Manuel Barrueco, Roma, Aula Magna Università La Sapienza, 12 aprile 2016/London Brass, Roma, Aula Magna Università La Sapienza, 16 aprile 2016

Martedì 12 Aprile, entusiasmo e goliardia fra i molti giovani in fila all’ingresso dell’Aula Magna. Chi ci sarà in concerto? Forse un rapper si esibisce all’Università La Sapienza di Roma? Fra il pubblico le tante unghie lunghe della mano destra sono un segnale inequivocabile, c’è aria di chitarra! Nessun rocker però. Si tratta di Manuel Barrueco nuovamente ospite dell’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC) dopo il successo della primavera 2014. Il legame del maestro cubano con l’Italia è molto forte al punto che suona nel nostro paese quasi costantemente da più di venti anni, sempre circondato dall’enorme affetto del pubblico. Lo strumento a sei corde nel mondo della cosiddetta “Musica Classica” ha sempre avuto difficoltà d’inserimento, come uno studente timido ma dotatissimo la cui voce viene spesso sovrastata dai compagni più esuberanti. Eppure Hector Berlioz, autore di magnifiche pagine orchestrali, non suonava il pianoforte ma la chitarra, Franz Schubert – apprendiamo dalle Note di Sala di Pasquale Di Giannantonio – “amait la guitare”. Dopo essersi presa la sua rivincita divenendo strumento principe nella Popular Music, la chitarra conquista anche il pubblico più tradizionale delle sale da concerto grazie a figure come Andrés Segovia e appunto Manuel Barrueco. 
Il primo tempo del concerto si potrebbe definire un anacronistico viaggio nel tempo. La chitarra torna in pieno Settecento e interpreta Weiss, Bach e il Mozart “variato” da Fernando Sor. Brani come la Ciaccona dalla “Partita n. 2 in re minore BWV 1004”, divenuto nel Novecento assoluto pezzo di bravura per le sei corde, manda il pubblico quasi in estasi o comunque in religiosissimo silenzio. Scompaiono così per qualche minuto le solite sinfonie di colpi di tosse, quasi una pasticca per la gola assunta mediante le orecchie. Il secondo tempo è ambientato nella Spagna di Federico Moreno Torroba, Joaquín Turina e Isaac Albéniz. Barrueco, che regge in braccio la chitarra con la paletta quasi appoggiata ad una guancia, sembra un padre che culla il figlioletto narrandogli l’atmosfera sognante iberica, le bellezze architettoniche e l’affascinante storia di Siviglia e della Catalogna protagoniste della “Suite Catalana op. 47” di Albéniz. Il viaggio nel tempo appare argomento prediletto dall’Istituzione Universitaria dei Concerti così sabato 16 aprile il pubblico dell’Aula Magna è nuovamente condotto attraverso i secoli musicali da una compagine singolare e di grande prestigio i London Brass. 
L’ensemble di ottoni più famoso al mondo, al trentennale della sua attività artistica, apre la serata con alcune arie e danze del liutista inglese John Dowland. D’improvviso sembra di essere nella sala del trono al cospetto di re, principesse e dignitari d’ogni grado. Ai presenti, magari amanti della serie televisiva “Il trono di Spade”, saranno luccicati gli occhi ma non è da escludere siano stati anche vittima di allucinazioni visivo-uditive con le maschere di sala che salgono sul palco a mescere vino pregiato agli artisti. La Cantata di Johann Sebastian Bach “Herz und Mund und Tat und Leben BWV 147” (in versione strumentale) e il brano tradizionale inglese “Greensleeves” sono troppo noti e amati dal pubblico, che infatti risponde con scroscianti applausi, finiscono così per schiacciare una sbiadita “Sonata” di Giovanni Gabrieli. “L’Inverno” di Vivaldi appare quanto mai rigido e gelido se affidato ad un ensemble di ottoni al posto dei più miti e ardenti archi. Il secondo tempo si apre con la celebrazione dei 400 anni dalla morte di Shakespeare, per la quale viene eseguito, senza suscitare particolari sussulti, lo “Scherzo” dal “Sogno di una notte di mezza estate” di Mendelssohn. 
A questo punto spazio finalmente al ritmo e al virtuosismo con il Novecento del polacco Lutoslawski e soprattutto con pezzi come “Caravan” e “La Carioca”. Se con il primo brano il pubblico è trascinato nella New York di Duke Ellington, il quale eseguì per la prima volta nel 1937 questa composizione del duo Mills - Tizol, con “La Carioca” (Eliscu/Kahn - Vincent Youmans) sembra di ritrovarsi sul set dell’omonimo film del 1933 con Fred Astaire e Ginger Rogers. Discorso differente per lo stile jazzistico placido e sensuale di “Lush Life” (1948) di Billy Strayhorn e per la scrittura divertita e citazionistica delle “Surprise Variations” del settantenne Paul Hart con il quale gli abilissimi dieci ottoni salutano il pubblico dopo questa lunga ed entusiasmante cavalcata nella storia della musica. 

Guido De Rosa

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