Oumou Sangarè |
Anche quest’anno, durante i mesi di settembre e ottobre, si è svolto il festival Musica dei Popoli, una rassegna storica e originale che, dalla fine degli anni Settanta, porta a Firenze musicisti e gruppi di fama internazionale e dalle più svariate provenienze. A inaugurare la quarantatreesima edizione, intitolata “music trance”, è il concerto di Oumou Sangarè, diva africana originaria di Bamako. In questa occasione la cantante ha presentato il suo ultimo progetto, “Mogoya” (No Format, 2017) che tradotto dalla lingua bambara significa “la gente oggi”. L’artista vanta una lunga carriera che l’ha consacrata tra le più grandi voci d’Africa: ha esordito giovanissima, a soli 21 anni, creando un proprio sound basato sulle musiche del Wassoulou, una regione a sud del Niger. Uno stile che nasce dal connubio tra l’antica tradizione dei rituali di caccia e dei canti devozionali e di preghiera animisti con melodie costruite su scala pentatonica. La cantante si distingue inoltre per il suo impegno politico a favore dei diritti umani, che la vede da sempre al fianco delle donne africane a lottare contro la poligamia e la tradizione ancestrale dei matrimoni combinati. Eletta ambasciatrice e testimonial FAO, Oumou è molto più che un’artista, è un fenomeno sociale che incarna i valori per i quali si batte quotidianamente. La performance diviene quindi una riflessione sulla condizione umana, sulle sofferenze del suo popolo, costretto ad abbandonare il proprio paese per cercare fortuna altrove. A testimonianza di ciò, colpisce la numerosa partecipazione dei diretti testimoni di queste dolorose avventure: la comunità africana di Firenze riempie la platea, trasformando il concerto in una festa danzante in cui risuonano i canti in lingua bambara.
BKO Quintet |
A ricalcare le atmosfere groove, blues e afro pop, una formazione d’eccellenza accompagna il canto potente e soul di Sangarè. Qui gli strumenti tradizionali, ad esempio il kamele n’goni (arpa a sei corde con cassa in legno ricoperta di pelle di capra), dialogano con gli arrangiamenti elettronici e le tastiere, rendendo ancor più evidente la dimensione ritualistica e catartica della serata. L’Africa va in scena, l’Africa di Oumou Sangarè. Il successivo concerto della rassegna vede sul palco fiorentino il BKO Quintet, una band nata dall’incontro di cinque affermati musicisti capaci di trasportare il pubblico nel cuore pulsante del Mali contemporaneo. Il loro ultimo disco si intitola infatti “Mali foli coura”, letteralmente “nuova musica del Mali” (Buda Musique, 2017), e riprende la tradizione dei griot nomadi della casta dei cacciatori Donso, delle loro cerimonie animiste e la trasforma in un vortice di assoli rock- psichedelici. I cinque artisti sviluppano uno stile originale partendo dagli strumenti tradizionali: Adama Coulibaly alla voce e al doussn’gouni, liuto a sei corde tradizionale, Abdoulaye Kone maestro del djelingoni, con il quale ha sviluppato un proprio stile psichedelico, Ibrahima Sarr al djembè, affermato percussionista reduce da una tournèe mondiale con Oumou Sangarè, Fassara Sacko la cui voce profonda è capace di distinguersi dagli altri griot, e infine Aymeric Krol, unico bianco e francese del gruppo, stabilitosi a Bamako dove si esibisce con diverse formazioni. La vera rivoluzione del BKO Quintet sta nella modalità in cui i singoli musicisti riescono a fondere la chitarra dei griot e il liuto tradizionale con le loro voci calde e vibranti, le percussioni e le ritmiche febbrili tipiche del Mali senza essere carenti nelle forti influenze rock e nella trance elettrica, creando così un suono singolare e unico che ci riporta in un paese urbano ma allo stesso tempo radicato nelle profondità dei rituali animisti.
Saodaj' |
Il terzo concerto che abbiamo ascoltato ci trasporta in un altro continente, più precisamente sull’isola de La Réunion, piccolo paradiso francese immerso nella bellezza selvaggia dell’Oceano Indiano. In questo angolo di mondo si formano I Saodaj’ che approdano alla Flog di Firenze riscuotendo un grande successo di pubblico. I giovani musicisti hanno saputo coinvolgere la platea grazie al loro stile assolutamente fedele ai linguaggi della world music, creando ritmi e melodie che incitano a vorticosi balli su basi forzatamente tribali. Gli strumenti tradizionali dell’Isola de La Réunion, come le percussioni suonate da Jonathan Itèma e Frédérick Cipriano, si fondono con la voce cristallina e il matamorlon di Marie Lanfroy, in cui risuonano i bassi del didgeridoo di Antony Séry. Il gruppo tende a reinterpretare il genere Maloya, tipico dell’isola e nato dall’incontro tra le popolazioni malgasci e gli schiavi provenienti dall’Africa orientale, con testi che riprendono tematiche legate alla natura e ai sentimenti umani cantati in creolo e in francese. La loro performance è stata tra le novità più apprezzate della rassegna Musica dei Popoli di quest’anno.
Il concerto successivo ci trasporta in Medioriente, i 47 Soul arrivano dai territori Palestinesi e dalla Giordania e dichiarano di appartenere al movimento di musica araba contemporanea: una miscela tra la scena musicale popolare delle loro terre, la Shaabi, ritmiche hip- hop e sonorità electro. Questo nuovo genere musicale prende il nome di Shamstep, le strutture elettroniche vengono arricchite da chitarre, percussioni e synth e, ad amplificare l’attitudine dance che crea l’empatia giusta con il pubblico, non mancano interventi melodici reggae e dub.
47 Soul |
La sera del 20 ottobre a Firenze, i 47 Soul hanno presentato il loro ultimo album Balfron Promise (Cooking Vinyl, 2018), registrato nell’East London, luogo di residenza del gruppo in cui possono esprimersi liberamente e dal quale sono partiti alla conquista dei più grandi world festivals. Le liriche, eseguite dal frontman e percussionista Tareq Abu Kwaik, sia in arabo che in inglese, sono fortemente impegnate, trattano tematiche sociali e delle politiche inadeguate che affliggono ormai da decenni le loro terre. Dal pubblico, in questa occasione non troppo numeroso, la comunità palestinese innalza le prorpie bandiere, intona i canti di lotta e, a coronare questo emozionante momento di unione, si apre un cerchio di danze tradizionali vorticose e coinvolgenti. Torniamo al cuore dell’Africa sub-Sahariana con la performance di Bombino, chitarrista del Niger perfettamente inserito nello show-business internazionale world e definito dai critici il “Jimi Hendrix tuareg”. Per questa occasione l’auditorium Flog è gremito, tutti acclamano il re del desert blues, pronti a immergersi e a ondeggiare con i lunghissimi assoli della sua chitarra. Bombino negli anni ha saputo creare un rapporto strettissimo con il pubblico, ma chi lo ha seguito nelle sue recenti performance non rimane certamente colpito da questa sua ultima esibizione. Bombino, così come la sua band, indossa, come di consueto, gli abiti tradizionali del popolo tuareg, le teste coronate dai lunghi e affascinanti veli bianchi e blu, impugna la chitarra elettrica, pronto a farla risuonare senza freni. Nella musica del giovane artista è sempre presente il legame con la propria terra e con le proprie origini.
Bombino |
Bombino è cresciuto nella tribù dei Tuareg Ifoghas, da secoli in lotta contro l’imposizione dell’islam più estremo, e il suo ultimo album Deran (Partisan Records, 2018) è carico di significati politici. Le liriche, cantate nella lingua del Niger, raccontano dunque di una parte di mondo misconosciuta ai più, e mantengono stretta e orgogliosa l’identità del proprio popolo. La grande capacità di questo artista sta proprio nel mantenere un equilibrio tra la musica tradizionale del Niger, il blues, la psichedelia e il folk, un unicum compatto che trova punti di congiunzione tra esperienze europee e africane. Sezioni ritmiche solide e tecnicismo al di sopra della media hanno incoronato Bombino come uno dei chitarristi emergenti più talentuosi del nuovo millennio.
Passiamo ora a ricordare uno dei personaggi più geniali, poetici e stravaganti degli ultimi quarant’anni: Antonio Infantino, scomparso lo scorso gennaio 2018. Musica dei Popoli ha scelto di omaggiare l’artista dedicandogli una serata musicale, intitolata Agotrance e i Tarantolati di Antonio Infantino, con l’immancabile partecipazione della sua storica band I tarantolati di Tricarico e la partecipazione di numerosi ospiti tra musicisti, attori e danzatori a ricordare il percorso umano e musicale di Infantino. Un’artista, ma prima di tutto un ricercatore, che ha recuperato e rivalutato la taranta in Italia in un periodo storico in cui i fenomeni del tarantismo erano considerati retaggi del passato da dimenticare. In ricordo dell'eclettico Infantino segnaliamo inoltre la giornata di studi del 24 ottobre, organizzata dal dipartimento SAGAS (storia, archeologia, geografia arte e spettacolo) dell’Università degli Studi di Firenze, durante la quale sono intervenuti studiosi, musicisti e amici di Antonio Infantino e, infine, una serata cinematografica in cui è stato proiettato il film “The Fabulous Trickster – in viaggio con Antonio Infantino”, firmato dal musicista e operatore culturale Luigi Cinque.
Oumou Sangarè |
Infantino era amico di Musica dei Popoli, rassegna che amava e in cui si era esibito in diverse occasioni, e che l’ha omaggiato per quel che era, un’artista originale e controcorrente. Lasciamo le tradizioni dell’Italia del Sud per spostarci negli altipiani della Siberia centrale, dove nascono gli Huun -Huur- Tu. Quattro musicisti discendenti della repubblica di Tuva, appartenente alla Federazione Russa e situata al confine con la Mongolia. Da questa regione il gruppo riprende tradizioni musicali come il canto armonico, una tecnica nella quale il cantante, sfruttando le risonanze che si creano nel tratto tra le corde vocali e la bocca, emette contemporaneamente la nota e l’armonico relativo (detto anche ipertono). Il canto non è l’unico elemento peculiare degli Huun -Huur- Tu, colpisce infatti anche l’utilizzo di strumenti tradizionali pizzicati e ad arco come l’igil, il byzaanchi, il khonnus, il doshpuluur e percussivi come il tuyug. Il percuotere ripetuto di una corda contro legno e pelle, unito alla tecnica del canto armonico, permette lo sviluppo di un universo sonoro unico e coinvolgente, un disegno meditativo che produce una musica misteriosa e singolare. L’ensemble si è dedicato all’apprendimento di canzoni e di melodie antiche, nelle quali risuonano i pascoli dei monti Altai e si narrano situazioni legate alla steppa, ai guerrieri, ai cavalli e si imitano i suoni della natura e del paesaggio. Gli Huun-Huur- Tu sono stati gli unici a introdurre la ricchezza e le tradizioni Tuva al mondo occidentale, gli approcci vibranti della propria regione e lo hanno fatto grazie allo sviluppo di un’abilità tecnica superiore. In questa serata la platea dell’auditorium Flog è affollata di un pubblico curioso e attento, un pubblico che conosce bene la storica rassegna di Musica dei Popoli che, con le sue numerosissime edizioni, continua a proporre le musiche del mondo a Firenze, contribuendo a creare un forte interesse sociale e culturale attraverso la diffusione di uno sconfinato patrimonio musicale tradizionale.
Layla Dari
Foto di Viola Settesoldi e Giorgio Ventura
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I Luoghi della Musica