Banda Solìa – Ël Bal ëd la Còrda (Autoprodotto, 2025)

In piemontese, “banda solìa” significa “parte assolata”, ovvero il versante di una valle esposto al sole “all' adrecc” (alla dritta), contrapposto a all’envers, il lato in ombra. Questa metafora luminosa racchiude in modo efficace il progetto intorno al quale ha preso vita Banda Solìa, formazione che si propone di riportare “arbät del sol”, “alla luce del sole”, un patrimonio musicale e coreutico raccolto in oltre mezzo secolo di ricerca sul campo tra il Canavese e il Biellese. Nato intorno al musicista e etnomusicologo, Rinaldo Doro (fisarmonica diatonica, tin whistle e pianoforte), il gruppo vede protagonisti: il percussionista e ricercatore Federico Chierico (percussioni alpine; fleyé, tambour de Cogne, cuciàr, tachenettès, cassul, conchiglie, etc.), Luciano Conforti (ghironda e clarinetto) già tra i fondatori dei Quinta Rua e attivo da oltre quarant’anni in diverse formazioni, e Beatrice Pignolo (violoncello, tambour de Cogne e toun-toun), nota per la sua attività di insegnante di danze popolari e antiche. Quattro strumentisti dalla lunga militanza e dalla profonda esperienza nella ricerca etnomusicologica, in grado di coniugare competenza tecnica, passione e consapevolezza storica. Partendo dagli archivi del “Centro Etnologico Canavesano” (C.E.C.) di Bajo Dora (To) di cui Rinaldo Doro è presidente, il quartetto ha dato vita ad un intenso percorso di ricerca e rielaborazione di un ampio corpus di musiche tradizionali, conservate in manoscritti, libretti a stampa, archivi e registrazioni orali che spazia dalle ballate epico-liriche ai canti rituali e alle numerosissime "Ballabili da Quintèt" (Valzer, Mazurca, Polca, Monferrina). “È nostra aspirazione, comunque, avvicinarci con uno spirito ‘popolare’ alla materia”, sottolineano nella presentazione del progetto, “non esasperando il tutto con arrangiamenti poco consoni alla freschezza e alla filologia del repertorio; mantenendo sì un atteggiamento spontaneo, ma non approssimativo. In fondo, “a l'è mach la Musica ch'a fa stè bin”, è solo la Musica a renderci migliori”. Insomma, questo è il loro blues. Ed è un blues che risuona con la forza gentile del legno, della danza, del sole e del tempo. A cristallizzare il lavoro di ricerca compiuto è “Ël Bal ëd la Còrda”, opera prima del gruppo, che raccoglie
ventotto brani strumentali legati alle musiche tradizionali che animavano i “Bal à palchet”, il ballo a palchetto, momento molto atteso dai giovani, e anche dai meno giovani, che potevano ballare in allegria e, magari, trovar moglie. Accolti dal saggio introduttivo di Rinaldo Doro che con un brillante verve narrativa ricorda i Sonador con le “loro facce allegre ma gli occhi un po' stanchi”: Tajanda (Agostino Cominetto) col violino che danza, Palasot (Aristide Mosca) al clarinetto smontato, Paulin (Paolo Avondoglio) che sfida i limiti dell’armonia, Rabàt (Dante Corzetto) alla tromba che “si danno da fare per la festa, per i Coscrit (coscritti), per i Priori...” e, poi, ancora Bagino, Broglin, Macinato, Bascianët, El Canon, Pero dël Mont, Castlët, Siringa, Bar e tanti, tanti altri”. Sono personaggi da teatro popolare, eroi minimi di un mondo perduto, ma ancora palpitante. “Celebrare questi suonatori, ricordare le loro storie uniche e particolari come tutte le storie di vita vissuta, di esperienza condivisa nel bene e nel male, di povertà economica e ricchezza spirituale, è al giorno d'oggi più che un dovere”, sottolinea Doro. “La memoria va protetta, va analizzata e poi diffusa, senza retorica o nostalgie passatistiche. La testimonianza data da questi Sonador può essere valida ancora oggi, in tempi imprevedibili e oscuri come i nostri, ma questi sono e ce li teniamo”. Doro, poi, si sofferma sul “Bal a Palchèt”, vero fulcro sociale e sentimentale delle comunità piemontesi dove il ballo non era mai semplice intrattenimento, ma un rito collettivo, un’arena dove si giocano passioni, amori, rivalità. Dietro tutto questo fermento c’era una rete fitta di impresari, editori musicali e suonatori autodidatti ma straordinariamente competenti, spesso incapaci di firmare il proprio nome ma perfettamente in grado di leggere uno spartito e arrangiare un valzer. Il palchetto, coperto da un telone, ospitava orchestre locali e
orchestrine itineranti, e aveva delle regole ben precise: biglietti validi per tre balli che diventavano quattro (la “Quatriglia”) con l'aggiunta di una Monferrina o Corenton finale, come sigla per far uscire i ballerini che avevano già ballato. Il biglietto era destinato ai soli Cavalieri, mentre le Dame potevano entrare gratuitamente, probabilmente per attirare più ballerini. Una corda veniva tesa sul palchetto e un addetto ripuliva la pista da ballo. Per continuare a ballare, bisognava acquistare un nuovo biglietto per i successivi tre balli. Ogni “Quatriglia” era una sfida, ogni biglietto un lasciapassare per un’emozione. Il contesto descritto è vivido e credibile, tra teloni, corde tese, orchestrine improvvisate, e un’umanità che si accalca e si diverte con fame di vita. Non è un caso che il titolo dell’album rimandi proprio a quella corda che delimitava lo spazio coreutico, evocando le atmosfere vive e partecipate di quei balli comunitari che si svolgevano su pedane di legno, coperte da teloni, spesso nel cuore delle feste paesane. Registrato tra gennaio e ottobre 2024 presso lo studio Fenima Recordings di Cavagnolo (To), il disco vede la partecipazione di alcuni ospiti d’eccezione: Vincenzo Zitello (arpa celtica), Laura Merione (violino), Francesca Conti (flauto dritto), e Nives (voce in “Courenta Bau Bau”) che aggiungono i propri colori senza mai snaturare la coerenza complessiva del lavoro. Sin dalle prime note emerge una commovente tensione narrativa: gli strumenti sembrano animarsi, raccontare storie, evocare volti e momenti sospesi tra festa, sudore e malinconia, e quei Sonador, rievocati nel testo introduttivo con uno sguardo pieno di affetto e ironia, sembrano tornare idealmente a vivere. Durante l’ascolto i ventotto brani si susseguono, quasi senza soluzione di continuità a formare una lunga suite che abbraccia un lungo periodo temporale dall’Ottocento fino agli anni Trenta del Novecento e spazia tra monferrine, valzer, polche, mazurche, scottish, galop e correnti, provenienti da fonti differenti – dal repertorio a stampa del maestro Francesco Alessio a quello manoscritto del trombettista Dante “Rabàt” Corzetto, fino ai quaderni di Edvige Mesturini, suonatrice della Val Chiusella, o ai ricordi familiari del fisarmonicista Giovanni Broglino. I brani sono proposti nel rispetto della prassi esecutiva tradizionale, ma con un gusto contemporaneo che non snatura l’identità originaria delle musiche. La scelta filologica è
chiara: niente arrangiamenti pomposi o contaminazioni forzate, ma una resa sonora sobria, rispettosa, eppure vitale, capace di restituire al repertorio la sua funzione primaria: far danzare. Ad aprire il disco sono le “Monferrine della Valle Cervo” (nn. 1 e 8), brani per flauto traverso provenienti da Piedicavallo (BI), a cui seguono “Polca di Broglino, firmata da Giovanni Broglino, ultimo suonatore di Semitoun (fisarmonica semitonata) del Canavese, e “Stème Alegher!”, tratta da un metodo per ocarina del 1908. Il “Valzer in La minore” e la “Polca n. 2”, provengono dal repertorio di Dante Corzetto, detto “Rabat”, trombettista di Rueglio il cui soprannome – legato a un'esperienza migratoria paterna in Marocco – racconta di incroci culturali che influenzavano anche la musica. Così anche le “Polche n. 22 e 24”, rielaborazioni “alla mòda piemontèisa” di motivi appresi durante le emigrazioni. Tra le pagine più suggestive del disco, la “Mazurca “Eda””, composta nel 1938 dal Maestro Francesco Alessio detto “Cecot”, musicista di Casalgrasso (CN), che fu autore popolarissimo tra le orchestrine dell’epoca. Altrettanto affascinante la storia della “Polca n. 8” di Battistino, riportata alla luce grazie al nipote del suonatore che, rimuovendo strati di carta incollati su vecchi spartiti, ha permesso il recupero del repertorio originale del Quintët di Brosso. Il “Valzer Amore Notturno” è un raro esempio di composizione in tonalità minore, insolita per l’epoca, sempre dal lascito di Rabat. “Scozzese n.1” e “Scozzese n.2” sono tratte dal manoscritto ottocentesco di Luigi Compagnoni – oltre trecento brani per violino – rappresentano un patrimonio straordinario per la comprensione della danza popolare “di gusto italiano”. Non mancano incursioni nel mondo contadino e rituale con brani come la “Corrente Bau Bau” e la “Corenta di Barbania”, ancora oggi suonata in occasione del falò votivo del paese omonimo. Chiude il disco un affondo nella Valle di Cogne con Monferrine e Valzer della tradizione valdostana, suonati da Adolphe Gérard e Mariolino Jeantet, testimoni viventi di una musica che resiste al tempo. “Ël Bal ëd la Còrda” è un documento di memoria sonora, un atto d’amore verso chi ha saputo "giustarsi" con la vita, portando musica dove c’era poco altro, regalando sorrisi, balli e, a volte, storie d’amore destinate a durare tutta una vita. Banda Solìa riporta alla luce un patrimonio musicale con grazia e rigore, rendendo il passato immediatamente vivo. Una danza che non è solo memoria, ma possibilità di comunità oggi. E se “a l’é mach la Musica ch’a fa stè bin”, allora questa raccolta è un invito sincero a ritrovare, danzando, il senso della nostra umanità. 
Il disco può essere acquistato ai concerti di Banda Solìa oppure scrivendo a rinaldo.doro1959@gmail.com.

Salvatore Esposito

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