Come hai costruito la partitura? Come avete operato le scelte insieme ad Ambrogio Sparagna, che cofirma il film?
La scelta è stata fatta insieme ad Ambrogio Sparagna. Originariamente avrei voluto lavorare sul Sud , magari anche sul Centro, ma Ambrogio mi ha fatto capire subito che andava raccontato – pur nelle diversità tra Nord, Centro e Sud – come un unicum.

Quali storie ti hanno preso di più nella ritualità italiana? Prima hai citato il culto di San Domenico di Cocullo, qualcosa lo avevi già documentato in altri lavori, come la festa di Madonna Avvocata su a Maiori…
Sono molto legato alla festa della Madonna dell’Avvocata. Fu una grande sorpresa la prima volta salire su in cima e trovare una sorta di campeggio… medievale, dove la gente si stabilisce per alcuni giorni, dove convivono delinquenti, frati e centri sociali. Una differenza tra Nord e Sud è che in una città come Napoli, che oltre a San Gennaro vanta tantissimi altri patroni, parlare di santi è abbastanza normale. Invece, al nord la reazione è molto particolare: come di qualcosa che si era dimenticato, ma che, dopotutto, è restato dentro.

L’aspetto fonico è centrale in film di questo tipo. E poi il suono, la musica che un notevole potere narrante…

Tra le voci che recitano brani d’autore, ci sono Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni...

Come ti rapporti con il cinema del reale? Come considerare gli aspetti etici sul piano sia della ripresa che del significato?
È una dialettica interessante perché io sono legato al cinema del reale, lo sguardo antropologico è importante, lo sguardo ad altezza d’uomo, il non giudicare, ma anche l’immergersi nel mondo, per poi intrepretarlo. Rivendico al documentario qualcosa di più: non basta solo lo sguardo osservazionale, non mi piace quello interventivo, però ritengo che lo sguardo partecipato sia molto importante. Per sguardo partecipato intendo qualcosa che inerisce non solo al sentirsi parte di una comunità, seppure fuori dalla comunità dei nativi. Significa anche rivendicare a sé un intervento creativo, uno sguardo d’autore, una riconoscibilità.


Parlando di musica, cosa ascolta Gianfranco Pannone?
Ascolto di tutto, dalla musica popolare di tradizione orale (primo naturalmente Ambrogio Sparagna con i suoi musicisti) al jazz, dal rock d’annata ai mai tramontati cantautori italiani, dalla musica classica fino ad alcuni fenomeni italiani e stranieri della nuova scena musicale che mi indica mia figlia Costanza, di quasi sedici anni; per esempio lo Stato Sociale o Calcutta. Amo avanti a tutti Paolo Conte. Ascolto i concerti di Rachmaninov e con grande trasporto, sono un fan di Lou Reed e seguo da sempre alcuni grandi interpreti come Paul Hannon o Uter Lemper o David Sylvian. Quasi dimenticavo! Ho un debole per Lelio Luttazzi, Mina e Charles Aznavour. E certo non lascio fuori un interprete eclettico e geniale come Stefano Bollani. Ultimo ma non ultimo, l’immenso Nino Rota.
Proviamo a stilare la tua playlist di musica italiana, tra tradizione orale e nuove musiche di ispirazione tradizionale?
In ordine sparso: Francesco De Gregori e Giovanna Marini del CD “Il fischio del vapore”, le antiche canzoni napoletane interpretate ad arte dalla mai tramontata Nuova Compagnia di Canto Popolare, i canti e le danze per tammorra di musicisti (e amici) del calibro di Gianni Aversano, Margaret Ianuario e Daniele Barone (Damadakà, ndr), i grandi ‘alberi di canto’ del Sud: da Otello Profazio a Rosa Balestreri, le canzoni apulo-salentine dei Ghetonìa, in particolare “Ninusu ninusu”, l’eclettismo del miglior Daniele Sepe, quando incontra le voci e i suoni della musica popolare del nostro Sud. Gabriella Ferri del “Valzer della toppa” di Pasolini. Infine, come dimenticare l’insuperabile festa della musica di Giuseppe Morandi e del Micio nell’annuale festa della Lega di Cultura a Piadena?
Ciro De Rosa
La Playlist di Gianfranco Pannone
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