Vincenzo Lombardi, In (re) viva voce – Squi[libri], 2017 pp. 240, Euro 20,00

Non tutti sono consapevoli della ricchezza del patrimonio musicale orale di una delle regioni più piccole d’Italia, il Molise. Un territorio che si estende dall’Appennino all’Adriatico, di certo non altamente antropizzato, al quale, tuttavia, va riconosciuta la presenza di notevoli esperienze artistiche e culturali e un interessante tensione tra passato e presente, tra dimensione locale e globale. Per fare qualche esempio, pensiamo a cosa è stato, in termini di ricerca e innovazione, il Festival della Zampogna di Scapoli (IS), tra il 1996 e il 2002, sotto l’egida del locale Circolo della Zampogna, il lavoro di ricerca sugli aerofoni a sacco di Piero Ricci, le sperimentazioni di Ketoniche, il folk d’autore di Giuseppe Spedino Moffa e i progetti jazz di ampio respiro di Luca Ciarla, ma sarebbero tante altre le storie da raccontare. Mette al centro la cultura molisana, il volume curato di Vincenzo Lombardi, “In (re) viva voce”, che porta come sottotitolo “Strategie e processi di valorizzazione delle tradizioni musicali “. Lombardi, etnomusicologo, bibliotecario e musicista, lavora nell’ambito dello studio dei repertori etnomusicali, della catalogazione delle fonti musicali e delle pratiche musicali di gruppo; per l’editore romano ha già curato “Com’a fiore de miéntra. Omaggio in musica a Eugenio Cirese” e, con Maurizio Agamennone, “Musiche tradizionali del Molise. Le registrazioni di Diego Carpitella e Alberto Mario Cirese (1954)”. Questo volume è tra gli obiettivi di un progetto di salvaguardia del patrimonio musicale tradizionale, promosso dalla Direzione Generale Spettacolo del MIBACT, che mira ad incentivare l’interesse delle comunità e delle nuove generazioni per la produzione musicale non professionistica, coinvolgendo cori e complessi bandistici. Nel Molise il progetto ha coinvolto le associazioni culturali Quod Libet e Samnium Concentus, con l’intento di valorizzare le musiche tradizionali delle comunità romanze e di quelle alloglotte (arbëreshë e croate). Pertanto, il progetto si configura non soltanto come riflessione sulla documentazione sonora storica, ma diviene anche azione di tutela e di valorizzazione di espressioni musicali tradizionali non più praticate, come il prefisso “re”, posto accanto all’espressione “in viva voce”, suggerisce. Nell’ottica di questo obiettivo il saggio d’inizio “Musiche tradizionali, tradizioni musicali: strategie e progetti di patrimonializzazione”, partendo dallo scenario territoriale molisano, passa in rassegna le fasi della ricerca etnomusicologica nella regione e svolge una ricognizione sugli archivi sonori presenti. Ne emerge una riflessione rilevante sulla categoria di tradizione musicale, sui fenomeni di reinvenzione dell’identità musicale e sui correnti processi di patrimonializzazione. Nella seconda sezione del volume, “Dalle trascrizioni musicali alle composizioni”, Lombardi presenta sotto il profilo antropologico e musicologico i materiali selezionati dalle raccolte e trascrizioni di etnomusicologi e musicisti in un arco temporale che va dal 1950 a oggi. I brani tradizionali provengono da Fossalto, Montagano, Bagnoli del Trigno, Longano, Larino, Macchiagodena, Mirabello Sannitico, Portocannone, Ururi, San Felice. Per ciascun brano è stata realizzata una partitura per coro (presentata nella terza parte del libro): opera di quattordici compositori, di cui nove molisani, diversi per formazione ed età (Guido Messore, Giuseppe Mignemi, Mauro Zuccante, Sandro Filippi, Domenico De Simone, Pierpaolo Scatollin, Tiziano Albanese, Marinella Minelli, Lelio Di Tullio, Antonio Iafigliola, Antonio Di Iorio, Manuel Rigamonti, Piero Niro e Giuseppe Mignemi). Peccato solo che non sia stato realizzato un CD o sviluppati link per ascoltare le esecuzioni delle composizioni prodotte a partire dagli storici materiali molisani di tradizione orale. 

Ciro De Rosa

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