Babel Music XP, Marsiglia, La Friche Belle de Mai e Le Dock des Suds, 28-30 marzo 2024

“Da parte nostra, siamo estremamente soddisfatti di questa seconda edizione, perché risponde agli obiettivi di sviluppo che ci eravamo prefissati: continuare l'internazionalizzazione dell'evento, proseguire gli sforzi per abbattere le barriere estetiche allontanandosi dal vecchio concetto di world music. Naturalmente, ci sono molte aree in cui possiamo fare progressi, ma sapevamo anche che la seconda edizione sarebbe stata la più difficile, perché non si sarebbe più inserita nello slancio del rilancio. In questo contesto, l'edizione 2024 è un successo clamoroso, a conferma che risponde a un'esigenza reale del settore professionale internazionale. Quest'anno sono stati rappresentati in fiera quasi settanta Paesi, tra cui alcune delegazioni africane molto numerose. Gli operatori di questi Paesi hanno capito che Babel Music XP è una vera e propria porta d'accesso ai mercati europei e americani. Anche gli operatori di Libano, Belgio, Brasile, Germania, Inghilterra, Canada e Turchia erano ben rappresentati, il che significa che la nostra posizione di hub mediterraneo per la musica mondiale si è consolidata. Per il momento, il mondo francofono – in tutta la sua diversità – è il più rappresentato, ma gli anglofoni cominciano ad essere numerosi. Dobbiamo quindi sviluppare i contenuti, in particolare gli incontri
professionali in inglese e francese. Ad oggi, abbiamo solo una sala conferenze che offre entrambe le lingue, ma nei prossimi anni vorremo offrire altri contenuti accessibili in inglese”
. Nelle parole di Olivier Rey, direttore artistico di Babel Music, impegnato nel mondo della musica da oltre trent’anni anni con alcuni importanti eventi musicali come Fiesta des Suds, Zik Zac Festival Nuits Métis, il consuntivo della tre giorni di fieristico-festivaliera accolta dalla metropoli del sud dell’Esagono. Le cifre parlano di numeri interessanti: quasi duemila partecipanti accreditati e oltre diecimila spettatori, di incontri professionali organizzati su assi tematici, tavole rotonde, e sessioni di speed meeting. Rinato dalle sue ceneri nel 2023 dopo cinque “anni horribiles”, derivati dai l’azzeramento dei fondi della Région Sud prima e dalle devastazioni pandemiche Babel Music si è ripreso il suo ruolo di antenna che “ascolta il mondo” in una città da sempre crocevia di genti. Sul fronte musicale, si sono contate all’incirca trenta ore di musica su tre palchi serali dislocato nel complesso Dock des Suds, aperti al pubblico e non solo ai delegati. I trentacinque gruppi selezionati provenivano da quattro continenti e venticinque Paesi. In più, ci sono stati sette daycase fuori selezione con un focus su Libano, Canada e il Prix des Musiques d'Ici. Certo
è che la concomitanza con la Pasqua cattolica, potrebbe aver tenuto lontani un bel po’ artisti e addetti ai lavori. È vero pure, che in quest’ultimo lustro lo scenario delle fiere delle “musiche del mondo”, si è riempito di altri meeting costruiti sul format fiera, incontri di prefessional del settore, conferenze e showcase. Dall’Africa all’Europa, dall’Asia all’America Latina diverse manifestazioni riempiono l’agenda di chi si occupa di quella che per comodità definiamo ancora “world music”. Basti pensare che nei dieci giorni successivi a Babel, si tengono l’Atlantic Music Expo, la Tallin Music Week e Budapest Ritmo, solo per citare i primi due eventi che seguono la kermesse marsigliese. A Marsiglia, dal 28 al 30 marzo, la Fiera è stata ospitata alla Friche La Belle de Mai, uno dei principali luoghi culturali della regione, situato in una ex fabbrica di tabacco, in cui si è operato un insieme di trasformazione urbana, permanenza artistica, legame con il territorio e cooperazione attiva. Come detto, il programma concertistico dalle 20 a notte fonda, si è snodato nelle tre sale del complesso Dock des Suds: Stage Sucres, Stage Cabaret e Stage Mirabeau (quest’ultimo non il meglio sul piano acustico). Quello che segue è un percorso soggettivo, che
non vuole e non può essere esaustivo, della frenetica sequenza di live set. Iniziamo con gli strumentisti, parlando del bretone Erwan Keravec, suonatore bretone di cornamusa scozzese, compositore e improvvisatore, la cui sua ricerca va ad esplorare la possibilità di rileggere opere storiche del minimalismo con un organico di aerofoni da bagad (biniou koz, biniou e bombarda baritono). Keravac ci ha proiettati in dimensione cerimoniale con una rilettura in ottetto di pagine di Philip Glass (“Music in contrary Motion”, “Music in Similar Motion” e “Music in Fifths”). Dopo l’album in cui riprendeva “In C” di Terry Riley con venti suonatori (pubblicato da Buda Musique), a giugno si attende la nuova produzione dedicata a quattro composizioni del compositore di Baltimora. Un altro laboratorio del suono lo hanno prodotto François Robin (veuze – la cornamusa del Pays Nantais – e violino) e Mathias Delplanque (elettronica) nel progetto Les Ombres del la Bête, ampliamento in quartetto del duo, che annovera pure il contrabbasso di Dylan James e i sax tenore e baritono di Morgane Carnet. Si tratta di un precipitato di elementi di tradizione da danza della regione della Loira atlantica bretone con innesti di elettronica, poliritmie e fraseggi indiavolati di sax: una commistione inusitata di acustico ed elettronico. L’iconico liuto kologo
ghanese del popolo Frafra di Steve Atambire ha guidato lo show degli Alostmen, circondato da voci, un secondo cordofono, tamburi e idiofoni a regalare vibranti atmosfere neotrad, con virate rock, pop e rap. Esprit de finesse nella proposta della bravissima bandoneonista francese Louise Jallu, nella cui visione trasfigurata del tango non vengono meno omaggi piazzollani. L’artista si impone per un repertorio che fluisce, senza forzature, dal classicismo all’alveo jazz ma si alimenta pure alla chanson francese con occhio di riguardo verso Brassens. “Jeu” è il recente bell’album di una musicista che proprio sulla scia della visione di Piazzolla ha imparato a “non rifare ciò che è già stato fatto”. Inatteso quanto potente l’incontro tra Junko Eida, virtuosa del liuto satsuma biwa e cantatrice di espressioni tradizionali del buddismo e i lionnesi PoiL. Nell loro set la narrazione di storie dalll’epica medievale nipponica si infrange nel fragore jazz-punk e rock. “Nun’v’annumarate”: esortano, da parte loro, i Suonno d’ajere. È il titolo del loro nuovo album, presentato in anteprima proprio a Marsiglia. Il trio napoletano consacratosi ormai in alcune delle rassegne più importanti del circuito espone con maestria diversi stati d’animo e forme di canzone napoletana; è un raffinato convivere tra il carisma canoro di Irene Scarpato e gli intrecci
tra classicismo da concertino e e spumeggianti guizzi swing e blues delle corde di Gianmarco Libeccio e Marcello Smigliante Gentile. Fascino vocale emana il mondo altaico rappresentato dal mongolo Batsükh Dorj, cantore negli stili di canto difonico e padrone di un ricco armamentario strumentale (violino igil, il liuto toshpuluur, flauto shoor e scacciapensieri khomus), accompagnato dall’etnomusicologo e chitarrista Johanni Curtet. Adesso, voglio raccontarvi di Julien Achiary, figlio dell’immenso cantore basco francese Beñat, voce duttile e ricercatore di suoni a sua volta: mente aperta come il padre, insomma. Julien è una figura che conta nella nuova scena della musica tradizionale attuale pirenaica con modelli vocali ispirati non solo al mondo basco e occitano, ma anche a quella improvvisativa. Lo abbiamo visto all’opera prima con il quintetto Belogueta, intreccio di voci con ausilio percussivo in un compendio di canti che esaltano l’idioma d’Oc. E, ancora, con il superlativo quartetto Haratago, in cui la forma vocale “basa ahaide”, eseguita dai i pastori di montagna dei Paesi Baschi, dialoga con strutture musicali modali di ispirazione anatolica e caucasica costruite con un organico dalle timbriche insolite. Nello spazio Cabaret sono con lui in scena gli ottimi Bastiene Fontanille alla ghironda e al banjo, Jordi Cassagne al violone e
Nicolas Nageotte a clarinetto e duduk. Restando nell’area dell’Europa balcanica, ha pathos la voce della greca Dafné Kritharas, evocatrice di pluralità mediterranea, con un lirismo che ingloba folk e jazz. Ma sono altre due donne a lasciare il segno: anzitutto, l’electro folk della portoghese Ana Lua Caiano, che usa synth, loop station, beat machine e tamburi (adufe e bombo) che fa interagisce nell’esecuzione di repertori tradizionali. Porta sul palco con dolcezza la sua anima creola la cantante e polistrumentista Oriane Lacaille, capace di far emergere i codici policromi de la Réunion. A proposito di confini stilistici opachi, i Lagon Noir, nati dall’incontro tra esploratori del jazz più aperto: Quentin Biardeau al sax e al synth e Valentin Ceccaldi al basso, condividono la scena con la cantante reunionese Anne O'Aro e il percussionista-cantante burkinabé Marcel Balbonné. Tra jazz, afro beat, mayola e pop psichedelico traspare un linguaggio profondamente sincretico. Dalla scena cosmopolita di Montreal arriva il proteiforme Vox Sambou, mentre il sestetto libanese Sanam svela le sue ammalianti trame post-folk. Torride ibridazioni le offre il suono festivo di Parranda La Cruz (Venezuela, La Réunion e Francia). Si fanno portatori di vorticose confluenze acustico-elettroniche gli Zar Electrik. Con cassa in quattro, voci
melismatiche e incroci di corde, i cantanti-strumentisti Anass Zine e Arthur Peneau (gumbri, oud e kora elettrica) interagiscono con Did Miosine alle macchine. Un act tutto da ballare che cattura il grosso del pubblico convenuto. Da rivedere la fusione dei francesi Kunta, debitori ad afro-beat, psych-rock e hip hop retrò. Invece, i Kurdophone prendono i modi del maqãm, infondendoli di stilemi jazz-rock e di classicismo. Il Nagash Ensemble del pianista e compositore americano-armeno John Hodian, riporta in auge materiali del XV secolo in un mix non proprio al top di jazz, folk e canto lirico. Non manca la Bretagna delle fest-noz assume connotazioni rock ed elettroniche nella proposta dei Fleuves. Aprendo una parentesi sugli showcase diurni, segnaliamo le commistioni electro-tradizionali, tra dub, ambient e noise della dj-producer franco-tunisina Azu Tiwaline insieme alle percussioni della franco-iraniana Cinna Peyghamy. Vivace il folk-jazz dei quebecchesi Les Grand Hurleurs, la passione curda della francese Éléonore Fourniau (ghironda e saz), che in quartetto che passa in rassegna temi profani a canti sacri, le psichedelie folk dei franco-venezuelani Insolito Universo e la vitale combinazione timbrica di tar, qanun, 
viola da gamba dell’Ensemble Chakâm (l’iraniana Sogol Mirzaei, la palestinese Christine Zayed e la francese Marie-Suzanne de Loye, impegnate nel proporre i codici del radif e del maqâm. Infine, tra i DJ-produce set della tarda notte, segnaliamo Ghoula, producer della scena alternativa tunisina (si può dire drum & gasba?) e poi l’ugandese Faizal Mostrixx, produttore, DJ, ballerino e coreografo, che ha chiuso la tra giorni: campione afro-futurista di afro-house e dell’amapiano. Il forum mediterraneo della musica dà appuntamento per il 20, 21 e 22 marzo 2025, a giugno 2024 si aprirà le registrazioni per gli artisti. babelmusicxp.com 


Ciro De Rosa

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