L’idea era quella di fare un disco come si faceva qualche decennio fa, uno di quelli che si ascoltavano dall’inizio alla fine, magari in cuffia o in auto durante un viaggio, ma dopo aver notato che le auto neppure hanno più un lettore cd, i ticinesi The Vad Vuc ovvero Michele Cerno Carobbio (voce, chitarra e mandola), Sebastian Seba Cereghetti (mandolino, trombone e cucchiai), Davide Boss Bosshard (susafono, tastiere e basso), Giacomo Jacky Ferrari (basso, banjo e cori), Fidel Fid Esteves Pinto (flauto e tromba), Fabio Mago Martino (fisarmonica e tastiere), Alberto Albi Freddi (violino) e Roberto Drugo Panzeri (batteria) hanno pensato che era il caso di inventarsi una doppia vita per il loro disco che a tutti i costi doveva rimanere nelle auto dei loro ascoltatori. Ecco quindi l’idea ironica del disco orario, un disco con una duplice funzione ovvero raccogliere le loro nuove canzoni, e consentire il parcheggio nelle strisce blu. Come se non bastasse, sulla copertina del libretto c’è anche una contravvenzione ad anticipare il contenuto dei testi. Rispetto ai precedenti “La parate dei secondi” e “Hai in mente un koala?” questo nuovo album ci svela come il gruppo abbia affinato ed affilato la propria cifra stilistica, proponendo un sound maturo ed originale in grado di confrontarsi ad armi pari con gli ospiti che impreziosiscono i vari brani ovvero Dublin Legends (Dubliners), Modena City Ramblers, Gerry O’Connor, Zeno Gabaglio, Jgor Gianola e Make Plain. Nell’arco di un’ora ci regalano dodici brani nei quali si intrecciano rock, irish folk ed echi di punk il tutto impreziosito da testi che raccontano storie e contraddizioni della società moderna. Ad aprire il disco è la travolgente “Pint of Guinness” (Dam un’altra/Pint of Guinness) che si muove nei territori già battuti dai Pogues, a cui seguono la brillante “Carmen” e la critica ai social network in trama punk di “Rendez – vous” con la chitarra elettrica Jgor Gianola a guidare la linea melodica. Il crescendo della pianistica “Chat Noir”, impreziosita dal violoncello di Zeno Gabaglio, ci introduce ai due vertici del disco: la bella rilettura di “Thousands are sailing” dei Pogues qui proposta con la complicità dei Modena City Ramblers al comleto e la superba “Finnegan’s Wake” con la partecipazione dei The Dublin Legends. Se lo strumentale “Dubliner’s March” brilla per la partecipazione di Gerry O’ Connor al banjo tenore, la successiva “Rügin” vede la partecipazione di Fabrizio Barale alle chitarre elettriche. Il racconto di cronaca nera “Il ballo fermo di un impiccato e
l’omaggio a Primo Levi con “Se quéstu l`è un òm” (Óm, chi brüsa i libri a brüsará i óm/Home, the stairwell will take me home/Óm, sóta la scéndra a gh’è ammò i nóm/Home, please forgive me it will take me home) ci accompagnano verso il finale in cui spiccano il tradizionale russo “Korobeiniki” e la toccante “Addormentato in stazione” (Se devo proprio scegliere/Fra le botte ed obbedire/Signore, scelgo di dormire/Perché quello che ho da perdere/È tutto quello che ho trovato/E sta in questo sacchetto del supermercato/Perché se potesse unire/Ciò che porta addosso per “difesa”/Non si chiamerebbe divisa). “Disco orario” è, dunque, un disco ricco di sfaccettature, un lavoro ben costruito e senza dubbio in grado di mescolare riflessione e divertimento come raramente, ormai, capita di ascoltare nei dischi folk-rock. Una bella sorpresa!
Salvatore Esposito
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Canton Ticino