Umbria Jazz, Perugia, 8 - 17 Luglio 2016

Dalle strade dell’acropoli perugina si diffondono suoni di ogni tipo. È il caso di dire: dalla mattina alla sera, o dalla sera alla mattina. Insomma di continuo. Se non si sente niente mentre si attraversa Corso Vannucci o le vie che lo incrociano è per via del caldo, che in alcune ore scoraggia anche i più audaci e le decine di musicisti che da tutto il mondo vengono a suonare all’altro Umbria Jazz. Quello appunto delle strade, delle jam nei locali, dell’estemporaneità e del trasporto totale della musica. Nei primi giorni qualcuno si lamentava di una certa rigidità dell’atmosfera generale, dovuta a una partenza forse un po' a rilento della macchina, al fatto che c’erano ancora pochi artisti per le strade e soprattutto che poco si incontravano la notte nei locali. Chi conosce il festival però sa bene che difficilmente ci si annoia. Si può forse faticare a camminare perché si è sempre circondati da centinaia di persone, si è costretti a spendere eccessivamente per una birra, oppure a immobilizzarsi in coda nei bar. Ma la musica difficilmente delude. E non parlo soltanto del jazz da cartellone, ma anche del resto che nei programmi non c’è. Non è un aspetto secondario, perché nel sentimento comune Umbria Jazz è probabilmente il programma non scritto - costruito nel doppio vincolo della casualità e della programmazione ufficiosa - inquadrato dentro a quello ufficiale. Si tratta di due poli evidentemente connessi che insieme decretano un successo straordinario: in termini di affluenza, di seguito dei concerti a pagamento (nei teatri, nei siti di interesse storico artistico e al main stage di Santa Giuliana), di affezione ad alcuni degli artisti che ormai, pur esibendosi solo in strada, sono entrati nella rosa dei protagonisti e nella mitologia del festival. 
E posso confermare che se non c’è la musica nelle strade (a quanto dicono i giornali, lo stesso Mika - che si è esibito come un alieno domenica dieci luglio - sembra non riesca a pensare ad altro oramai) e se le voci non si sovrappongono angolo dopo angolo, tratto dopo tratto, Umbria Jazz è percepito come fallimentare, o almeno almeno impopolare. Su un piano prettamente sociale e culturale, questo processo ha una rilevanza importante. Dipende forse dal fatto che il grande pubblico recepisce l’insieme dei riflessi del fenomeno, piuttosto che il fascino e la coerenza della programmazione. Oppure dipende dalla bravura (comprovata da quasi cinquanta edizioni) degli organizzatori, i quali riescono a calibrare l’insieme delle iniziative in riferimento a un pubblico sicuramente variegato. Fatto sta che in città transitano centinaia di migliaia di persone ogni anno e anche l’edizione 2016 non ha finora deluso le aspettative di nessuno. I perugini (nella maggior parte dei casi) se la spassano: in molti si appollaiano ai bordi dell’Arena Santa Giuliana e si “sentono” i concerti dei big, erodendo sera dopo sera le reti ombreggianti messe per coprire la visuale sul grande palco. E rinnovando una consuetudine interessante, che ha i tratti di qualcosa a metà strada tra un’abitudine paesana (la gente che scende in strada con la sedia a “prendersi” il fresco) e un rituale, legato a doppio filo all’occasione di avvicinarsi ad artisti di fama internazionale e alla cocciutaggine di non pagare per entrare. 
Gli stranieri - che sono tantissimi da tutto il mondo - si succhiano ogni goccia della programmazione, affollandosi a proprio agio sotto i due grandi palchi allestiti per i free concerts ai giardini Carducci e in piazza IV novembre (con scalette che vanno dalle una del giorno alle una della notte), scegliendo i concerti più suggestivi nei luoghi più incantevoli, come la Sala Podiani della Galleria Nazionale dell’Umbria, il complesso monumentale di San Pietro, il teatro Morlacchi e il teatro Pavone. Il resto viene - come detto - per l’atmosfera libertina delle strade e per gli artisti che si esibiscono all’arena Santa Giuliana (finora hanno calcato il palco Massimo Ranieri in “Malia”, con Enrico Rava, Stefano Di Battista, Rita Marcotulli, Riccardo Fioravanti e Stefano Bagnoli; Diana Krall, il musicista e produttore londinese di origini nigeriane Ola Onabulé; Mika; la blues singer texana Ruthie Foster; Buddy Guy e il trio composto da John Scofield, Brad Mehtdau e Mark Guiliana), un luogo simbolo del festival e della città a ridosso delle mura del centro storico, ma sopratutto affiancato all’ex monastero femminile cistercense di origini medievali, che spicca davanti al palco e oltre le gradinate. Tra i concerti che si sono svolti in questi primi giorni di festival, ce ne sono almeno tre da segnalare. Il primo è “Mistico mediterraneo. Danse, memoire, danse”, si è svolto venerdì otto luglio alla basilica di San Pietro e rappresenta uno dei punti più alti della qualità del programma. È una produzione originale di Paolo Fresu (con Daniele Di Bonaventura) che coniuga il suo jazz con alcuni brani popolari eseguiti da A Filetta, il coro corso fondato alla fine degli anni settanta, e che riprende l’anonimo disco uscito per la Ecm in collaborazione con il chitarrista Ralph Towner. 
Il secondo evento di rilevanza prettamente jazz si è svolto il dodici luglio alla Galleria Nazionale dell’Umbria, nel quadro della programmazione “Il jazz va al museo”. Ha avuto come protagonisti Mirko Signorile (piano) e Dino Rubino (piano e tromba), che si sono esibiti in una session di improvvisazione straordinaria, che hanno chiamato “Tûk Music” e che si è protratta per oltre un’ora. Il terzo concerto è stato quello di Buddy Guy. Inutile dirlo, ma la sera dell’undici luglio all’arena, the man born to play guitar ha travolto tutti. Lo ha fatto con la sua stratocaster e la sua voce (ancora intatta e poderosa alla soglia degli ottant’anni) e sopratutto con il suo blues, sporco e dinamico, spettacolare, pieno di corde e di parole, di estemporaneità. Sembrava di essere a casa sua (venne un’altra volta a Umbria Jazz con BB King) tanto mischiava canzoni e spoken, storia e contemporaneità, spettacolo ed estemporaneità. La sua maestria è rimasta intatta fino alla fine, anzi è stata confermata dallo special guest Quin Sullivan, giovanissimo chitarrista diciassettenne e fenomeno conclamato del rock blues americano, già apprezzato da Joe Bonamassa ed Eric Clapton, che lo ha invitato al suo Crossroads festival. Gli artisti che continueranno a esibirsi sono tutti da seguire. Torneremo nel prossimo speciale con un approfondimento su un progetto di Fresu ispirato al Laudario di Cortona, realizzato in collaborazione con Umbria Jazz e la Sagra musicale umbra, il concerto di Pat Metheny e Ron Carter, Marcus Miller, Steps Ahead e il “Napoli trip” di Stefano Bollani. 



Daniele Cestellini

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