Nino Scaffidi – A un pesce che esce (L’amor mio non muore/Artist First, 2024)

“A un pesce che esce” è il disco d'esordio del cantautore siciliano Nino Scaffidi, da anni trapiantato a Bologna. Nove canzoni e cinque frammenti con la produzione artistica di Roberto Villa. Il progetto grafico e le illustrazioni sono a cura di Maria Giovanna De Fino. Arpeggi di chitarra, cori e molta ironia tratteggiano l’iniziale “Ambarabaciccicoccò” (“E in quello spazio sconfinato, un pinguino innamorato che scriveva con il sangue le sue lettere d'amore mentre attorno sette suore recitavano il rosario e correggevano le bozze, dieci all'ora il tariffario e Chichito pregava ambarabaciccicoccò, ma non sapeva le parole, confondeva pure i santi con il volto dei passanti e invece di andare avanti quello dietro casa-chiesa chierichetto esemplare dunque cominciò a sparare”), chitarra classica, elettrica, flicorno sottolineano “Fondamenta nani” (“Certi pensieri sono distanze della paura diventano metro, come il respiro in un'agonia come il vibrare di una ragnatela, ma tu dammi la tela e prendi la mano che si e posata vicino la tua, rapida fuga, foschia di settembre camicia di forza alla finestra in estate”). “Primo innesto: uh uh botte?” ci porta a “Le nozze” (“E io alzo il bicchiere per deformazione professionale, mi sono pure travestitoe ho messo il vestito per l'occasione, ma non sono cambiato e ho sempre sul viso uno strano sorriso e in preda a mille elucubrazioni, ho già capito che sono un drogato”) con una bella ritmica di chitarra, fisarmonica e clarinetto, “Il sole dei morenti” (“Vuoi danzare con me, stasera lo sai, io danzo alla rovescia è una danza bislacca, tu fai la musica io faccio l'orchestra e venne una signora, un diamante e un infarto tra i denti, se ne andavano tra il lutto e l'abbaglio proprio come due soli morenti”) è sostenuta da percussioni e violoncello. Dopo il “Secondo innesto: canzone storta” si arriva alla delicata “Via Orfeo” (“Ma adesso basta è tardi e non ho voglia di star male indosso la camicia rossa che stasera si va a cantare, la gente non si accorge che ci hanno massacrati con gli orologi a pendolo e con le banche e coi peccati e tu chiamala carota, tu chiamala anarchia e chiamala farfalla lei prende e porta via”) macchiata dal clarinetto e all’incisivo flamenco, “Il sole dei morenti reprise” (“E allora canto da me, stasera c’è la festa della vanità produci consuma crepa, una risata vi seppellirà e la città splendeva di una luce siderale, sul letto sfatto la morte, pareva proprio una Madonna di sale”). Ancora un frammento di passaggio con “Terzo innesto: ‘u misteru” e via con violoncello, chitarra e fiati in “Conchiglia” (“La notte vegliavo di giorno sognavo un sistema operativo: Cataratto e ginseng, le Isole Eolie sembravano il Messico che era lontano ma mi dava la mano altrimenti cadevo e dipingevo i fondali con le corone di stelle che guardavo con te”). “Quarto innesto: un uomo morto” è il ponte per l'ottima e densa “Da dove sto chiamando” (“Da dove sto chiamando si mangiano ciliegie, si prende a far l'amore nelle chiese, dentro ai bar, si allevano i bambini col vino e coi pistacchi e con le automobili in prevalenza si gioca a scacchi”). Il “Quinto innesto: amélie” (scritto e cantato da Rosalia Perlungo) ci trascina al finale di “Michelle” (“Di sogno in sogno, la Terra è un alambicco del Sole distilla l’acqua di oceani e il sudore atomico di cavallette inseguite da cani furiosi, che anche la bava poi torna alla terra, sotto forma di pioggia e di Amaro del Capo”) con un violoncello ostinato e un'elettronica nebulosa. Quella di Scaffidi è una canzone d’autore diretta, senza troppi fronzoli, con una scrittura brillante, intelligente, bizzarra che ben si sposa con la voce tagliente, spigolosa, che a tratti ricorda Ivan Della Mea. Un ottimo esordio che consiglio vivamente, perché profuma di artigianato vero, puro, libero. 


Marco Sonaglia

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