Ensemble Ériu – Imbas (Raelach Records, 2016)/Stargazer (Diatribe/Realach Records, 2017)

“Imbas” in irlandese antico vuol dire ispirazione, creatività, conoscenza profetica, soprattutto riferite all’illuminazione poetica e alla visionarietà dei filidh, i poeti tradizionali ereditari del mondo celtico. Sembrerà un titolo altisonante per un disco, eppure non è inappropriato se riferito a una band come gli Ériu, proiettata verso un approccio creativo della musica tradizionale isolana, che fa convivere timbriche world, camerismo, passaggi di scuola minimalista e istanze improvvisative. Il settetto comprende Jack Talty (concertina), Neil O'Loghlen (contrabbasso e flauto), Jeremy Spencer (violino), Matthew Berrill (clarinetti), Patrick Groenland (chitarra), Maeve O'Hara (marimba e vibrafono) e Matthew Jacobson (batteria): un organico insolito di strumenti acustici. “Imbas” contiene cinque brani tradizionali popolari, provenienti dalle ricerche nella contea di Clare e dal lascito patrimoniale strumentale di personalità di assoluto rilievo come Micho Russel, Willy Clancy, Seamus Ennis, Bob Casey e Tony McMahon, nonché una squisita rivisitazione di “The West Clare Reel” firmata Peadar Ó Riada. In sintesi, l’ardire dell’ensemble è nel mettere in atto procedure di decostruzione di jig, reel ed altre espressioni musicali tradizionali, ristrutturando melodia e ritmo, giocando sulle variazioni e sulle combinazioni strumentali. Tra le tracce, spiccano l’iniziale “The Tempest” e il lungo set “The Humours of Drinagh/The Humours of Kilclogher/ Goideadh Do Ghé”, dove si fa più stringente l’intreccio tra individualità e interplay d’insieme. 
Una nuova pagina nello sviluppo artistico degli Èriu la offre “Stargazer”, progetto nato come suite in sei parti, ispirata ai dipinti di Jack Butler Yeats, espressionista cresciuto a Sligo – fratello del poeta e drammaturgo William – e commissionata dal Model Arts Centre della cittadina dell’ovest irlandese nel 2014. Registrato l’anno successivo, soltanto oggi il lavoro vede la luce discografica. Talty e O’Loghlen si sono cimentati con una tavolozza sonora che ancora una volta fonde gli idiomi irlandesi con le composite influenze contemporanee di un settetto che si produce in una molteplicità di combinazioni strumentali, di armonizzazioni, di fini contrappunti: a cominciare dall’apertura a colpi di contrabbasso di “Silvanus/Bowsie”, composizione che si sviluppa pienamente con l’ingresso degli altri sei musicisti. Il lavoro sottile della chitarra di Groenland, la sostanza ritmica-armonica del contrabbasso, il drumming sottile di Jacobson, le tessiture del flauto irlandese di Ó Loclainn, della concertina di Talty e dei clarinetti di Berrill, i contrappunti della marimba e del vibrafono di O’Hara, l’incisività del violino di Spencer fanno degli Èriu una band ispirata e brillante. In “Sruthán Rua” prevalgono gli accenti minimalisti con la marimba di Maeve O’Hara in bell’evidenza. Poi tocca al vibrafono entrare in scena nella successiva, danzante “Eileen Eile, well ah”, dove l’accoppiata clarinetto basso e concertina dà corpo al tema principale. La narrazione si fa fortemente evocativa nei quattordici minuti di “A Summer’s Evening”, divisa in due parti, la prima in forma di slow air, la seconda dalle movenze danzanti. “Fear an Bhogha” è il superbo finale dai violini rinforzati dalla presenza dell’archetto di Aoife Ní Bhriain. www.ensembleeriu.com 


Ciro De Rosa

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