Simone Nobili - By the river (Felmay, 2017)

Esordio discografico solista per il chitarrista pesarese Simone Nobili. Si intitola “By the river” e si genera dentro un immaginario che aderisce perfettamente alla mistica chitarristica: il fiume, la contemplazione, la sonorizzazione personale e introspettiva di un ambiente reale e allo tesso tempo (forse) immaginato o agognato. Insomma richiama l’epica del chitarrismo più profondo e dei chitarristi che hanno determinato - più o meno coscientemente - la traiettoria di uno strumento a suo modo mistico e popolare, versatile e complesso, drammatico e ludico (mi viene in mente il “meeting by the river”, così astratto e trascinante, tra Ry Cooder e V. M. Bath). Nobili - che raccoglie qui la sua storia musicale, legata a doppio filo alla formazione del conservatorio, allo studio del jazz e dei modelli più alti del panorama internazionale - si porta dietro questa immagine di contemplativo (“la riva del fiume, il silenzio, la natura e soprattutto la tranquillità”), traducendone alcune derivazioni in un discorso musicale differenziato e sempre interessante. Soprattutto perché tutto scorre con fluidità, passando tra le corde delle sue chitarre e i confronti con gli altri pochissimi strumenti, in un crescendo di armonia che riflette probabilmente (e questo mi sembra di primaria importanza) una meditazione giunta a un ottimo livello, sia tecnico che contenutistico. Si fa accompagnare da musicisti navigati (lui stesso lo è, con esperienze sopratutto in ambito jazz a fianco di grandi maestri come Bernard Purdie, Patrick Moratz e Delmar Brown), con cui intesse un discorso chiaro, netto e senza troppi fronzoli: corde, batteria, contrabbasso e vibrafono. Finisce con una chiusa elettrica. Lui ci dice per non dimenticare “anche” il suo amore per la chitarra elettrica. Noi diciamo per aprire ancora un pò di più la finestra sul panorama infinito delle sei corde, per aggiungere qualche colore in più a quella contemplazione di cui sopra e determinare una sospensione ancora più mistica della scrittura per chitarra. D’altronde quella chiusa non chiude un cerchio ma riapre (se così si può dire) il discorso intero dell’album, riproponendo in versione elettrica la title track, presente come primo brano in apertura della scaletta. I musicisti che lo supportano (vantano anche loro grande esperienza e importanti successi) si sono mossi lungo varie sponde (jazz, funk, rock, classica) e hanno definito i tratti perfetti del profilo delle sue musiche. Innanzitutto perché hanno lo stesso tatto, la stessa leggerezza e incisività. E poi perché sembrano aver compreso fino in fondo il significato (direi quasi naturale, elettivo) di questa serie di brani, delle loro sfumature e del loro insieme di significati. Pensate al suono leggendo i nomi degli strumenti, mettetelo insieme in un quadro di progressioni morbide ed equilibrate, dove le mani generano tutto con ponderatezza su corde e pelli (tatto, intensità, profondità) e sentirete ogni singola vibrazione: il vibrafono (suonato da Daniele Di Gregorio) è il padrone in questo senso e genera a ogni intervento una luce accecante (interviene in pochi brani ma i suoi riflessi sono vivi in tutto l’album). Il contrabbasso (Giacomo Dominici) stende una spessa lastra di fondo, su cui tutti si muovono con sinuosità e sicurezza. La batteria (suonata da Massimo Ferri) balla e risuona senza sosta, circondando un andamento flessibile e allo stesso tempo inquadrato con perfezione (direi) geometrica. Le chitarre di Nobili, infine, legano tutto. Trascinano senza sforzo ogni singola voce e percorrono, nell’arco dei dieci brani, varie soluzioni (solcando ancora i nuovi corsi di quel panorama profondo e espanso). Qui Nobili cita qualcuno dei suoni riferimenti e ci avvolge coi suoni delle sue chitarre straordinarie, prima fra tutte la Martin D28-12 “modificata con due corde di basso”. Allora qui fermiamoci e ascoltiamo una grande prova (non parlo ovviamente di tecnica, ma di immaginazione): il suono è pieno e profondo, morbido e ruvido allo stesso tempo. il pezzo “My song” è del buon Keith Jarret (che da solo ha dato tanto al mondo) e Nobili lo interpreta da solo: le sue mani e le sue otto corde. 



Daniele Cestellini

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