Marilù – Avesseme Furtuna (SoundFly, 2018)

La “street cred” Marilù l’ha acquisita, anzitutto, come danzatrice e suonatrice di tamburi a cornice nel variegato universo festivo e coreutico (neo-)tradizionale dell’area campana, soprattutto quella giuglianese, a cui si sono aggiunte le collaborazioni professionali con Carlo Faiello, PietrArsa, Giovanni Mauriello, Emiddio Ausiello e Arnaldo Vacca, solo per citare i nomi più conosciuti. Non solo si è immersa nel mondo della cultura orale di cui si riconosce ‘figlia adottiva’, perché di estrazione borghese, ma ha affrontato studi di canto appresi soprattutto con maestri anche lontani dal mondo popolare, non da ultimo c’è la formazione acquisita grazie agli studi di musicoterapia. Voce piena, temperamento esuberante che fa trapelare ricche nuance nel registro, Marilù Poledro non si esprime con il ricalco di espressioni di tradizione contadina, ma si produce in uno stile personale, pur facendo proprio il portato desimoniano, ma a ben vedere – anzi ascoltare –anche la lezione del compianto Carlo D’Angiò (a parte gli ascolti pop, rock e folk con cui è cresciuta). Voce consapevole, dunque, dotata di presenza sul palco, dove si circonda di un combo di musicisti di eccellente statura musicale, che l’hanno accompagnata anche nell’esordio discografico per l’etichetta napoletana SoundFly. Signore delle corde, anima musicale del progetto nella direzione artistica è Antonio Di Francia (chitarre, bouzouki e orchestrazione), che ricordiamo essere uno dei fondatori, nonché violoncellista del Solis String Quartet. Apre il disco “Ricciulina”, la nota villanella cinquecentesca, musicata da De Simone negli anni Settanta, e portata al grande pubblico dalla NCCP, qui riscritta da Di Francia con il canto che, da tormentato seppure all’interno di canoni classici, si tramuta in rabbia per il dolore e l’abbandono, mentre la melopea e la ritmica (Gabriele Borrelli è alle percussioni) ci portano in una brulicante piazza del Mediterraneo. Chiavi di lettura dell’intero album sono la donna e l’amore, visti attraverso diverse prospettive e sfumature. Il primo inedito del palinsesto è “Femmene” (su liriche di Lucio Aulitto e musica di Di Francia), brano nato dall’urgenza di rinnegare l’ondata di violenza sulle donne. Al già citato Gabriele Borrelli, propulsione ritmica del disco, si aggiungono Pasquale Ziccardi al basso, Lello Settembre al flauto dolce e Michele Signore al mandoloncello. Nel titolo guida, sorta di mantra contro il dolore, Enzo Gragnaniello infonde calore e melismi al canto, con Franco Perreca ai fiati (flauto, sax soprano e clarinetto), a costituire un’altra presenza di mestiere e sostanza nell’intero lavoro. Marilù firma il testo di “Sonammore”, una tarantella che parla di un amore che ti tira in salvo dalle onde che rischiano di travolgerti. Si riempie di pathos l’interpretazione di “Tutto ‘o bene mio”, narrazione di un amore profondo, viscerale e struggente su testo di Ziccardi e musica di Di Francia: «un brano che ha segnato fortemente il passaggio dalla musica prettamente popolare a quella d’autore», spiega in un’ intervista Marilù. La successiva tammurriata “Rosaspina” assume una fisionomia e un incidere non incalzanti, procedendo iterata per favorire il tratto magnetico del ritmo che mette in luce l’aspetto ossessivo di un amore tormentato. Indietro nel tempo, invece, con “Si li femmene”, una villanella seicentesca complementare alla precedente “Femmene”, impreziosita dal canto potente di Gianni Lamagna, che ricama intorno alla voce di Marilù. Un’altra villanella è “Donna ‘Sabella”, attestata nella tradizione popolare cilentana ma diffusa anche nel vesuviano, in cui l’arrangiamento esalta l’emotività e l’esasperazione. Dal testo di Gigi Aulitto e dalla musica di Di Francia, s’espande nell’aria “Sulo tre parole”, un’altra tammurriata inedita, sviluppata sotto forma canzone. Si cambia registro con “Il mattacino”, ancora di ascendenza desimoniana, una moresca in cui le note rincorrono i folli lazzi del giullare protagonista del brano (Pino Ciccarelli è al sax soprano). Un doveroso omaggio al genio di Viviani è “Matalena”, tratta dalla “Festa di Piedigrotta”, il cui arrangiamento guarda ad altre feste urbane della Campania, in cui ritmo e fiati si impongono (Pino Ciccarelli al sax tenore e Gianluca Brugnano alla batteria). Un esordio raffinato e sanguigno, tra canzone d’autore e forme tradizionali orali, capace di riproporsi con la medesima efficacia anche nel live. 


Ciro De Rosa

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