Festival La Zampogna, Maranola (Lt), 17-18 Novembre 2018

Se c’è un’immagine simbolica, che giustifica e qualifica “La Zampogna”, è quella dei due giovanissimi suonatori, uno locale, Daniele Forcina all’organetto, e l’altro, Claudio Ranieri alla zampogna, venuto direttamente da Palermo per la manifestazione, che animano le tante session nelle strade del borgo aurunco. Venticinque anni sono un traguardo significativo per il Festival che ha come epicentro Maranola, provincia di Latina, e che a partire dall’edizione argentea è stato collocato – dai due padri fondatori della rassegna, Erasmo Treglia e Ambrogio Sparagna – a metà novembre, invece che al consueto fine settimana post-Epifania, soprattutto per evitare le avversità climatiche del pieno inverno. Avvenimento cardine e catalizzatore della ripresa di interesse verso il mondo degli aerofoni popolari, “La Zampogna” deve fare i conti con le sorti ondivaghe delle politiche culturali pubbliche. Cosicché ha attraversato stagioni di vacche grasse (in termini di budget) e di ristrettezze (che permangono tutt’oggi): qui, come altrove in Italia. A Maranola, e per lungo tempo nella molisana Scapoli (soprattutto tra la metà degli anni Novanta e i primi anni del terzo millennio, grazie al Circolo della Zampogna), si sono costruite esperienze sonore uniche, si è promosso un vissuto fatto non solo di note ma di relazioni umane che si intessono, si rafforzano, si condividono; 
con un numero di appassionati cresciuto nel tempo, di studiosi e di turisti culturali che si affacciano nella pittoresca frazione piedimontana di Formia per sperimentare sensazioni che hanno pochi eguali. Quando è iniziato il festival aurunco, difatti, il movimento dei suonatori degli aerofoni a sacco non aveva la consistenza odierna, anzi si temeva l’estinzione di questi strumenti che racchiudono davvero – fuor di retorica – saperi antichi. Diversamente, proprio in virtù di un festival come quello di Maranola, lo scenario è cambiato, il mondo della zampogna si è esteso e si sono innescate innovazioni di strumenti, si sono aperte nuove botteghe artigiane, si sono impresse nuove circolazioni, altri incontri, raduni ed esperienze (talvolta perfino imitative, se non concorrenziali). Naturalmente anche la logistica ambientale del paese laziale fa sì che la rassegna non abbia mai assunto enormi dimensioni, benché nei decenni passati, quando alcune sezioni del festival si sono tenute a Formia o in altre località interne della provincia, si è potuto contare su spazi concertistici più adeguati e su un’ offerta live più articolata. D’altra parte, il festival ha conservato la sua dimensione umana di spazio sonoro aperto, senza gli eccessi mediatici che trasportano fruitori effimeri e poco attenti o performer improvvisati. 
Per di più, il Festival “La Zampogna” non ha mai presentato un cartellone riempitivo, costruito consultando agenzie o impresari di spettacolo; la sua forza si è misurata nella ricerca sonora, nella scelta di artisti internazionali in sinergia con altri festival (la manifestazione è partner del Forum Europeo dei Festival della World Music), nelle proposte di approfondimento strumentale, nelle cornici (le chiese del paese, le piazzette) che ospitano i piccoli concerti, nell’unicità di certe proposte sonore. Per venire al programma di quest’anno, pensiamo al duo Pietro Cernuto e Grimoaldo Macchia (friscalettu, zampogna e organo), di scena nella chiesa di S. Maria in Martyres, con repertorio classico (Schubert, Albinoni, Vivaldi, Morricone) e temi popolari (una pastorale e un solo per friscalettu) o al consueto rituale processionale che ha condotto, la domenica mattina, zampognari e ciaramellari davanti all’edicola mariana ad ascoltare i canti votivi alla Madonna del duo ciociaro (voce e tamburo a cornice) delle sorelle Fabia e Alessia Salvucci. Novità di quest’anno, “La Zampogna” si è dilatata perché, in realtà, la rassegna è iniziata a Roma (venerdì 16) con il concerto di BandAdriatica all’Auditorium Parco della Musica, 
dove il gruppo ha presentato il nuovo ottimo lavoro, intitolato “Odissea”, e si concluderà, per la prima volta, ancora con un’appendice capitolina, quando la mattina del 6 gennaio si svolgerà la festa degli zampognari, con i suoni di legni e otri a riempire la Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. A Maranola, i pugliesi guidati dall’organettista Claudio Prima hanno fatto un breve set acustico sul sagrato della chiesa di San Luca; tra gli altri artisti presenti, segnaliamo il gruppo franco-romagnolo AnceStrali e il coro Polifonia Aurunca, diretto da Anna Rita Colajanni. La sala del Centro Studi “A. De Santis” ha ospitato il seminario curato da Francesca Trenca, dedicato al ballo sulla zampogna e coadiuvato dagli interventi musicali di Marco Tomassi, come pure le presentazioni dei nuovo dischi di Giulio Bianco (“Di zampogne, partenze e poesia”), fiatista del Canzoniere Grecanico Salentino, e del compositore reatino Raffaello Simeoni (“Orfeo Incantastorie”), entrambe curate da “Blogfoolk”. Soprattutto, abbiamo conosciuto il trio slovacco Trombitáši Štefánikovci con i loro strumenti iconici del mondo pastorale: i trombita, corni ricurvi da richiamo, e il lungo flauto fujara dal suono ricco di armonici. Head-liner del festival, il gruppo di suonatori e costruttori, accompagnato da Jarmila Vlčková, direttrice del Bratislava World Music Festival e fondatrice di WOMUSK (una piattaforma che unisce musicisti folk e world del Paese dell’Europa centrale in gran fermento musicale), ha presentato il suo repertorio strumentale e vocale che si può ascoltare nell’album “Grùňom hore” (2017), rappresentando il top della manifestazione. Non meno importante, però, lo spazio dato – come sempre – alla musica libera tra gli stand dei liutai (provenienti da diverse parti d’Italia) e l’incontro con Oreste Minchella, decano dei musicisti del territorio di Monte San Biagio, accompagnato dal giovane nipote Marco Iannucci, 
sia nel presentare i suoni di Villamarina sia nel Gran Concerto Finale nella Chiesa della SS. Annunziata, dove al cantautore Luca Barbarossa è stato consegnato il Premio “Diego Carpitella”, per il suo recente lavoro in romanesco “Roma è de tutti”. Non secondario, poi, il riconoscimento tributato a un trio di giovani tamburellisti e organettisti con origini familiari ad Amatrice. Per il futuro, ci piacerebbe vedere aumentare il numero di artisti italiani e stranieri; auspicheremmo anche un numero maggiore di session, libere più formali, messe a punto in anticipo, sparse un po’ in tutti i vicoli del borgo, a sancire l’unicità di questo villaggio sonoro e di un tempo dettato dal suono degli aerofoni e dei mantici. È indubbio che un ulteriore segno tangibile del seminato di questi venticinque anni sia la presenza della scuola di zampogne e ciaramelle a Maranola /Formia, diretta da Marco Iamele, che sforna nuovi suonatori. Dalle nuove generazioni che si esibivano liberamente accanto a maestri riconosciuti nel piazzale della Torre di Maranola a un musicista che è divenuto uno dei simboli della rinascita delle aerofoni a sacco: da solista e innovatore, il molisano Piero Ricci si esibito fuori programma sabato sera, prima della cena a base di succulenti prodotti locali, con il suo raffinato Ensemble Novamusa (zampogna, fisarmonica, fagotto, corno, contrabbasso, organetto e tastiera), alle prese con il proprio repertorio storico, sempre evocativo dei paesaggi del Molise, e nuovi brani (“Tintilia” dedicato al vino, o “Tratturo”, ispirato ai passaggi della transumanza) che intersecano timbri e partiture classiche con ritmiche e sequenze di ispirazione tradizionale. Com’è noto, Ricci è stato ideatore di un modello di zampogna laziale-molisana, a cui ha aggiunto fori supplementari, modificando l’intonazione del bordone, e riuscendo così ad eseguire un numero elevato di accordi e permettersi passaggi cromatici sulle canne del canto. Suggello e testimone, dunque, del formidabile quarto di secolo di un Festival che con pochi altri, e tra tante difficoltà, contribuisce a elevare lo status delle zampogne, aprendole alla contemporaneità e a un pubblico più vasto le diversità di timbri, di colori sonori, di prassi esecutive e di repertori. 


Ciro De Rosa

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