Vista da Aliano, Lucania interiore, l’Italia non è quella creatura rancorosa che sembra dimenarsi da nord a sud, che si osserva attraverso uno specchio deformato, obnubilata dal falso (e tragico) orizzonte sovranista, incline a buttare a mare la democrazia e lo stato di diritto oltre che gli esseri umani. La “comunità provvisoria” che si ritrova ad Aliano – chi spinge i suoi passi qui per la prima volta e chi ci ritorna con gioia – non ci arriva per caso, piuttosto è animata dalla volontà di prestare “attenzione” – per dirla con Franco Arminio, scrittore e poeta irpino, l’ideatore de “La Luna e i Calanchi” –, di provare a riorientarsi, di cercare una nuova sensibilità, di immaginare in concreto un destino possibile, che non sia di chiusura. Il progetto prevede che qui si scambino pratiche, si riannodino fili di memoria, si ragioni sui segni e sulle azioni del passato per pensare il futuro, si costruiscano trame, sgorghino idee da confrontare, nella consapevolezza che non si è di fronte ad esercizi scontati, che si tratta di azioni poco agevoli.
Aliano «non ha fretta di farsi trovare», scrive Arminio, come molti borghi della Basilicata richiede una scelta, una volontà del visitatore di inoltrarsi, di risalire chilometri di curve, restando sbalordito quando la vista gli si apre sulle aspre fenditure della terra argillosa, fatte di creste e rotondità, sui precipizi e sui burroni, fino a giungere a quel costone di terra su cui si erge Aliano. Il territorio, tuttavia, non è mero scenario e contorno naturalistico, piuttosto è essenza stessa della Festa, entra nello spirito con cui persone provenienti da ogni parte d’Italia raggiungono il borgo lucano. Nata come scommessa del 2012, “La Luna e i Calanchi” si è consolidata negli anni, tanto è che corre addirittura il rischio di produrre uno slittamento terminologico, concreto oltre che semantico, da Festa, intesa come cerimonia di scambio di “doni” artistici ed esperienziali, a Festival irreggimentato (con tanto di palchi, il gruppetto schiamazzante dotato di vino a buon mercato da consumare sull’accompagnamento musicale, il nome glocal di grande impatto, che chiude la sezione musicale).
Nondimeno, siamo lontani dalle tante rassegne artistiche estive, dall’assembramento, dallo spettacolo luccicante. Si respira un’aria diversa ad Aliano, dove si prova ad allestire un laboratorio di sensazioni, di sguardi che si incrociano e si confrontano, di conoscenza, di ipotesi, di parole e note ma anche di silenzi. Te ne accorgi quando nella gremita Piazzetta Panevino, accogliente anfiteatro naturale, o nello scenario petroso e sbalorditivo dei Calanchi, i convenuti si zittiscono di colpo per ascoltare i canti polivocali di Margaret Ianuario e Daniele Barone (dei Damadakà), il flauto traverso di Vincenzo Mastropirro e l’arpa di Daniela Ippolito, il canto plurilingue di Chiara Civello, Rocco Papaleo che si accompagna alla chitarra, la lettura poetica di Ken Saro-Wiwa o ancora un’improvvisata traduzione di una poesia di Arminio in friulano e in bambara. C’è il tempo del silenzio e quello del canto corale: perché ad Aliano si canta, artisti e pubblico, tutti insieme, “Bella Ciao”, canto dell’Italia libera, democratica ed antifascista, ieri come oggi: uno dei canti cari agli italiani.
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