Festival del Canto Spontaneo 7° edizione, Salerno, Villacaccia di Lestrizza (Ud) , Viganella – Domodossola (Vb), Trieste, Venezia, Givigliana – Rigolato (Ud), Maggio – Ottobre 2014

La Carovana degli eventi collaterali 

Sono trascorsi sette lunghi anni da quando Novella Del Fabbro ed io iniziammo l’avventura del Festival del Canto Spontaneo e, tuttavia, grazie anche all’attualità dei temi affrontati in quest’ultima edizione, non sono sopraggiunte forme di assuefazione o di abitudinarietà le quali, spesso, si manifestano nel rituale della riproposizione di eventi e festival. Certo! la grande passione che ci contraddistingue, la scelta oculata di artisti, intellettuali, storici e musicologi i quali si alternano nelle interessanti “collaterali” che precedono l’epilogo della giornata principale a Givigliana, la prima domenica di ottobre, ci regalano, ogni volta, soddisfazione, gratitudine e arricchimento culturale tali da farci scordare la fatica e le difficoltà che, inevitabilmente, si celano in operazioni di questo tipo. Non solo! le connessioni, a vari livelli, che il tema del “Canto” pone in evidenza sono tali e tante da fornirci, ogni volta, spunti di approfondimento, ricerca, elaborazione le quali attribuiscono all’iniziativa carattere innovativo pur nella declamazione, tutto sommato, di un argomento di estrema semplicità: il Canto. Se l’appuntamento di Givigliana rimane pur sempre il momento più magico del Festival, da qualche anno le cosiddette collaterali hanno assunto un’importanza strategica nella progettualità e soprattutto nella continuità di una riflessione che mette in relazione vari aspetti storici, filosofici, antropologici ancorché musicali e lessicali. E’ stata una scelta, questa, di non facile assunzione; ci siamo infatti chiesti se avesse avuto senso circoscrivere il tema del canto in un’area eccessivamente tecnicistica frequentata perlopiù da musicologi spesso di formazione accademica i quali, pur avendo una immensa proprietà di conoscenze, di studio minuzioso e grande capacità di correlazione (elemento significativo ai fini dell’interpretazione corretta delle evoluzioni e analogie di espressioni e forme musicali o vocali antiche e tradizionali), rischiano, con il loro agire, di escludere una vasta platea attirata da questi ambiti. 
Un pubblico forse non sempre adeguatamente preparato che, tuttavia, spesso è formato da persone le quali vivono direttamente sul campo la passione delle tradizioni popolari, della trasmissione orale, del canto spontaneo e di tutto ciò che riguarda il ricco bagaglio della cultura popolare. Avremmo fatto una scelta troppo limitativa rischiando di rivolgerci ad un ambito ristretto di pubblico formato, in larga misura, da addetti ai lavori, se avessimo seguito una prima embrionale idea di dare vita ad una serie di convegni i quali potessero, come dire, aprire il varco ad altre iniziative dedicate all’approfondimento del canto, anche dal punto di vista tecnico. Da un lato avrebbe generato una contraddizione d’intenti posto che dopo “Canto” si era deciso di aggiungere quell’aggettivo, “spontaneo”; dall’altro il nostro “piccolo festival” sarebbe stato inserito inevitabilmente in quel grande calderone di eventi conceptual attraverso i quali nel nostro Paese (ma non solo) si celebra sistematicamente l’Intelligencija di una certa area di intellettuali. Nessun desiderio di conflitto sociale, per carità; semmai la volontà di miscelare il sapere accademico e quello popolare senza pretese, dall’una o dall’altra parte, di avere la priorità d’ascolto e di considerazione. Abbiamo, quindi, dato vita ad un format che si è rivelato estremamente interessante: interventi degni di master a livello universitario si alternano a testimonianze di esperienze vissute “sul campo”; musicologi di certificata formazione dialogano liberamente con semplici persone appassionate che, nel proprio tempo libero, si dedicano alla ricerca andando in paesini dispersi a cercare quel tal signore che ancora costruisce un certo tipo di zampogna o quella anziana canterina che conosce antiche melodie oppure quel prete di montagna che ancora celebra la Santa Messa in latino e declama la predica usando la lingua minoritaria locale. 
Ecco! il Festival non si consuma in un noioso ed ingessato teatro nel quale il relatore di turno espone il suo sapere e la platea, ancorché annoiata, applaude per riverenza, per rispetto oppure per esprimere una sua personale appartenenza ad un determinato ambito sociale; il Festival si trasforma in una carovana itinerante che raccoglie e distribuisce le conoscenze, le elabora, le mette in discussione e supera le specificità mettendo in relazione aspetti diversi ma correlati. Relazionalità era infatti il tema portante dell’edizione 2014, la settima. Dall’Italia del sud, a Salerno in un insolito piovoso sabato di maggio, la Carovana ha iniziato a riflettere su come, nei decenni trascorsi, sia stata gestita la ricerca e la conservazione delle tradizioni popolari e di quali potrebbero essere le possibili evoluzioni future. L’antropologo Paolo Apolito ha evidenziato come il Sud, da sempre ricco di tradizioni popolari ma soprattutto ancora incline al loro mantenimento nel passaggio generazionale, abbia, in realtà, sprecato questo grande patrimonio, rendendolo spesso puro “folklore”. Un esempio per tutti: la notte della Taranta; un evento trasformatosi, negli anni, in una enorme baraonda simile a quelle grandi movida notturne che si espandono nei centri storici delle città metropolitane. Al contrario, nell’asetticità del Nord i documenti, frutto di minuziose ricerche, sono custoditi nei musei, nelle teche delle sedi regionali radiotelevisive o nelle case di ricercatori, studiosi e docenti. Due modi diversi di conservare e rappresentare le tradizioni popolari ma ambedue inefficaci. Da una parte il rischio di un declino culturale, dall’altra il collezionismo di pochi fruitori. Tuttavia, ribadisce Alberto Madricardo - filosofo - , la vera questione non è tanto quella del mantenimento e della reiterazione della tradizione quanto la capacità di renderla attuale. Un tema, questo, ricorrente anche nei successivi appuntamenti delle cosiddette collaterali del Festival. 
 L’entusiasmo e la passione sfrenate di Pierfranco Midali, scrittore e motore portante di una delle rare confraternite di cantori dell’arco alpino, ci trasporta in un altro ambito: i canti liturgici ed il loro forte legame con la sacralità della vita di paese. Alle parole si alternano i suoni ed i canti della Compagnia Daltrocanto capitanata dall’amico Antonio Giordano con il quale condivido da anni la passione per la musica popolare. La voce di Paola Tozzi accompagnata dagli ottimi musicisti ci regala momenti sublimi. Così come accade quando Cristian Brucale esprime il meglio di se stesso in un canto sulla Passione di Cristo recuperato, a suo tempo, da Roberto De Simone (fondatore, nel 1967, della Nuova Compagnia di Canto Popolare). Anch’io regalo alcuni canti friulani al pubblico che nonostante la giornata uggiosa, anomala a Salerno a fine maggio, si è trattenuto per oltre 2 ore nella chiesa sconsacrata di Santa Apollonia. Si termina con uno dei cantori più acclamati nel nocerino e comunque in tutta l’area del Golfo: Biagino De Prisco. Di giovane età ma grande conoscitore di brani di antica tradizione campana, Biagino ha concluso degnamente una giornata ricca e piacevole. Ed era solamente la prima tappa… poi tutti a gustare una mozzarella di bufala “gigante”…. Ci ritroviamo alcuni mesi più tardi a Villacaccia di Lestizza, un piccolo paese a sud di Udine dove ha sede l’agriturismo Colonos, uno dei luoghi più significativi per la Cultura in Friuli. Qui si discute del “Destino del Canto” ed è Novella Del Fabbro a condurre lo spettacolo. Ascoltare il suono di quel suo particolare friulano - anzi carnico - è per me sempre un piacere e una sorpresa; perché ogni volta scopro parole nuove come “incuvuciâs” (accovacciati) o “pics” (brividi) e, anche se mi rendo conto che molti dei presenti non riescono a comprendere tutte le parole, capisco osservando gli sguardi che sono attratti da quel suono e questo mi fa riflettere su quanto la Voce sia importante, sia essa parola o canto. David di Paoli Paulovich ci istruisce sul Canto Liturgico Pariarchino e ci spiega quali siano le differenze con il “Gregoriano” ; “voglio essere una canterina , non una ricercatrice” afferma con forza Marisa Scuntaro, quasi a sottolineare quell’origine spontanea della sua passione per il canto popolare che la accompagna fin da bambina quando la nonna le insegnava “la prima e la seconda voce”. Anche i giovani, con Hans Puntel dei “Giovins Cjanterins di Cleulas” sono rappresentati. Hans ci racconta che non è facile tener testa alla globalizzazione ma la passione e la voglia di condividere momenti allegri sono tali da superare qualsiasi difficoltà. L’arcaicità della lingua resiana è efficacemente rappresentata dai canti che Silvana Paletti ci offre terminando con un “ju fu fuii” , il classico urlo di saluto resiano, che chiude la prima parte di una serata indimenticabile. 
Ho cercato di cogliere le sollecitazioni di Alberto Madricardo ad osare commistioni innovative fra documenti di musica tradizionale e modi espressivi contemporanei, coordinando il progetto SOUNDStories, il quale è stato presentato, in seconda serata, ai Colonos. Il set percussivo di Ermes Ghirardini - il quale condivide con me il progetto Strepitz da molti anni - e la Trikanta Veena di Paolo Tofani (chitarrista Area Reunion) mi hanno affiancato (cornamusa, duduk e cister) per creare il sound adeguato alla splendida voce di Claudio Milano. Il cantante e sperimentatore vocale pugliese, a mio avviso, ha saputo comprendere lo spirito del progetto che, da un lato, vuole evidenziare come, percorsi di vita e musicali diversi, possano incontrarsi e relazionare, dall’altro, espone la tradizione al pari della contemporaneità pur mantenendo la ricchezza intrinseca nella sua essenza. Sono certo che, attraverso SOUNDStories, siamo riusciti a realizzare la metafora che , a suo tempo, avevo scritto in “La Natura Dei Suoni” (1) “…si fa qualcosa di simile all’incastonare diamanti su montature diverse, dalle quali non quelli ricevono splendore, ma essi stessi lo diffondono e lo donano…” laddove i diamanti rappresentano la tradizione e le montature l’elemento contaminante. Il viaggio della carovana si fa sempre più ricco di luoghi, di suoni, di saperi e di conoscenze che si accumulano generando un archivio pluridisciplinare in continua elaborazione. A Trieste incontro David Di Paoli Paulovich, musicista, compositore ma soprattutto uno dei massimi esperti di canto liturgico patriarchino. A questo tema dedica gran parte della sua attività professionale ed è evidente quanto sia avvolto da una passione bruciante; lo si capisce dall’entusiasmo che esprime quando racconta e spiega le differenze fra il modo vocale patriarchino e quello gregoriano, quando sostiene che il “patriarchin” era, veramente, il cantare del popolo e, nella sua semplicità, diffondeva momenti di enorme sacralità. Sentimenti che ho vissuto personalmente ascoltando il gruppo corale , diretto dallo stesso m° Di Paoli Paulovich così come è accaduto durante le processioni rogazionali alle quali ho partecipato in Carnia; i canti lenti che ininterrottamente accompagnano le faticose camminate lungo tortuosi sentieri di montagna mi hanno fatto ben comprendere le parole che Novella Del Fabbro spesso enuncia “…cantare e sentire forte la tua voce echeggiare tra i monti e le vallate, dopo aver finito di lavorare nei campi. Canti la tua fatica, il tuo sudore e la bellezza della Carnia”. Un’analoga esperienza l’abbiamo vissuta a Viganella (Domodossola VB), un paesino arroccato a 580 mt d’altitudine in val d’Ossola. Rincontriamo Pierfranco Midali che di Viganella è stato sindaco per due legislature; tutti lo ricordano come “il sindaco che portò la luce a Viganella”. Un sistema di grandi specchi, da lui ideato e collocato in un punto preciso della montagna, consentì al sole (che raramente fa capolino in quel paese circondato dalla barriera di montagne) di illuminare la piazza del paese anche durante i mesi autunnali. Un evento che catapultò il nome di Viganella sulle testate giornalistiche di mezzo mondo. 
Ma di luce nel paese Pierfranco ne aveva recuperata un’altra: la piccola confraternita di cantori che , assieme ad altri rari esempi, conservano una antica tradizione tipica dell’Arco Alpino. Anche in Friuli ne abbiamo una: L’Onoranda Compagnia dei Cantori di Cercivento. La particolarità di queste cantorie è l’esecuzione di un repertorio di canti liturgici (che i gruppi corali difficilmente contemplano) rappresentativo di quello “spirito popolare” del quale precedentemente scrivevo. La mia “nordica” cornamusa si unisce alla zampogna - tipico strumento aerofono del sud Italia - di Antonio Giordano e , assieme, apriamo il corteo della breve processione alla Madonna in una assolata domenica di settembre per aprire la Festa Patronale di Viganella. La giornata prosegue in un equilibrato susseguirsi di eventi tra Sacro e Profano: i canti popolari accompagnati dalla fisarmonica di Franco Giacomuzzi, mio fido suonatore nel Grop Tradizional Furlan, si mescolano alle sonorità tipiche del sud (la pizzica, la tamurriata) ed infine ancora un approfondimento sul canto, le tradizioni, la semplicità della “vita di paese” e le prospettive per il futuro. Il Festival proseguirà a Venezia (4 ottobre 2014) nel teatro Groggia con gli interventi di Alberto Madricardo (filosofo) , David Di Paoli Paulovich (musicista e compositore) , Tony Pagliuca (Le Orme) e Giovanni Floreani (Strepitz) , il Coro Marmolada e Lucilla Galeazzi. Gran finale il giorno seguente a Givigliana (Rigolato Ud) per la “giornata del Festival”. Si inizia , come tradizione , con la processione della Croce di san Marco, la messa cantata con il gruppo spontaneo di canto di Gjviano, il canto resiano con Silvana Paletti e Sandro Quaglia, il trio di Gjviano (Novella Del Fabbro, Edda Pinzan, Ada Bottero Zanier) per chiudere con il recital di Lucilla Galeazzi.

(1)_G. Floreani - A. Madricardo edizioni Furclap 2007 



Giovanni Floreani 

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