Musica etnica e folk tra i Padiglioni di Expo 2015

Musica, musica, semper musica è il nostro incipit. Facendoci guidare dalla ricchezza sonora tra le diverse popolazioni nel mondo, ritorniamo presso i Padiglioni di Expo, per proseguire il nostro libero percorso interculturale nella città di Milano. Nel mare magnum delle proposte folcloriche, abbiamo scelto di concentrare l’attenzione su alcuni eventi musicali ascoltati durante la seconda settimana di settembre. 

The Friel Sisters
Nonostante il tempo uggioso, numerosi visitatori sono in fila davanti al Padiglione irlandese. Di fronte all’ingresso vi è un piccolo palco, tutt’intorno un gruppo di ascoltatori intenti a bere birra e a mangiare patatine. Due giovani eseguono una giga. Una suona le “uilleann pipes”, l’altra il violino. Sono sorridenti, mostrano vitalità e abilità tecnica. Gli applausi tra un pezzo e l’altro sono sentiti. Dopo trenta minuti tirati terminano la performance. Iniziamo a dialogare. Sono le “Friel Sisters” e vengono da Glasgow. Si tratterranno a Milano per alcune settimane e sono state ingaggiate per suonare tre volte al giorno. Sheila è una dentista, ma è riuscita a ottenere un permesso lavorativo, purtroppo non sua sorella Anna, flautista. Clare è la più giovane delle tre sorelle, sta completando gli studi universitari, ma da tanti anni suona il “fiddle” (violino), con la passione per la musica folk.  Il trio è specializzato in “traditional irish music& song”, con un repertorio che comprende jigs, reels, slow airs (o’ Carlan air), marches etc. Suonano con gusto e con passione e sono molto legate alla propria terra, in particolare a Donegal nel North West. Due anni or sono, le tre sorelle hanno inciso il loro primo album, valorizzando una tradizione musicale appresa sin da bambine tra le mura domestiche, soprattutto dalla nonna e dalla madre. 
Hanno tenuto concerti in numerosi festival: in Europa, America e Asia e sono apparse come ospiti sul palco con gruppi consolidati quali Altan e The Chieftains.  Chiediamo a Sheila di parlarci del suo strumento, la cui sacca non viene alimentata dal fiato del suonatore, ma da un mantice azionato con il gomito destro. Ci chiarisce che le sue “uilleann pipes” (un sofisticato gioiello organologico) è composta di più parti realizzate da due liutai. La canna melodica (chanter) è stata costruita da Benedict Khoehlor (USA) usando legno di melo, mentre i “drones” e i “regulators chords” da Gordon Galloway (Scotland). Sheila spiega che per capire bene il funzionamento bisogna provare. Diventa insegnante, metodica nelle spiegazioni secondo la tecnica dell’apprendimento step by step. Analizzando le parti separatamente, la pratica esecutiva di base sembra facile. Con il gomito destro si aziona il mantice e la sacca si gonfia, mentre l’altro spinge per far giungere la vibrazione alle ance, sgonfiando lentamente la sacca. Nei fatti, posso garantire, il meccanismo di coordinazione non è semplice, ma il risultato finale è totalizzante, poiché i suoni melodici sono ricchi di armonici e rendono le timbriche particolarmente accattivanti. A dimostrazione della passione che ha per ciò che suona, non contenta, Sheila corre in camerino per recuperare il flauto traverso con il quale si eseguono le musiche tradizionali, facendo notare come i loro brani siano caratterizzati dal continuo contrappuntarsi o rincorrersi di tre strumenti solisti, sorretti dal bordone delle “uilleann pipes”. Dopo i rilievi specialistici, inizia a suonare. È abile anche con il soffio e dimostra di possedere una tecnica apprezzabile ma questo, dice Sheila con imbarazzata modestia, “… è lo strumento che suono per diletto, la vera virtuosa è mia sorella Anna”. Chi interessato, potrà vedere all’opera le tre sorelle Friel nei video caricati su YT: meritano.  

Tra gli amici della Sardegna
Spostandoci nell’area gestita dalla Coldiretti, siamo andati a curiosare tra i banchetti dedicati alla cucina sarda. Uno degli ospiti musicali è stato Gavino Murgia, sul quale non ci soffermeremo, avendo di recente dedicato a lui un contributo monografico.  Scriveremo, invece, del folto Gruppo degli “Amici del Folklore”, attivo sin dalla fine degli anni Sessanta, con il desiderio di valorizzare la conservazione e la divulgazione delle tradizioni popolari del Centro Sardegna, secondo la concezione corale tipica nuorese. Dal 2000, il Direttore è Tonino Paniziutti, prosecutore del lavoro iniziato da Cosimo Bitta. Al nostro arrivo ha radunato il Gruppo di fronte al mega screen del Padiglione Lombardia. Intorno ai ballerini in costume si è subito formato un folto capannello di curiosi, che ha avvolto a cerchio gli esecutori. Gli “Amici del Folklore” sono un’associazione culturale la quale, oltre ai danzatori, comprende il “Coro polifonico e strumentale di musica sarda”, tra cui un quartetto specializzato nel canto “a tenore”. Giovanissimi i due esecutori di organetto, entrambi allievi di Carlo Boeddu (originario di Ghilarza), insegnante presso la Scuola Civica di Nuoro. Sono Gabriele Mura e Valentina Chirra, la quale ha iniziato a studiare lo strumento a tredici anni. Ora ne ha diciannove e da qualche tempo viene chiamata ad accompagnare nei balli anche altri gruppi, come ad esempio quelli di Bonorva, Ploaghe, Siniscola (La Caletta). Vi è da ricordare che inizialmente gli “Amici del Folklore” dedicarono particolare attenzione al canto “a tenore” in accoppiata ai balli tradizionali (“Ballu tundu, Passo torrau, Dillu” etc), in seguito si specializzarono anche nel repertorio corale, oggi eseguito da ben trenta elementi maschili. A Expo, il Coro ha cantato con successo vicino all’incrocio tra “cardo” e “decumano”, a poche decine di metri dall’Albero della vita, iniziando a intonare “Non potho reposare”, tra gli sguardi curiosi e attoniti di un pubblico estemporaneo in prevalenza composto da turisti stranieri. 

Musiche dall’Est europeo
Restando in ambito polivocale, ci siamo recati presso il Padiglione della Lituania per approfondire la conoscenza del gruppo “Trys keturiose” (attivo dagli anni Ottanta), composto da cinque donne, tra cui Daiva Vyčinienė, etnomusicologa, la quale ha saputo dare valore al repertorio polivocale e coreutico delle “sutartinės” che, nel 2010, ha ottenuto l’inserimento nella “Representative List of the Intangible Cultural Heritage of Humanity” dell’UNESCO. Daiva è responsabile del Dipartimento di Etnomusicologia presso la “Lithuanian Academy of Music and Theatre” di Vilnius. Sobrie e impegnate sono le altre componenti del Gruppo (tutte hanno conseguito titoli di studio universitari), le quali in concerto vestono lunghe tonache di lino, con ampi scialli e il caratteristico copricapo. I canti sono contraddistinti dall’iteratività (verrebbe da aggettivarla come “mantrica”), sono suggestivi, con sonorità tendenti al grave. I movimenti di accompagnamento al canto sono lenti, quasi sacrali. Eppure ci troviamo di fronte a un repertorio profano femminile che, nel tempo, ha portato anche a varianti esecutive con strumenti popolari, tra cui rudimentali flauti di pan (denominati “skudučiai”) e altre tipologie di aerofoni popolari (corni, trombe, flauti di legno) o “cetre” popolari (pizzicate o suonate con un plettro).  “Sutartines” è il termine generale utilizzato per indicare le differenti esecuzioni polivocali, nelle quali abbiamo rilevato procedimenti di eterofonia, di parallelismo e d’imitazione a canone. Ci sono numerosi stili e modi per eseguire i canti, la cui tradizione vocale folclorica era storicamente concentrata (in prevalenza) nel Nord-est della Lituania, soprattutto nella regione denominata Aukštaitija (“Terre alte”).  I canti, in passato, potevano essere riferiti a diverse situazioni familiari o comunitarie quali, ad esempio, feste rituali, matrimoni, canti di lavoro o eventi straordinari come le guerre. “Sutartine” deriva da “sutarti” cioè essere in concordanza, in unione.  I canti polifonici possono essere da due a cinque voci. Nello svolgimento delle sovrapposizioni melodiche, è tipico l’uso del sincopato e del controcanto. L’esecuzione vocale non è mai fine a se stessa, ma è direttamente collegata ai lenti movimenti delle cantanti, le quali adottano figurazioni coreografiche assai varie (a cerchio, a quadrato, a stella, a raggiera etc.). I movimenti delle esecutrici sono moderati anche quando saltellati. Interessante è l’uso del “nonsense” in alcuni ritornelli o le forme accoppiate, in cui a turno due esecutrici intonano il primo riff melodico che viene proseguito da un’altra coppia, seguendo un processo continuo di scambi vocali i quali garantiscono una mutevole alternanza timbrica delle voci, soprattutto quando le coppie si sostituiscono, seguendo di volta in volta precise dinamiche coreografiche. A livello tradizionale questi canti non sono più diffusi come in passato, tuttavia in Lituania sono attivi diversi gruppi che ne mantengono viva la consuetudine polivocale, talvolta sperimentando forme di educazione musicale anche in ambito scolastico e societario. Di certo le “sutartinės” rappresentano un patrimonio straordinario che caratterizza l’identità musicale del popolo lituano e favorisce la condivisione di valori culturali. Le esecutrici del “Trys keturiose” sono speciali, contraddistinte da un amalgama vocale frutto di appassionate e sapienti ricerche, ma anche di sincero amore verso le tradizioni. Purtroppo, a Expo, hanno cantato in una location (a nostro avviso) poco adatta, situata tra il caotico ingresso del Padiglione e un posto di ristoro piuttosto chiassoso, a causa del continuo passaggio di visitatori. Torneremo presto a scrivere del “Trys keturiose” e sulle loro pubblicazioni discografiche e multimediali, fondamentali per chi desiderasse approfondire la conoscenza del repertorio polifonico lituano. 
Restando nei paesi orientali europei, nel Padiglione Ungherese abbiamo assistito a una performance pianistica del giovane concertista Ökrös Otto, proveniente da Budapest, il quale ha eseguito soprattutto musiche tratte dal repertorio classico. Dopo di lui si sono esibiti i “Buda Folk Band”, suonando senza interruzione per trenta minuti con tactus sostenuto. In particolare abbiamo apprezzato il virtuosismo del suonatore di “hegedü” (violino) Andor Maruzsenszki, alto, magro e dall’aria sognatrice. Osservarlo suonare è un piacere come pure ascoltarlo, perché ha la capacità di trasportarti subito dentro la musica. I ritmi sono vorticosi. Negli assoli risalta la bravura, la linea melodica è cristallina e l’interpretazione è molto sentita. Dallo sguardo e dalla postura s’intuisce che la sua mente è immersa nello “scorrere” musicale, caratterizzato da una vitalità ritmica entusiasmante. Il repertorio proposto è un contino susseguirsi di musiche folk, senza sosta, prevedendo in itinere ripetute accelerazioni, contro tempi e spostamenti di accenti in levare. Ha spiegato l’altro violinista, Csoóri Sándor, che il repertorio completo comprende anche alcuni temi musicali cinematografici rivisitati. I suonatori provengono da Budapest. Al “bögö” (contrabbasso) ha suonato una giovane strumentista, Eri Katalin, alla “bràcsa” (viola) Gergely Kerèggàrto. 

Musiche e balli dallo Yucatan
Varcando l’oceano, ci spostiamo nel Padiglione del Messico per conoscere quattro speciali interpreti provenienti dallo Yucatan, i quali hanno dato vita a una cerimonia Maya, nella quale i suoni e alcuni strumenti musicali acquistano un ruolo di rilievo.  “Ts’ iits ja’il u káajsa ’al Meyaj” è il nome dato alla consacrazione rituale, durante la quale viene invocato “Junab K’uj”, cui si devono la vita e lo scorrere del tempo in unione con i quattro elementi, secondo precise simbologie formali, sonore e cromatiche.  
I principali protagonisti della cerimonia sono  J-Men (guida spirituale) e altri tre suoi aiutanti. In tempi recenti, tali cerimonie sono state riscoperte e valorizzate (anche in ambito accademico), al fine di esplorare e meglio comprendere il passato religioso e spirituale in relazione ai significati identitari a livello popolare. Ci hanno spiegato che il rituale proposto a Expo è riferito alla richiesta di una benedizione divina prima di iniziare a seminare il mais. Nel corso della cerimonia sono stati utilizzati quattro “caracolas” (conchiglioni marini, i cui suoni identificano le principali fasi della cerimonia), la “tunkul” (strumento ligneo a percussione, bitonico), vari tipi di “sonajas” (differenti tipologie di “maracas”) e un fischietto in ceramica denominato “aguar”. In terra, a cerchio, erano collocati numerosi altri oggetti (candele, incenso, materiali vegetali etc.) adoperati secondo necessità dai performers. A seguito del rito Maya, hanno dato spettacolo i componenti del “Folk Ballet” dello Yucatán coordinati da Carlos Acereto, noto ricercatore premiato per meriti artistici e attivo in ambito universitario. Sua caratteristica è l’esser riuscito a raggiungere una personale commistione coreutica tra balli di diversa origine (messicani, africani, caraibici, spagnoli o di tradizione precolombiana). 

Citazioni in itinere
Tra i tanti suonatori e i gruppi ascoltati in questa settimana a Expo, citiamo fugacemente i percussionisti del Qatar, che hanno eseguito i ritmi tipici delle celebrazioni e dei matrimoni. Loro strumento tipico è la “tara”, realizzata con pelle bovina, legno di mango, sul quale sono fissati piccoli campanellini detti “bara shim”.  La Banda di Ginevra, diretta da Ferran Gili-Millera e, separatamente, due suonatori svizzeri di corni alpini (“Alphorns”). Quattro percussionisti del Kenia, impegnati ad animare ritmicamente una gara, cui hanno partecipato atleti di fama internazionale. Il gruppo bielorusso “Kupalinka”, proveniente da Minsk, specializzato in musica folclorica rivisitata in chiave moderna, avendo a supporto delle voci l’accompagnamento di un basso elettrico e di altri strumenti tra cui la fisarmonica, il violino, un aerofono denominato “zhaleika” e una grancassa sormontata da due piccoli piatti. Proseguendo con le citazioni musicali, si evidenziano la tedesca Etta Streicher, artista sperimentale, appartenente al cosiddetto”slam poetry”; il gruppo di musica folclorica cilena “La Cuadrilla”, al quale si sono aggiunti due ballerini in costume, provenienti da Santiago e specializzati nei “balli con il fazzoletto”; i percussionisti tailandesi (“Thai musical drum”) che suonano il “pengmangkok”, composto di sette tamburi allungati; i giovani animatori musicali del Padiglione argentino; diversi suonatori africani subsahariani che hanno costituito una band multietnica alla quale non avevano ancora attribuito un nome.
Inoltre, un gruppo di ballo iraniano (nel trambusto si sono smarrite le credenziali), accompagnato dal tamburo e dalla zurna, il quale ha rimandato l’esecuzione di un’ora, perché “… era improvvisamente uscito il sole …, di conseguenza preferivano esibirsi con temperature meno cocenti”.  Improponibile nominare tutti i suonatori e i Gruppi ascoltati a Expo in queste ultime settimane, ma riteniamo utile almeno evidenziare le cosiddette “Giornate nazionali”, durante le quali si sono esibiti gruppi folclorici provenienti dal Marocco (musica berbera), dalla Palestina (danze folkloristiche “El-Funoun”), dalla Turchia (Dervisci), dallo Sri Lanka e dell’Angola (balli tradizionali).  Tenendo conto delle idee cardine intorno alle quali è stata concepita l’Esposizione milanese, a loop, riaffermiamo che sarebbe opportuno unificare idealmente i differenti Padiglioni, dedicando un’intera giornata alla musica etnica internazionale e alla musica popolare italiana, a favore di un armonico dialogo fra i Popoli della Terra. Fiduciosi, restiamo positivamente in attesa. Nel frattempo c’è tanto da ascoltare. Già si ode risuonare l’incipit iniziale: Musica, musica, semper musica: intonandolo coralmente, il nostro percorso sonoro prosegue.



Paolo Mercurio
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