FemmeFolk – FemmeFolk (Bajun Records, 2016)

Il progetto FemmeFolk nasce nel 2012 dall’incontro tra quattro musiciste con background musicali differenti, ma accomunate dalla passione per la musica popolare francese ed il balfolk, le quali hanno unito le forze per dar vita ad un originale percorso di ricerca muovendosi tra valzer, bourrée, scottish, mazurke, balli staccati, e il liscio, il tutto riletto in una chiave moderna nel quale convergono folk, jazz, rock e echi pop. Abbiamo intervistato Donatella Antonellini, voce, organetto e chitarra del quartetto per scoprire da vicino la storia di questo gruppo, soffermandoci in particolare sul loro album di debutto omonimo.

Come ha preso vita il progetto Femme Folk?
Siamo "nate" circa quattro anni fa dall’incontro tra me Valeria Cino (contrabbasso), Nicoletta Bassetti (violino, viola e voce) e Caterina Sangiorgi (flauto traverso, flauto dolce e voce).  Io scoprii alla fine degli  anni Ottanta il balfolk, col tempo iniziai ad apprezzare e a frequentare festival balfolk  in Francia, con tantissima musica rigorosamente dal vivo. Ricordo che Simone Bottasso da adolescente faceva già coppia col fratello violinista ancora bambino. Inoltre una "tappa" fissa era Saint Chartier, un festival dedicato alla musica etnica. Attraverso queste esperienze mi innamorai dell'organetto e soprattutto il mio interesse si spostò progressivamente dalla danza alla musica, che iniziò ad intrigarmi per energia, originalità e ricchezza creativa. Nell'Orchestrona della Scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli (FC), dove suonavo, incontrai Valeria Cino con la quale iniziammo a proporre standard balfolk,  in forme semplici e piuttosto filologiche. 
Si aggiunsero Nicoletta Bassetti e Caterina Sangiorgi ed io iniziai a comporre i primi brani, tra cui uno dei primissimi fu “Giuditta”, un valzer impari in 8/8.   In questa fase, l'idea era quella di consegnare le mie composizioni a musicisti che avessero una provenienza di generi e sensibilità musicali diverse. Mi interessava che non fossero necessariamente legati al mondo della musica popolare, in modo che in ogni brano si avvertisse una diversa impronta, e che la nostra proposta risultasse una sorta di patchwork, intessuto delle sonorità dei nostri strumenti. Inoltre decidemmo di mantenere una doppia offerta: concerto balfolk ma anche concerti da ascolto. Da qui ha preso il via il progetto, che poi si è evoluto mantenendo tuttavia alcuni aspetti iniziali. 

Da dove nasce la passione per il repertorio legato alla musica popolare francese?
Come dicevo prima, dalla sorpresa che il contatto con questa musica ha provocato in me. Principalmente mi colpirono, ad esempio, la dolcezza all'ascolto di Stephane Delicq, la sorprendente energia degli Stigens, capaci di vestire il folk con abiti inusuali e travolgenti, l'intensità dei Grands-Méres et Soufflets. Per la prima volta la danza diventò secondaria e fu semplicemente un mezzo per godere ancora di più della musica. La musica popolare iniziò ad affiancarsi agli altri generi musicali che fino ad allora erano stati il mio repertorio da ascolto: etno-jazz, classica, trip hop, minimalista, ambient, sperimentale… (sono comunque una divoratrice di musica aperta e curiosa). In tutto questo mi accorsi che l'intensità delle danze e della musica francese mi accompagnavano più di altre. Così, in modo naturale, le mie prime composizioni si sono costruite sull'onda di quei ritmi e di quelle suggestioni.  

Dal 2012 ad oggi come si è evoluta la ricerca e l’approccio musicale di Femme Folk?
Per quanto riguarda il repertorio, c'è stata un'evoluzione: all'inizio siamo state legate al balfolk e ai suoi brani più tradizionali, ma subito ci sono stati stretti. Abbiamo capito che il desiderio musicale più urgente non era di stare in un unico contesto, ma rendere la nostra musica più articolata possibile proprio come i nostri gusti. Nella nostra ricerca musicale non cerchiamo necessariamente un genere, ma un riferimento emotivo ed espressivo prima di tutto in sintonia con la nostra sensibilità. Questo significa che noi tendiamo a non chiederci cosa piace al pubblico o cosa si aspetta di sentire, ma cerchiamo farlo viaggiare all'interno del nostro piacere. Per spiegare qual è il nostro approccio e in che direzione ci stiamo muovendo, mi sembra necessario parlare delle diversità che caratterizzano ciascuna di noi. Le nostre origini ed esperienze musicali sono profondamente differenti: c'è chi proviene, come formazione, dal mondo classico e chi, come esperienza musicale, è passata attraverso il pop e il rock; ma c'è anche chi, come me e la contrabbassista, ha cominciato a suonare con la musica popolare, pur avendo alle spalle un repertorio di ascolto molto più articolato e vasto. Per alcune del gruppo quindi la musica popolare era un'assoluta novità e occorreva tempo per far spazio ad una nuova fiducia nei confronti di questo genere, che pur richiedeva un approccio strumentale diverso. Nel tempo tutto questo si è trasformato nella nostra risorsa, progressivamente infatti ognuna di noi si è appropriata in modo personale del progetto arricchendolo. A chi ci chiede che tipo di musica facciamo, fatichiamo ad oggi a rispondere: prima di tutto, perché ci piace pensare di essere in eterna evoluzione, e poi perché questi quattro anni ci sono serviti per trovare il "nostro suono", come qualcosa che ci appartiene ed è per noi caratterizzante. È stata questa quindi l'essenza della nostra ricerca ed è andata di pari passo con lo sviluppo di un legame significativo e profondamente democratico fra noi quattro. Un percorso fatto di passione e divertimento che ci ha progressivamente permesso di appropriarci di un nostro modo di arrangiare, non scritto a tavolino, ma creato in modo spontaneo, ognuna con i propri modi, durante le prove. 

Quali sono gli artisti che hanno ispirato ed influenzato maggiormente il vostro approccio musicale?
Ognuna di noi ha uno o più maestri. Alcuni possono essere stati reali, altri spirituali: ad esempio io posso citare, in riferimento all'organetto, Stephane Delicq, Riccardo Tesi e Simone Bottasso. Il primo per l'intensità e la dolcezza musicale, il secondo per la grande naturalezza del suono, mentre il terzo per il suo groove. Ovviamente restano per me esempi "alti" a cui ispirarmi poiché io sto continuando a cercare il mio modo. Ai musicisti che hanno ispirato ciascuna di noi abbiamo poi chiesto di arrangiare alcuni brani del nostro repertorio, in particolare quelli di nostra composizione.  

Veniamo al vostro disco di debutto. Ci potete raccontare la gestazione del disco?
Abbiamo potuto pensare di pubblicare un cd perché il produttore Riccardo Rinaldi  ci ha ascoltate e ha ritenuto di credere nel progetto, scegliendo di pubblicarci per la Bajun Records. Quindi abbiamo registrato nel 2015 preferendo il "live" cioè una registrazione a presa diretta, in quartetto, in modo da avere una resa più fedele possibile alla performance dal vivo. Il cd è stato edito dopo un anno e infatti alcuni brani li abbiamo già riarrangiati. Questo ritardo è stato dovuto alla nostra scelta di avviare anche un crowdfunding. Il tentativo ha avuto successo e ne siamo state molto orgogliose. Il cd raccoglie diciassette brani (non siamo scaramantiche) in parte nostre composizioni, in parte brani riarrangiati scelti tra le proposte di diversi gruppi francesi per noi particolarmente significativi, come i "Quintet a claques" o gli "Djal".

Come si è indirizzato il tuo lavoro in fase di scrittura dei brani?
I miei brani non sono altro che l'espressione diretta e ed istantanea della musica che ho in testa. Il mio legame con essa è sempre stato molto intenso fin da bambina: uno degli oggetti che non mi lasciava mai era il mangiadischi regalatomi dai miei genitori e accompagnato da una quantità di 45 giri tra cui spiccava il mio preferito: "Jesael" dei Delirium, con Ivano Fossati che poi, come autore e musicista, non mi ha mai più abbandonata. Con la musica ho un rapporto prevalentemente istintuale e molto emotivo, a volte     nel processo creativo sono stimolata dal benessere che l'ambiente circostante produce su di me (uno degli ultimi brani è nato in mezzo al mare Adriatico, trasportata da una barca a vela, con i piedi "ammollo" e la "testa tra le note"), oppure mi ritiro nei miei spazi interiori e trasferisco sull'organetto la "musica che sento", fino a quando sono soddisfatta del risultato. Talvolta parto dalla melodia, inserendo successivamente ritmo e armonia, più spesso però avviene il contrario: i ritmi mi intrigano, danno personalità anche quando sono appena percepiti o sottintesi, trovo molto intrigante la poliritmia e l'uso degli strumenti melodici per produrre pattern ritmici capaci poi di modificarsi e giocare con le melodie prodotte dagli altri strumenti. Per ora comporre è un'esperienza solo mia, personale, ma trovo che nel gruppo potrebbe essere interessante iniziare a comporre a più mani... chissà.

Nel disco sono presenti anche alcuni brani tradizionali. Con quale criterio li avete selezionati?
I brani tradizionali presenti nel nostro repertorio sono essenzialmente quelli che, nel tempo, hanno continuato a darci piacere nel suonarli e che ci siamo divertite particolarmente a riarrangiare. Due di questi brani, "Manavu" e "Ronde de Saint Vincent" sono stati scelti anche perché li abbiamo trovati adatti ad essere cantati a tre voci, affrontando il canto come se fosse un altro strumento. Ecco perché, per adesso, abbiamo deciso di non inerire voci soliste. 

Alla registrazione del disco hanno partecipato diversi ospiti. Potete presentarli?
Abbiamo avuto importanti ospiti, non in sede di registrazione, ma in ambito creativo nella realizzazione di alcuni arrangiamenti. Il loro contributo è stato prezioso non soltanto dal punto di vista musicale, ma anche formativo: ad esempio con Riccardo Tesi si è lavorato insieme alla costruzione degli arrangiamenti e questo ci ha dato degli strumenti di cui ci siamo appropriate per diventare a nostra volta arrangiatrici dei brani. Il disco ha visto la collaborazione anche di altri artisti come Roberto Bartoli, Luca Rampinini, Dimitri Sillato, Elena Zauli, Davide Castiglia e "Ciuma" Stefano Del Vecchio. Ringraziamo di cuore, ancora una volta, questi artisti che hanno voluto mettersi in gioco con noi. Disco a parte, abbiamo però proprio ultimamente ricevuto la richiesta di partecipare ad una raccolta di musica popolare con un brano inedito e in questa occasione abbiamo deciso di ospitare due percussionisti: Fiorenzo Mengozzi al bodhran e Felice Lippolis al tamburello. La raccolta verrà distribuita sul territorio nazionale durante l'estate allegata ad una nota rivista, ma manteniamo ancora un po' di riserbo e suspense. 

Come si è articolato il vostro lavoro di arrangiamento dei brani?
Il nostro è un lavoro organico: è un processo che avviene suonando, in sede di prove, ciascuna intervenendo e proponendo con competenze e ruoli differenti. In questa sede si incontrano gli aspetti più creativi che caratterizzano alcune di noi insieme a quelli più tecnici e teorici che aiutano a metterle a punto. Occorre fiducia, disponibilità e accettazione dei limiti di ognuna di noi, per cui come diceva Frank Zappa "ogni stecca ripetuta due volte è l'inizio di un nuovo arrangiamento". 
Le nostre prove sono momenti conviviali in cui prima di tutto cerchiamo di star bene insieme, non c'è prova senza cena. Questo modo di lavorare ci diverte molto e per noi la relazione tra musica e piacere è fondamentale.

Quanto è importante l’improvvisazione nel vostro approccio al palco?
L'improvvisazione si sta affacciando da qualche tempo nelle nostre esibizioni live. Personalmente, trovo la pratica dell'improvvisazione un elemento molto coinvolgente ed emozionante, capace di catturare l'attenzione del pubblico creando, in certi casi, una sorta di "suspense" molto coinvolgente. Credo sia il modo più diretto di "parlare" al pubblico. Riuscire a fare questo significa avere grande capacità di ascolto e grande sintonia tra i componenti del gruppo, grande conoscenza e padronanza dello strumento. La prima improvvisazione la inserì Riccardo Tesi in un arrangiamento, creando un tappeto sonoro sul quale il flauto di Caterina "viaggia", ad ogni esecuzione, modificando a piacere il percorso. Però l'emozione più intensa la provammo l'estate scorsa quando all'improvviso, durante un concerto, inaspettatamente, lei iniziò ad improvvisare in modo libero, sul tema di un brano, con una forza, una convinzione tali da lasciare noi stesse esterrefatte e grate.  Ci scoprimmo capaci a nostra volta di sostenerla e questo ci ha rassicurate. Chissà, magari nel nostro futuro questa pratica potrebbe allargarsi anche ad altre tra noi.

Una domanda provocatoria. Nel vasto panorama della scena folk italiana si contano diverse realtà che propongono balfolk e musiche ispirate alla tradizione francese. Qual è l’originalità della vostra proposta musicale?   
Ciò che maggiormente caratterizza il nostro progetto crediamo che sia proprio la nostra sonorità, la "voce" che emerge dall' organico del gruppo, che non è soltanto la somma dell'insieme dei nostri strumenti, ma la nostra intenzione nel suonarli. Questa intenzione è la somma di vari aspetti che ci connotano, sia individualmente che come gruppo, alcuni più razionali e riconoscibili, altri che percepiamo ma che fatichiamo maggiormente a spiegare. Sentiamo una sorta di "eleganza" e leggerezza nelle nostre performance che crediamo sia caratterizzata anche dalla nostra femminilità e dal tipo di sensibilità e di gusto che questa cosa porta con sé, olore alla passione e al divertimento che  (ci dice spesso il pubblico) esprimiamo dal vivo. "Voglio scusarmi in anticipo con chi crede che noi siamo qualcosa di serio, per noi la serietà sta nella spensieratezza", questa citazione di Jerry Garcia (Grateful Dead), che abbiamo messo in copertina nel cd, ci pare possa avvicinarsi alla nostra musica e a ciò che noi siamo. La classicità timbrica dell'ensemble che, come qualcuno ha scritto, ricorda pellicole in bianco e nero, si sposa e gioca con aspetti creativi inaspettati che contaminano questa sorta di suono "antico" spiazzando, a volte chi lo ascolta. Diciamo comunque che la Francia è stata il nostro "trampolino di lancio" ma ci stiamo aprendo a nuove idee ed intenzioni nell'evoluzione del progetto. Siamo curiose di vedere dove ci porterà questa avventura!

Concludendo, cosa devono aspettarsi i nostri lettori che verranno a vedervi dal vivo?
Dipende dal tipo di concerto a cui partecipano: l'energia e il feedback col pubblico sono piuttosto diversi a seconda che suoniamo per il balfolk o per situazioni d'ascolto. Il repertorio varia un po' ma soprattutto è il nostro tipo di coinvolgimento emotivo a cambiare e di conseguenza il risultato sonoro ed espressivo. Preferirei raccontare, con affetto,  ciò che di noi ci ha detto chi in questi anni ha partecipato ai nostri concerti, lasciare insomma la parola al pubblico: alla fine di un concerto da ascolto a Milano,  una signora si avvicinò con gli occhi rossi e ci disse che l'avevamo commossa e che la nostra musica le era arrivata al cuore, invece una coppia di ragazzi ci raccontò che mentre ascoltavano la nostra musica, entrambi avevano sentito un forte desiderio di partire per un viaggio, tant'è vero che avevano  iniziato a chiedersi per dove acquistare il biglietto. Moltissimi alla fine dei concerti vengono a raccontarci di quanto abbiano sentito il nostro piacere e divertimento nel suonare e quanto questo li abbia coinvolti e fatti stare bene. In generale i commenti che ci arrivano ci parlano di grande serenità ed emozione che derivano dalla nostra musica. Crediamo comunque che la nostra proposta o piace molto o non piace per niente, ci pare che non lasci indifferenti. Nel bene o nel male vi i lasciamo la curiosità di venirci ad ascoltare e a far ballare i vostri sensi, citando di nuovo Frank Zappa quando dice che "parlare di musica è come ballare di architettura". Vi aspettiamo!



FemmeFolk – FemmeFolk (Bajun Records, 2016)
Sonorità eleganti e raffinate unite a strutture musicali semplici ed allo stesso tempo ricche di passione e lirismo: sono questi gli ingredienti del disco di debutto delle FemmeFolk, progetto musicale tutto al femminile, nato dall’incontro tra Donatella Antonellini (organetto, chitarra, voce, castagnette e composizione), Valeria Cino (Contrabbasso), Caterina Sangiorgi (flauto traverso, voce e percussioni), e Nicoletta Bassetti (Viola e violino), quattro talentuose strumentiste romagnole dai diversi percorsi musicali, ma con la medesima passione per il balfolk e la tradizione musicale da ballo francese. Composto da ben diciassette brani, per lo più composti dalla Antonellini, l’album si svela in tutto il suo fascino sin dal primo ascolto, durante il quale a colpire sin da subito è la particolare attenzione verso il tessuto melodico, un ordito costruito sul dialogo tra l’organetto, il violino, ed il flauto, con il contrabasso a scandire la ritmica. E’ naturale, dunque, lasciarsi coinvolgere dall’invito al ballo che ci propongono le FemmeFolk regalandoci un susseguirsi appassionato di mazurke, valzer, bourreè e scottish, con la complicità di Riccardo Tesi, Dimitri Sillato, Luca Rampinini, Roberto Bartoli e Stefano Delvecchio “Ciuma” che hanno curato gli arrangiamenti di alcuni brani. Ad aprire le danze è “Giuditta” uno splendido valzer impari in 8/8 a cui seguono in successione la bella rilettura di “British Strings” di Camille Passeri, la sinuosa “Mazurka Stanca”, e quel gioiellino che è “Viola”, valzer in cinque tempi, arrangiato da Riccardo Tesi.  Le sorprese non mancano perché le FemmeFolk ci regalano prima il medley “Locomotive Jiga/Zelda” e poi “Manavu”, brano della tradizione klezmer israeliana, che dimostra tutta la curiosità di questo quartetto nell’esplorare sonorità che vanno anche oltre il balfolk. Ci spostiamo poi in Bretagna con la trascinante “Ronde di St.Vincent”, in cui ad accompagnare la trama melodica troviamo anche le voci. Lo scottish “Brume” ci introduce ad uno dei vertici del disco, ovvero “Amelie”, medley tratto dalla colonna sonora de “Il favoloso mondo di Amelie”, riarrangiato per l’occasione dalle FemmeFolk. Se “Dona Swing” è un altro esempio della versatilità del quartetto, la successiva “Picnic” ci regala un’atmosfere spensierata come una scampagnata sulle colline romagnole. Le gustose “Bourpe En Molet e Marrakesh” e “Arno’Dro” ci conducono verso il finale in cui spiccano “Favole”, “CircoCircasso” e il valzer del medley che unisce “Mon amant de Saint Jean” e “Le Flot du Danube”, che suggellano l’ottima opera prima delle FemmeFolk.


Salvatore Esposito

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