Joan Baez – Whistle Down The Wind (Proper Records, 2018)

A dieci anni di distanza dal pregevole “Day After Tomorrow”, Joan Baez torna con un nuovo album in studio “Whistle Down The Wind”, splendida raccolta di dieci brani, interpretati con rara intensità e che nel loro insieme compongono non già una resa al tempo che passa, ma piuttosto una perla di pura bellezza consegnata alla storia della musica. A settantasette anni e con alle spalle una lunga militanza in difesa dei diritti civili, la cantautrice americana consegna al suo pubblico il suo addio alle scene che, insieme al tour che toccherà in estate anche l’Italia, concluderà un lungo percorso discografico, cominciato nel lontano 1959 con “Folksingers 'Round Harvard Square” con Bill Wood e Ted Alevizos e diradatosi progressivamente negli ultimi anni, nei quali ha pubblicato qualche ristampa e l’ottimo live “75th Birthday Celebration”, nel quale era affiancata da una parata di ospiti speciali. I dieci brani del disco, scelti personalmente dalla Baez, mettono in luce tutta la profondità del suo canto facendo risplendere sfumature difficilmente rintracciabili in altri dischi. In questo senso fondamentale è stato l’apporto del produttore Joe Henry che, con la complicità di Tyler Chester (piano), Jay Bellerose (batteria), David Piltch (basso), Greg Leisz e Mark Gldenberg (chitarre), è riuscito a costruire un’architettura sonora perfetta in cui si inserisce la voce della cantante americana. L’ascolto ci regala un susseguirsi di storie di addii, riflessioni sul tempo che passa e la vecchiaia, in un continuo fluire di emozioni che si apre con la superba versione della title-track, folk ballad firmata da Tom Waits e Kathleen Brennan, nel cui arrangiamento spicca l’uso della sega musicale. Si prosegue con “Be Of Good Heart” di Josh Ritter, nella quale la voce della Baez si muove sull’intreccio tra chitarra, mandolino e piano, e la toccante versione per corde e percussioni di “Another World” dal songbook di Anohni ovvero Anthony Hegarty, ma il primo vertice del disco arriva con la pianistica “Civil War” di Joe Henry un valzer dolente nel quale giganteggia la voce di Joan. Se dal repertorio di Mary Chapin Carpenter arriva la struggente “The Things We Are Made Of”, da quello di Zoe Mulford è tratta “The President Sang Amazing Grace” che con la sua leggera trama gospel ci conduce a “Last Leaf”, secondo brano firmato da Tom Waits che Joan Baez rilegge con ironia immaginando sé stessa come “l’ultima foglia rimasta sull’albero”. Di Josh Ritter è anche “Silver Blade” in cui spicca l’arrangiamento in crescendo, nel quale alla chitarra si aggiungono le percussioni che scandiscono il ritmo che si fa via via sempre più serrato. Verso il finale arrivano il tenue country di “The great correction” di Eliza Gilkyson che racconta della decadenza che avvolge gli Stati Uniti con la speranza di chi sa che ci sarà un futuro migliore e il canto pacifista di Tim Eriksen “I Wish The Wars Were All Over” che chiude un disco di grande spessore che resterà a lungo nella nostra playlist, tanto per la sua bellezza intrinseca quanto per i temi che lo caratterizzano. 


Salvatore Esposito

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