Didier Laloy – Symphonic/Dyad – Komorebi Live (Zig Zag World, 2023)

Lo abbiamo visto all’opera in Urban Trad, Tref, Trio Trad, Belem e Belem et Mekanic, 100 Voltas, Duplex, Alegrìa e Libertà (dove tra gli altri, c’era la nostra Lucilla Galeazzi) e con il supergruppo Accordion Samurai. Ancora, il suo mantice si è intrecciato con le coreografie della danza contemporanea. E, qui, ricordiamo solo alcuni dei numerosi progetti intrapresi da Daniel Laloy, artista cha può contare la partecipazione a oltre duecento dischi. L’organettista belga di Etterbeek (1974) è riconosciuto come strumentista ai vertici del revival della fisarmonica diatonica in Europa; da tre decenni calca alla grande i palcoscenici delle “musiche attuali” ispirate ai repertori di tradizione orale e popolari con una cifra stilistica unica, superando le etichette e ricercando incessantemente condivisione scambio. Laloy si avvale di una solida tecnica strumentistica, non cede al virtuosismo narcisistico e lascia trasparire appieno la sua verve comunicativa e la sua carica umana, sia su disco che dal vivo. Nel 2023, per festeggiare il suo trentennale da professionista, Laloy ha registrato due album per la Zig Zag World di Poeny Gross, che tratteggiano la sua visione senza confini della musica d’autore per organetto diatonico. In “Symphonic”, registrato tra Belgio e L’Avana, suona insieme ai trenta musicisti dell’Orquesta Del Lyceum De La Habana, sotto la direzione di José Antonio Méndez Padrón. Laloy ha affidato il suo repertorio a due grandi nomi della scena classica belga, Jean-Luc Fafchamps e Gwenael-Mario Grisi, con i quali ha riarrangiato composizioni tra le più significative del suo repertorio in un assetto sinfonico. In più, nelle dodici tracce del programma sono inserite pagine di figure di spicco della musica cubana contemporanea: Pepe Gavilondo (le danzas piradas, divise in tre parti: “Quîntas”, “Anäloa e “Fèrebos”), Jorge Enrique Amado Molina (“Recuerdos de Juventud”) e René Baño Pascual (co-firma con Laloy “Las Escaleras”). Che il belga abbia grande personalità lo abbiamo detto, cosicché non sorprende che il rischioso incrociare la piccola fisarmonica diatonica e l’organico orchestrale si risolva in un eloquio di gran finezza. Atmosfere cinematiche pervadono l’iniziale “Pesto y Tempesta” e la quarta traccia, “Cine sombrero”. L’organetto disegna splendidi profili melodici in “Locura Lego”. Oltre, Laloy si rivolge verso l’Est Europa con i tempi dispari in “East Seventies”, si muove agilmente col suo mantice nel crescendo degli archi di “Las Escaleras”. Perfetta pure la sintonia con l’Orchestra in “Caminata Nocturna”, mentre il tradizionale svedese “Astridin Vals” chiude con una vena malinconica questa magnifica registrazione. 
Didier Laloy si propone in una differente configurazione in “Komorebi Live” (il termine giapponese “komorebi” indica un gruppo di musicisti), che va sotto il nome di duo Dyad. Qui, l’organetto del belga è in combutta con il contrabbasso del francese Adrien Tyberghein, già suo sodale in “Water & Fire” insieme a Quentin Dujardin. Da parte sua, il contrabbassista è capace di spaziare tra musica classica, jazz e musica contemporanea, vanta esperienze con l’Opéra National de Paris e l’Ensemble Intercontemporain. In questo secondo album la fisicità dell’organetto si fa più marcata, a iniziare dall’avvincente “Taketek”, la prima delle undici composizioni in scaletta. La coppia si produce senza remore in una continua rottura di schemi e di barriere stilistiche, disponendosi all’ascolto reciproco, con i ruoli che si scambiano e gli strumenti che si doppiano, si rispondono e si rincorrono. C’è forte intesa con Tyberghein, a sua volta protagonista nell’adoperare diverse tecniche esecutive ed espressive sul suo strumento (archetto, dita, effetti elettronici, ecc.). Dal carattere rockeggiante di “Gp” si passa ai rimandi immaginifici di “From Finnevaux to Timbuktu” e di “Bleu Indien”. Seguono le sottigliezze timbriche di “Chatillon” (co-firmata da Laloy con il francese Bruno Le Tron, suo mentore insieme a Marc Perrone e Jean-Pierre Yvert). Non mancano sorprese neppure in “Under the Oaks” e “Through The leaves”, due motivi composti da Tyberghein, ma è la convivenza tra pieghe sonore pacate e pensose e passaggi fitti e vorticosi che fa spiccare il volo a “Paseo & Tragoedia Lego”, il brano più lungo con i suoi oltre otto minuti. Disinvoltamente i due strumentisti si lanciano in cambi di umore e di tempi in “Vidoc suite”; classicismo e iterazioni minimaliste albergano in “Hat Man”, mentre l’alternanza di climi nella conclusiva “Tomy” produce una sensazione di ammirabile libertà espressiva. Gran disco. 


Ciro De Rosa

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