalla Spagna e a seguito degli orrori dell’Inquisizione, sostenne che dell’antica luce che aveva svuotato il centro, rimanesse comunque un sottile raggio che attraversava la “circonferenza immaginaria”. La canzone di Cohen viene unita alla militante “Un Du Akerst”: “Svegliati, lavoratore e riconosci la tua grande forza, se il tuo braccio potente lo vorrà, tutte le ruote si fermeranno” testo yiddish di Chaim Zhitlowsky (1865-1943) derivato dal poeta tedesco Georg Herwegh (1817-1875) che prenderà parte al tentativo di rivoluzione nel Baden del 1848. Un simbolico verso del testo coheniano (Chiedemmo segni e segni furono inviati: la nascita tradita, il matrimonio consumato, la vedovanza di ogni governo. Segni visibili a chiunque) viene qui sostituito da uno originale di Stefanie Brendler: “Lavoriamo i campi e rammendiamo i vostri vestiti, ci prendiamo cura dei vostri figli e vi costruiamo le case ma il governo ci lascia esposti a tutti gli elementi”. Resta ancora da dire del quarto brano del cd che è “Bella Ciao”, le cui parole parrebbero riprendere la canzone popolare piemontese ottocentesca “Fior Di Tomba”. Si tratta della canzone italiana più famosa al mondo (forse anche più di “Volare”) e che prima di diventare inno della Resistenza partigiana, veniva cantata dalla Brigata abruzzese Maiella. La melodia, com’è noto, ricalca la popolare “Katjuša” sovietica, ma un’altra ricerca la fa risalire a un brano yiddish-ucraino inciso a New York dal fisarmonicista Mishka Ziganoff nel 1919. Costui aveva registrato due canzoni per un 78 giri di accordion solo, presso la Columbia Records americana, il titolo del lato A era “קויהלען טאַנץ" (Koilen = Carbone) che possiede il medesimo incipit di “Bella Ciao” (svariati brani klezmer hanno peraltro, lo stesso inizio di questo come, ad esempio, “Silberne Khasene”). Alcune delle lettere di cui canta Brivele per arrivare a destinazione sono costate vite umane, altre non sono mai giunte come quella a Suzanne di cui si lagnava Leonard Cohen in “Diamonds In The Mine”, qualcuna forse, vaga ancora o è giacente in qualche antro nascosto. Oggi sono passate di moda, divenendo “specie in estinzione” ma un tempo coprivano distanze, riempivano vuoti, a volte rimanevano un segreto tra i corrispondenti. Con la sua musica Brivele ci ricorda che attraverso le lettere si sono diffuse idee di pace e di guerra, che senza di loro, la Grande Storia del Mondo sarebbe stata diversa, che sulle lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana ed europea c’è un crinale importante su cui si divide il ‘900. E non dimentica neppure, tra le righe, le lettere “povere”, le “lettere in bottiglia” o quelle immaginarie.
Flavio Poltronieri