“Napoli in Jazz”, Orchestra Sinfonica Abruzzese & Orchestra Nazionale Jazz dei Conservatori Italiani, Direction Pino Jodice, Palazzo Chigi, Ariccia, 8 Luglio 2018

L’ambientazione è stata quella giusta, il cortile interno del sontuoso Palazzo della papale famiglia dei Chigi di Ariccia, ripensato da Bernini e adibito oggi a museo e centro culturale, con un lato aperto sul parco sottostante, una scenografia architettonica e naturalistica affascinante arricchita dal maestoso corredo della strumentazione orchestrale. L’organizzazione è a cura dell’antica Accademia degli Sfaccendati, rappresentata per l’occasione dalla soprano Giovanna Manci, che forte del motto oraziano primigenio “Vim promovet insitam” si adopera per la promozione della cultura in città. Il progetto del maestro d’orchestra Pino Jodice è intrigante, ovvero la rivisitazione in chiave jazz del patrimonio musicale napoletano, che è come dire il mediterraneo tutto e tanto di più. Napoli, crocevia commerciale e luogo dominato nel tempo da mille popoli diversi, è la città che meglio di tutte, non me ne voglia il resto dello stivale, rappresenta la melodia e il ritmo italiano nel mondo. E senza soluzione di continuità. Il programma stesso è un lungo e fruttuoso viaggio che profuma di mare e di vento, viaggio che non ha fine ma che si arricchisce delle fragranze inebrianti dei porti intermedi, giusta colonna sonora all’infinita e necessaria odissea verso Itaca raccontata da Kavafis. 
Si parte infatti dall’omaggio a Roberto De Simone, e al suo prezioso lavoro di recupero della tradizione, con una suite di villanelle con la bella “Se ti credisse”, e subito colpisce la scelta di utilizzare ben sei voci quattro delle quali femminili, di commovente bravura, capaci di illustrare perfettamente tutte le sfumature possibili di quel sorprendente macrocosmo racchiuso in una sola città, dalle influenze arabeggianti e africane ai gorgheggi popolari del mercato del pesce fino alle sottigliezze delle corti borboniche. L’orchestra, che ne somma due, l’Orchestra Sinfonica Abruzzese e l’Orchestra Nazionale Jazz dei Conservatori Italiani, è perfettamente a proprio agio nel seguire le scorribande ideate da Jodice, alterna pieni poderosi a loop sonori dove si ritagliano spazio vitale le improvvisazioni singole o a risposta degli ottimi solisti. Belle le variazioni su “Serenata a Pullecenella” di Bovio – Cannio e l’evocativa “Che me ‘mparato a ffà” del maestro Trovaioli. Ampio lo spazio dedicato al genio indiscusso di Pino Daniele cui vengono dedicate due suite, lui che meglio ha saputo integrare, con la voce degli ultimi, il potente apporto blues jazz black dell’ultimo invasore americano nell’immenso coacervo multiculturale napoletano. 
La prima suite ha una coerenza anche testuale, che è anche messaggio di accoglienza, mettendo insieme alcuni temi di emarginazione di questi tempi senza condivisione, il femminiello di “Chill è nu buono guaglione”, il povero di “Vient ‘e terra” per il quale 'a vita è 'nu muorzo ca nisciuno te fà dà' 'ncoppa a chello ca tene; l’inutile ricerca dell’America di “Tutta n’ata storia” e il manifesto etico di “A me me piace ‘o blues”. Scoppiettante l’altra con l’immensa “Terra mia”, l’intensa “Alleria” e la vibrante “Sicily”. Da brividi la rivisitazione di “Chi tene ‘o mare” con i fiati a montare vento e marosi, le voci a cesellare la malinconia disperata di chi ha davanti l’immensità consapevole che chi tene ‘o mare o ssaje nun tene niente. A chiudere la complessa composizione originale di Jodice “Feste Popolari” e la "Tammurriata Nera", perfettamente inserita nella sorprendentemente similare “Somer” dell’iracheno Raed Khoshaba. 

Alberto Marchetti
Foto di Alberto Marchetti

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