Gian Michele Montanaro, POPOLabile. Diario di un viaggiatore musicista... o quasi, Narcissus.me 2015, pp.127 Euro 5,99

Percussionista di origine campana, ma laziale di adozione, Gian Michele Montanaro possiede un ricco background formativo maturato al fianco dei più importanti suonatori di tamburi a cornice italiani, ed attraverso una intensa attività di ricerca sul campo, tanto a contatto con i depositari della musica tradizionale del Sud Italia, quanto nelle principali feste popolari. La sedimentazione di tali esperienze, e un talento innato nell’approccio ai tamburi a cornice, hanno consentito al musicista campano di sviluppare una originale tecnica esecutiva nella quale la storia millenaria di questo strumenti incrocia nuove possibilità ritmiche e generi musicali differenti. Dall’esperienza con Correvalanno, a quelle con Tamburello Cafè, Musicanti del Piccolo Borgo e al fianco di Giuseppe “Spedino” Moffa, Gian Michele Montanaro si è segnalato come uno dei percussionisti di maggior talento in Italia. Abbiamo intervistato Gian Michele Montanaro per ripercorrere insieme a  lui il suo percorso formativo e la sua carriera artistica per soffermarci in conclusione sul suo libro “POPOLabile. Diario di un viaggiatore musicista… o quasi”.

Partiamo da lontano come è nata la tua passione per la musica tradizionale?
La mia passione per la musica tradizionale nasce dalla strada. Dall'incontro con artisti che non suonavano esattamente questo genere musicale e che mi hanno avvicinato ai nomi noti che hanno reso la musica tradizionale fruibile a tutti attraverso ottimi lavori di folk revival. Personaggi che ad oggi rappresentano delle pietre miliari fondamentali per chi ama questo genere. La vera musica tradizionale l'ho incontrata subito dopo, quando ho iniziato a suonare. A caccia di nuove informazioni e conoscenze, giravo con amici in tutti quei luoghi e paesi dove la musica tradizionale legata al canto e al tamburo manteneva ancora un'identità autentica. E da quel giorno non ho mai più smesso.



Sei un polistrumentista, ma il tuo strumento d’elezione è il tamburo a cornice, come hai cominciato a suonare questo strumento?

Ormai parliamo di venti anni fa. Studiavo le percussioni africane e cubane in modo amatoriale quando conobbi dei ragazzi salentini che mi iniziarono alle prime diteggiature sul tamburello, da lì fu come un colpo di fulmine, avevo trovato il mio strumento. 

Dallo studio del tamburo a cornice ad essere il primo freestyler italiano di questo strumento. Ci racconti questo percorso?
Inizia appunto con un piccolo stage organizzato da quei ragazzi. Poi subito dopo, mi era chiaro, almeno dal punto di vista emotivo, che volevo saperne di più, volevo suonare il tamburello. Volevo suonarlo bene. Quindi, chiedendo consiglio in giro, scelsi e contattai Arnaldo Vacca ed inizia a prendere lezioni individuali con una cadenza più o meno mensile. Arnaldo resta in modo indiscusso il mio maestro, da cui ho appreso cose anche dopo il nostro rapporto allievo insegnante. Credo tuttora sia ancora uno dei più importanti tamburellisti italiani. Nei miei ricordi resta importante anche uno stage a Napoli con Alfio Antico, non tanto per il suo drumming, tutto sommato in quel periodo già iniziavo a suonare discretamente, ma soprattutto per la relazione emotiva con lo strumento, che a mio avviso troppi musicisti tendono a sottovalutare a discapito di virtuosismi tecnici. Il resto è venuto un po' da sé. Non sono mai stato un “coverman”, non sono mai riuscito a non rendere mie le cose che faccio. Lego quest'aspetto molto al mio carattere caparbio ed alla mia forma mentis scientifica, che, sia chiaro, non sempre mi ha aiutato rivelandosi vantaggiosa, ma in questo caso specifico mi ha guidato molto a creare una mia personalità tamburellistica. Una mia identità. La storia del freestyler è legata a due fattori principali, il primo è che avevo sempre il tamburo in mano, il secondo è che chi ama il tamburello, direttamente o indirettamente si avvicina anche ad altri tamburi a cornice. Io mi avvicinai al pandeiro brasiliano. Lì, in brasile, è parte integrante dell'essere percussionista la voglia di giocare con lo strumento. I brasiliani con il tamburo, e parlo di freestyle, fanno delle cose pazzesche. Io mi sono semplicemente detto: se lo fanno i brasiliani perché non anche gli italiani? Questa idea è stata i primi periodi derisa, schernita, per poi diventare oggetto di ammirazione e conseguente imitazione. Come dicevo tendo a non imitare per carattere, tranne se non per acquisire informazioni da rendere mie. Non può farmi che piacere vedere che oggi anche altri percussionisti affrontino con l'istinto del gioco anche la relazione più immediata con lo strumento-tamburello, inventando e anche imitandomi. 

Dal punto di vista stilistico quali sono i tuoi riferimenti artistici e soprattutto le caratteristiche del tuo approccio al tamburo a cornice?
A questa domanda voglio rispondere velocemente con una citazione che amo molto di Charles Horton Cooley: “ciascuno è specchio dell'altro e riflette chi passa”. Questo è sostanzialmente il mio approccio. Dubito sempre e solo di coloro che dicono che “questa tecnica” o “questa diteggiatura” l'hanno inventata loro.  Personalmente, nonostante venerassi la tradizione dedicando ad essa studio ed attenzione, ho sempre desiderato poter suonare ritmi altri, ho sempre desiderato voler suonare il tamburello anche in altri generi musicali, e quindi il mio studio è andato molto anche in quella direzione. Per ottenere ciò ho semplicemente cambiato prospettiva: dal tamburello al servizio della tradizione sono passato alla tradizione al servizio del tamburello. Questo mi ha portato a sviluppare degli studi tecnici divenuti poi base di studio anche per altri miei colleghi percussionisti.   

Quali sono state le tue principali esperienze artistiche?

Mi piace emozionarmi per ciò che sto facendo, quindi non collego l'importanza di un’esperienza alle dimensioni del palco e del numero degli spettatori, ma a quanto quella situazione mi ha regalato emozioni positive. Volendone citare una nello specifico sono certo che i 4 anni di ricerca e registrazioni sul campo nella mia terra d'origine, da cui è nato il dvd con opuscolo allegato intitolato “Canti e Danze del Matese campano” sono state un'esperienza artistica ineguagliabile. Tutte le fantastiche persone che ho conosciuto, anziani e giovani ballerini e suonatori dei vari paesi del Matese campano rappresentano un mondo di volti, sorrisi e competenze che custodirò per sempre nel cuore. 

In quali progetti sei attualmente impegnato?
Attualmente faccio parte del quartetto di tamburelli Tamburello Cafè e dei Musicanti del Piccolo Borgo storico gruppo del panorama folk revival italiano. Ma credo, anzi ne sono certo, che io nasco per fare le “marchette”, è la cosa che amo di più, ossia essere parte di ensemble variabili creati ad hoc per situazioni di animazione. Queste situazioni mi divertono molto. La vita è bella ma veloce e quindi, come si dice: “se la vita ti dà limoni, fanne limonate”. 

Parallelamente all’attività musicale ti sei dedicato anche alla didattica. Quali sono i tuoi metodi di insegnamento del tamburo a cornice?
 
Tutti, direttamente o indirettamente prima di essere stati insegnanti siamo stati allievi. Questo è il punto da cui parto nei miei laboratori collettivi, ma anche negli insegnamenti individuali. Penso che sia semplicistico e riduttivo portare il proprio insegnamento all'imitazione del proprio stile e delle proprie competenze ritmiche e musicali. Io credo fortemente nell'individuo e nelle sue esperienze che lo rendono unico, e quindi se si prende questo come assunto di base, non si può pretendere che i singoli seguano nell'apprendimento schemi prefissati per approssimazione o pigrizia dell'insegnante. Di conseguenza quando insegno non perdo mai di vista ciò che ho imparato dalla tradizione del mio sud Italia, anche se non sto parlando di essa. Stesso ritmo, stesso rituale, suonatori dello stesso paese, nati e cresciuti nella stessa via, due diteggiature differenti, ma.. stesso risultato ritmico. Questo è solo un esempio che serve a far capire che io non punta ad essere imitato, ma punto alla consapevolezza interiore del ritmo da parte dell'individuo che ho di fronte. Le diteggiature, ovviamente senza estremizzare, le reputo corollarie.

Arriviamo finalmente al libro “POPOLabile”. Com’è nata questa idea? E da dov’è nata la scelta di scriverlo in forma di diario?

Più che di un’idea parlerei di una necessità. La scrittura è analitica, e quindi scrivere mi fa stare bene. È una cosa che in modo più o meno intenso ho sempre fatto. Mi piace leggere e amo scrivere. Non c'era esattamente l'idea di pubblicarlo, ma una sera..... Una sera incontrai in un locale di Roma un mio vecchio amico che mi disse che era appena tornato da un viaggio in solitario in moto durato più di un mese, Catanzaro-Samarcanda e ritorno. Chiacchierando mi disse che aveva pubblicato il suo diario in ebook. Io ovviamente risposi che era fantastico e che lo avrei sicuro comprato, e che anche io avevo un diario di viaggio da libero professionista nell'underground della musica, da musicista popolare. A lui piacque veramente molto questa storia e mi invitò quasi esortandomi ad impegnarmi a pubblicarlo. Da qui iniziai a risistemare il diario in modo da renderlo fruibile a tutti. Aggiungere date, luoghi, locandine, lavorare sull'impaginazione e sulla suddivisione dei capitoli, tutto mi portò via circa otto mesi. Più ci lavoravo più capivo che Totò aveva ragione, dovevo farlo. 

Perché un appassionato di musica dovrebbe acquistare il tuo libro?

Prima di tutto perché gli piace leggere. Poi: perché gli piace la copertina, per solidarietà, per invidia, per empatia, per la sinossi, perché ho due figli, perché è veloce da leggere, perché sono un libero professionista, per combattere eventuali stipsi, per regalarlo, perché mi conosce e non vuole fare brutta figura. Questi solo alcuni dei motivi che mi vengono in mente al volo, ma dovendo autorencensire il mio libro-diario racconto il mio rapporto con i libri. I libro, anche se suggerito da terzi, è come se un po’ ti scegliesse, una sorta di alchimia. Quindi a questo punto l'importante è lasciarsi scegliere.

Quale sarebbe la colonna sonora ideale per accompagnare la lettura del libro? 

Questa è una domanda difficile. Io personalmente non riesco a leggere con una musica di sottofondo perché la musica mi seduce e mi distrae continuamente. Però credo che chi prova piacere in una colonna sonora debba fare almeno un tentativo con il cd “Labile”, in cui ho registrato le musiche dello spettacolo di presentazione, da me suonate. O in alternativa debba puntare verso melodie e ritmi che gli generano sentimenti positivi e senza alcun dubbio d'amore. 


Concludendo, quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Con il mondo della scrittura sto lavorando a tre progetti. Due personali e uno collettivo. Dei due personali uno è la restituzione in una pubblicazione ebook, quasi gratuita, di tutto il materiale cartaceo e audio raccolto durante i quattro anni di ricerca nel Matese campano. L'altro è un romanzo autobiografico che mi sta entusiasmando molto, perché rappresenta anche una sorta di testamento generazionale del mondo familiare e ambientale che ho ed hanno vissuto in molte persone della mia età e che dedicherò ai miei figli. Infine il progetto collettivo è un lavoro complesso che riguarda una panoramica totale di tutte le ricerche, dall'amatoriale al professionale, sviluppate in Terra di Lavoro e riunite in un unico volume che si intitolerà “Terra di Lavoro e Canto”.



Gian Michele Montanaro, POPOLabile. Diario di un viaggiatore musicista... o quasi, Narcissus.me 2015, pp.127 Euro 5,99
Accade raramente di leggere il diario di viaggio di un musicista, e in quelle rare occasioni si incappa spesso in pubblicazioni artefatte o passate attraverso gli asettici trattamenti degli editor che ne compromettono lo spirito originario. Fortunatamente esistono delle eccezioni, ed una di queste è certamente “POPOLabile. Diario di un viaggiatore musicista... o quasi” del percussionista Gian Michele Montanaro, volume completamente autoprodotto e pubblicato con Narcissus.me, piattaforma di self publishing distribuita attraverso i canali di Amazon in formato cartaceo e in ebook. Si tratta di un libro agile, veloce, che conserva intatta la sua immediatezza nel susseguirsi di pagina in pagina di istantanee di viaggio, tra ricordi, pensieri, riflessioni, ma soprattutto esperienze raccontate a viva voce, senza filtro alcuno, in una sequenza tanto affascinante quanto coinvolgente.  Per comprendere a fondo lo spirito che ha animato il percussionista campano nella scrittura di questo libro ci piace riportare quanto lui stesso racconta nell’introduzione: “Nato da alcune frasi scritte da me nei primi periodi che iniziavo a viaggiare lavorando per concerti e prestazioni musicali, memorie rincontrate per caso aprendo un vecchio quadernone, questo diario rappresenta un piacere che mi sono concesso in modo sempre più sistematico man mano che la mia attività lavorativa cresceva e che ha raggiunto il suo apice in un anno specifico in cui ho annotato tutti i miei pensieri da gennaio a dicembre. L’anno è il 2010”. Aperto da un imperdibile glossario (che consigliamo vivamente di leggere) e da una guida alla lettura dei vari capitoli, il libro si snoda attraverso tre anni di attività musicale dal 2010 al 2013 tra concerti, viaggi, tour in Italia ed all’estero, esperienze importanti come quella in Corea con Tamburello Cafè, il tutto intercalato da spaccati di vita vissuta, immancabili difficoltà, e qualche spaccato introspettivo. Piacevolissima e scorrevole è, dunque, la lettura con il tono colloquiale, diretto e giustamente raw della scrittura di Montanaro a scandire i tempi, con un ritmo quasi percussivo capitolo dopo capitolo. A fare da compendio al libro è il disco “Labile” (disponibile in vendita esclusivamente ai concerti ed alle presentazioni del libro) nel quale Montanaro ha raccolto otto brani incisi dal vivo, e che nel loro insieme riflettono le varie esperienze musicali messe in fila dal percussionista campano nella sua carriera. Si spazia, infatti, dai tradizionali campani “Guarracino”, “Tammurriata” a quelli siciliani “Storia di Re Bifè”, dal repertiorio di Otello Profazio (“Governu ‘talianu”) a quello di Rosa Balisteri (“Bottana di to ma”) fino a toccare E’Zezi con “A Nuvella” e un imperdibile blues finale “Spoon Blues”. Insomma il progetto “POPOlabile” è una bella sorpresa, che ci consente di scoprire nel profondo un musicista di grande talento come Gian Michele Montanaro.


Salvatore Esposito
Nuova Vecchia