Mario Vorraro, musicista e liutaio, amante della musica popolare napoletana

Liuteria al servizio dei musicisti
Vorraro ha iniziato a occuparsi di liuteria per motivi riguardanti la “practica”. Dopo il mandolino, acquistò una chitarra battente e poi altri strumenti più professionali, ma non era contento del suono. Come migliorarlo? Da questo interrogativo si è via via posto numerose domande, alle quali ha cercato di dare risposta tecnica, smontando e analizzando gli strumenti che gli capitavano tra le mani. Inizialmente, ha operato in casa, costruendo modellini in miniatura, facendo tesoro di quanto appreso dal padre durante l’infanzia. Poi, è passato a realizzare strumenti di dimensione reale. Si rese conto che suonavano discretamente, impressione che gli venne confermata anche da amici musicisti. Ha chiosato la moglie: «Quando aveva tempo libero, si metteva nella stanza a sperimentare, notte e giorno. C’erano legni per tutta la casa.  Costruiva gli strumenti e li smontava… alcuni strumenti li regalò ad amici, il primo che si decise a vendere fu un mandoloncello, dato a un medico milanese, appassionato di musica popolare e medioevale».  Vorraro trovava tempo libero soprattutto di mattina, perché spesso, di pomeriggio e di sera, era impegnato a suonare con Merola, almeno sino al 2003. Anche se faceva le ore piccole, la mattina si metteva di buon’ora a lavorare manualmente. Il suo modo di vedere la liuteria, in quegli anni, era concepito a favore della tecnica strumentale e della produzione sonora. Ragionava da musicista e cercava soluzioni efficaci per coloro che devono usare quotidianamente gli “arnesi della musica”. Da autodidatta, ha dovuto compiere numerosi esperimenti: «Ci ho messo tanto tempo per capire come posizionare i legni e le doghe nei mandolini. Tuttavia, facendo s’impara, sperimentando e operando con amore, sviluppando l’osservazione, accogliendo la sfida tesa a ricercare, ogni giorno, un nuovo dettaglio per rendere il suono migliore, studiando le forme e le composizioni dei materiali». Vorraro ha rispetto della tradizione, ha apportato modifiche agli strumenti senza stravolgerli. Nei mandolini ha “abolito” l’uso della carta interna e ha assottigliato i legni per renderli più leggeri, garantendo una maggiore vibrazione. Quest’ultimo dettaglio, ci ha specificato, non è da poco, richiede dai tre ai cinque mesi, «perché il legno trattato così sottilmente ha bisogno di più tempo per assestarsi. Per questo motivo non devo avere fretta, per questa ragione ho dovuto rifiutare dei lavori con ordinazioni urgenti. Forse questa è presunzione, ma devo riuscire a costruire uno strumento come dico io, non come vogliono gli altri. 
Certo, su alcuni dettagli si può giungere a compromesso. La chitarra battente, ad esempio, la costruisco con i piroli, ma alcuni vogliono le meccaniche. Il compromesso lo possiamo raggiungere, ma comunque il messaggio lo voglio mandare al musicista (…), che dovrebbe abituarsi a maneggiare i piroli, per rispettare maggiormente lo strumento, così com’è nato».  Vorraro non è liutaio che sottovaluta il lato estetico, ma desidera innanzitutto valorizzare il suono, perché “uno strumento deve sì essere bello a vedere, ma deve soprattutto suonare bene”. Quando parla di mandolini, gli si apre il cuore. Inizia a spiegare le peculiarità dei differenti modelli, degli stili di costruzione (milanese, genovese, romano, napoletano, bresciano). S’irrita, quando sente dire che il mandolino è uno strumento esclusivamente napoletano. Gli appassionati di musica barocca e antica richiedono soprattutto i modelli “milanesi”, ma nel corso dei secoli, il mandolino napoletano si è imposto, grazie alle innovazioni introdotte dai liutai (fratelli) Vinaccia. Innovazioni che Vorraro ritiene vincenti, come ad esempio, l’uso delle quattro corde doppie, con un’accordatura che ricalca quella dei violini. In merito all’uso del mandolino basterà ricordare che, ancora alla fine dell’Ottocento, le orchestre mandolinistiche erano numerose, alcune delle quali composte da più di cento elementi, con l’intento di imitare quelle sinfoniche. Poi, pian piano, lo strumento entrò in crisi, usato per lo più in situazioni festive e conviviali, soprattutto nel sud dell’Italia e, in particolare, in Campania. Rispetto ai legni, Vorraro è piuttosto critico sull’uso (a senso unico) del palissandro. Certo riconosce che, in passato, la stragrande maggioranza dei mandolini venivano costruiti con questo legno, ma ormai esistono valide alternative che garantiscono ottimi risultati in termini di trasmissione del suono e di risposta acustica, come ad esempio con l’acero marezzato. Ha dato anche un’interessante motivazione tecnica, relativa all’uso intensivo del palissandro, che è un legno “scuro”, nel quale è facile otturare le fallanze, evitando di far notare la riparazione. 
Durante il dialogo, Vorraro ha citato più volte un testo degli anni Venti del secolo scorso, scritto da Giuseppe Accorretti (“Studio sulla costruzione del mandolino napolitano”), il quale suggeriva una serie di pionieristiche avvedutezze tecniche: «Quando ho scoperto questo testo, avevo già individuato gli accorgimenti per migliorare la sonorità dei mandolini, ma di certo Accorretti era avanti con i tempi.  In particolare, sosteneva che sarebbe stato utile costruire le casse con un numero limitato di doghe». Vorraro ha costruito mandolini con sette, nove e undici doghe (sono sempre in numero dispari): «Quello che ho visto con meno doghe - prosegue il liutaio napoletano - ne aveva ventuno, ma quasi tutti superavano le trenta doghe.  Bisogna sfatare il mito che il mandolino con tante doghe è pregiatissimo, perché è più difficile da costruire. L’esperienza mi ha insegnato il contrario. È più facile mettere insieme tante doghe e l’acustica ne trae svantaggio, perché con tante doghe si formano altrettante “interruzioni” sul fondo della cassa , che penalizzano il suono. In fisica, il suono, per svilupparsi bene, deve avere una superficie quanto più omogenea e priva d’interruzione. Come liutai siamo obbligati a usare le doghe (tranne che nel caso di casse scavate), ma minore è il numero, maggiore sarà (potenzialmente) il risultato sonoro. Inoltre, ho abolito il cosiddetto “scudo” o “fascione” sul retro dello strumento. Forse in passato veniva usato per mantenere unite tutte le doghe che si congiungevano in questa zona dello strumento, ma lo consideravo un inutile appesantimento, per cui l’ho tolto, rendendo peraltro lo strumento più armonioso».  Vorraro è specializzato nella costruzione di mandolini e di chitarre battenti, ma realizza diversi altri strumenti (mandola, mandoloncello, vari tipi di chitarra a sei corde e un’arpa a ventidue corde). 
Con un certo orgoglio, ha voluto parlarci della mandola, che lui costruisce nelle versioni “contralto” e “tenore”. Quest’ultima è una sua invenzione, realizzata per evitare quelle particolari accordature, usate per venire incontro a specifiche esigenze di partitura, in modo da far suonare lo strumento in una tessitura vicina a quella del mandoloncello. Un metodo che snaturava il suono della mandola “contralto”. Per comodità espositiva, di volta in volta, abbiamo scritto dei singoli accorgimenti utilizzati per migliorare l’estetica e la qualità del suono, ma in liuteria i ragionamenti operativi tendono a considerare la complessità organologica dello strumento come un tutt’uno. Vorraro questo lo sa, ma tra suoi obiettivi ci è parso di cogliere anche un messaggio sociale teso a valorizzare la musica tradizionale, indirizzato soprattutto ai suonatori e ai suoi possibili interlocutori, collezionisti di strumenti popolari e antichi a corda. Egli concepisce la liuteria come “ars” al servizio della Musica. Come etnomusicologi, abbiamo ritenuto utile raccontare la sua storia, nella quale si sono amalgamate esperienze musicali giovanili, attività manuali apprese nel laboratorio familiare, l’approfondimento della musica popolare e il desiderio di fare musica con chi ha dato “voce” a Napoli, come Mario Merola e Roberto De Simone.  Vorraro nella liuteria ha trovato un mezzo per esprimere la ricchezza del suono, ricercando l’essenzialità delle forme, facendone una bandiera personale all’insegna della qualità. Gli strumenti che fuoriescono dal suo laboratorio sono frutto di una ricerca che richiede perizia al costruttore e sensibilità esecutiva al suonatore. In una società dove domina il frastuono degli stenterelli, rincuora sapere che, tra di noi, operano artigiani dispensatori di bellezza sonora come Mario Vorraro il quale, seguendo un percorso originale, ha saputo trarre ispirazione dalla musica popolare, portando un contributo personale all’evoluzione della liuteria partenopea. Nuove impegnative sfide lo attendono e siamo propensi a credere che le affronterà con determinazione, agendo con la consueta pragmaticità a favore della musica e dei musicisti. 



Paolo Mercurio
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