FusaiFusa – Lamana (Locomotiv Records, 2024)

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“Lamana” è l’album d’esordio dei FusaiFusa, un’originalissima band musicale che propone una contaminazione tra sonorità mediorientali con ritmi maghrebini, elettronica, afro-beat e con sullo sfondo la cultura del sufismo sub-sahariano. Questa volta il viaggio parte da Aleppo e, passando per il Medio Oriente, giunge in Italia. Un viaggio musicale che, attraversando mari e deserti, diventa metafora di viaggi fisici, spesso anche molto drammatici. Viaggi che raccontano storie di un’umanità marginale e bistrattata ma che attraverso una musica ancestrale, cerca di riscattarsi progettando un futuro migliore. L’incontro tra musicisti con intenti e progetti comuni ha sempre bisogno di uno spazio, nel caso dei FusaiFusa è stato il vivace Locomotiv Club di Bologna, è qui infatti che si sono incontrati i musicisti che hanno realizzato il progetto. Il gruppo nasce da una autentica sinergia, anche se non amo molto questo termine, ma in questo caso rende bene l’idea, tra il compositore e polistrumentista curdo-siriano Ashti Abdo, il percussionista e producer elettronico tunisino Taha Ennouri e il cantante e autore di musica Sufi, anch’egli tunisino, Ali Belazi a cui si sono aggiunti come ospiti altri eccellenti musicisti. Aldilà di ogni dicotomia, ciascuna anima di questo lavoro mantiene la sua identità ma connettendosi con il tutto indistinto del mosaico (che è anche il significato del nome del gruppo). Proprio il caso di dire diversi ma uniti un messaggio che mai come in questo momento storico ha un significato profondo. “Lamana”, il titolo all’album, una parola araba che non ha un significato traducibile ma che già foneticamente, essendo una monovocalica con la ‘a’ e con delle consonanti dolci ‘l’ e ‘m’, ci invita ad una particolare sonorità diventando sineddoche del loro mondo musicale e del messaggio pacifico, inteso come dono di fiducia e forza. Insieme mistica e politica è “Exodus” è la lunga e inebriante traccia strumentale che apre il disco, una traversata sonora meditativa e psichedelica, ai limiti del trascendentale, che esprime in forma di musica, il viaggio dei migranti attraverso il deserto: un viaggio reale, fisico si diceva, ma che è prima di tutto un travagliato e drammatico viaggio interiore, racchiuso fra
la decisione di partire e la prospettiva della nuova realtà che si troverà all’arrivo. Basata su un loop che si sviluppa senza soluzione di continuità, è inutile cercarvi una linearità melodica. Infatti è costituito da una invarianza che richiede un tipo di ascolto piuttosto non lineare, che inesorabilmente conduce a uno stato catartico, trascendentale, meditativo. Ma il brano ha anche un significato politico perché evoca l’esodo, ovvero la traversata del deserto dei migranti, un viaggio faticosamente fisico ma anche interiore e spirituale. “Lamana”, la traccia seguente, è anche la canzone programmatica che dà il titolo all’album, un brano che sottolinea il ruolo e la responsabilità individuale dei musicisti a che si fa carico di diventare espressione collettiva. Comincia con un ritmo ossessivo gnawa eseguito dai qraqeb com’è nella tradizione marocchina e diventa rappresentazione simbolica delle catene ai piedi degli schiavi. Per un momento si esce dalla continuità di questo ritmo con un canto che ricorda un Iman che prega dal minareto a cui risponde il tipico coro marocchino di voci popolari femminili. Atmosfere jazz-blues di chitarre saracene e suoni elettronici si ritrovano in “Bêrîvanê”, un brano in forma A-B, una canzone d’amore il cui ritornello è costituito dalla lallazione che spesso ritroviamo nel mondo pop arabo. Momento topico dell’album è la quarta traccia, “FusaiFusa”, dove si evince pienamente l’identità musicale del gruppo e il grado di contaminazione tra il mondo arabo-andaluso rappresentato dall’oud, la zocra berbera e il saz curdo insieme con le sperimentazioni elettroniche di stampo europeo, raggiungono i massimi livelli, concretizzando il metaforico “mosaico” di mondi e tradizioni insito nel titolo. Essendo il sufismo l’ispirazione spirituale del lavoro ed essendo l’Italia uno dei luoghi d’accoglienza privilegiato, non poteva mancare un brano di un
maestro come Franco Battiato, uno dei primi artisti ad avere unito musicalmente il mondo arabo e l’Europa. Il brano scelto è “L’ombra della luce”, contenuto nell’album “Come un cammello in una grondaia” del 1991. La loro rilettura restituisce alla canzone la spiritualità pura dell’intuizione originaria del maestro italiano. Alla barocca armonia di passacaglia innestata dagli archi, viene sostituito il continuum di un suono basso elettronico, quasi come fosse una campana tibetana e a fargli da contrappunto suoni informi, una melodia modale e guizzi elettronici. Solo alla fine entra il ritmo pulsante delle percussioni che gli conferisce una dimensione più terrena. Da notare la differenza tra il canto presentato la prima volta in italiano e la seconda in arabo in cui c’è uno stretto legame tra la molteplicità sonora di vocali e consonanti e gli scivolamenti melodici infratonali, i colpi di glottide che naturalmente non ci sono nella versione italiana dove tutto appare più temperato. Alla solennità orchestrale del brano originale, i FusaiFusa sostituiscono la dimensione sonora che più gli appartiene, conferendo a questa preghiera e al rapporto fra vita e morte un’aura ancora più mistica. Puro divertissement sonoro è invece il pezzo successivo, “Mistikî”, dedicato a un bizzarro personaggio di nome Mustafà, una traccia che si sviluppa con un maqãm costituito dal ritmo dispari 4+4+4+3 introdotto dal saz piccolo acuto, si arricchisce poi con l’aggiunta della batteria, del basso e delle percussioni e, in modo sorprendente, anche da improvvise irruzioni del marranzano. Lamana si chiude infine con “Hevala Evîndar”, un brano di rara profondità emotiva è un invito alla fratellanza tra combattenti e un grido contro la desolazione lasciata dalla guerra, in un crescendo che culmina in un sentimento misto fra orgoglio e malinconia. Si tratta una canzone emotivamente toccante e straziante, una arabian song contrassegnata da un metro terzinato in cui l’accento è sempre sul terzo suono come nelle nostre parole tronche. Su questo tappeto ritmco si innesta la melodia minore che simbolizza la desolazione lasciata dalla guerra fratricida. Il crescendo rappresenta una presa di orgoglio e speranza in un futuro migliore: un altro omaggio al musicista curdo Ciwan HacoI. Un lavoro estremamente consigliato, sia per la bellezza e profondità musicale, sia per il suo urgente messaggio di trovare una trama comune a tutte le storie del mondo. 


Francesco Stumpo

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