Dobranotch – 20 Years (CLP Music, 2018)

In attesa del nuovo album, annunciato per il 2019, l’ensemble di San Pietroburgo Dobranoch si regala una sorta di greatest hits, in cui raccoglie un pò tutta la sua carriera, iniziata in Francia, nelle strade di Nantes, venti anni fa. Dentro ci sono finiti brani diversi tra loro e provenienti da contesti differenti, che solcano in modo inequivocabile la strada di questa band multiforme ed energica: dal folk urbano russo alla musica yiddish, dal klezmer alle musiche da ballo polacche, dalle espressioni musicali tradizionali ucraine a quelle moldave e bulgare, fino a brani trasportati dalla tradizione ottomana. Tutte le dodici tracce dell’album possono considerarsi originali, nella misura in cui sono ricomposte dalla band in modo del tutto nuovo, seguendo sì una traiettoria “zingaresca” - dentro la quale gli strumenti come banjo, violino, clarinetto e basso tuba segnano uno stile omogeneo e coerente nel tempo - ma anche una certa forma di sperimentazione. Soprattutto se si tiene in considerazione una evidente elasticità dell’ensemble, il quale (come abbiamo visto) non solo si confronta con un grande pan-genere, che abbraccia mezza Europa e che contribuisce in modo chiaro a connetterne diversi elementi espressivi e stilistici, ma aggiunge e toglie strumenti e suoni brano dopo brano. In questo modo, da un lato riesce con agio a muoversi a ritroso negli anni (nell’album è finito, in aderenza allo spirito celebrativo che lo connota, qualche brano già presente nella discografia della banda), riproponendo con nuovi arrangiamenti e nuove energie brani che il pubblico conosce. Dall’altro può “spostarsi” continuamente da un’area all’altra, senza lasciare spazio a divergenze troppo stonanti. Il collante di tutto sono ovviamente i musicisti, che eseguono le musiche con lo stesso atteggiamento, autoironico, permeabile ed entusiasta. Lo dico con una certa ammirazione, dovuta al fatto che spesso si cade in un tranello che le bande di questo tipo tendono involontariamente o inconsciamente, e che costringe chi le ascolta a battere sempre lo stesso ritmo, a riconoscere sempre gli stessi suoni, a immaginare e anticipare soluzioni strumentali o strutturali. Tutto questo i Dobranotch ce lo evitano con garbo, dimostrandoci che pur affrancandosi dalla rilettura documentata ed esegetica si può riproporre l’espressione tradizionale, tirando fuori dalla storia della musica popolare un nervo ben saldo della sua struttura multiforme. Un nervo che, nella misura in cui riesce a reggere gli strappi del tempo (la dimenticanza, la perdita graduale anche se spesso irreversibile di interesse nei suoi confronti, la lontananza degli studiosi, dei musicisti e anche del “popolo”), è in grado anche di riaffiorare ben saldo a sé stesso, con nuove sovrastrutture e interpretazioni. Ripercorrendo la storia dell’ensemble, documentata senza forzature nel libretto allegato al disco, non si può non tornare indietro fino agli esordi. Vediamo alcune fotografie che ritraggono dei musicisti con lo stesso piglio di oggi, e che ci informano su un paio di brani che hanno scelto come i più rappresentativi dei loro esordi e, direi, della loro parabola ventennale. Il primo è “U Egor’ja”, una folk song russa che racconta la relazione tra un musicista e la sua amata. La voce femminile è di Natasha Smirnovskaya, la quale denota il brano con un timbro malinconico e graffiante allo stesso tempo, che si incastra perfettamente nell’andamento circolare e ipnotico, quasi aritmico, di un brano mutuato dalla tradizione musicale russo-balcana. Gli strumenti sembrano non avere corpo e tutti concorrono a definire il profilo di un racconto rarefatto, fuori dal tempo, con cui la band vuole suggellare il suo ritorno a casa dopo l’esperienza francese. L’altro brano è posto in chiusura della scaletta. Si intitola “7.40 AM” ed è la vera celebrazione del progetto e del programma della band. È il pezzo più scarno dell’album, e la sua essenzialità ritmica è affidata a strumenti che si esprimono con secchezza e decisione: violino, chitarra, clarinetto, mandolino e contrabbasso. Che sembra ci dicano proprio “this is how it started twenty years ago in France, when we used to do buscking”. 


Daniele Cestellini

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