Ensemble Micrologus - Le vie del sacro. Canti religiosi in Italia tra Medioevo e Rinascimento (Ed. disc. Micrologus, 2014)

Intervista con Goffredo Degli Esposti: I Trent'anni dei Micrologus

Si intitola “Le vie del sacro. Canti religiosi in Italia tra Medioevo e Rinascimento” il nuovo progetto discografico dei Micrologus, formazione umbra di musiche medievali e rinascimentali. L’ensemble si è formato nella prima metà degli anni Ottanta e con questo cofanetto - che contiene due album registrati in due sessioni differenti e dedicati ai repertori religiosi di tre città: Venezia, Firenze e L’Aquila - celebra i trenta anni di attività. Durante i quali, oltre ad aver contribuito ad ampliare lo spazio di interesse nei confronti di una produzione musicale che - come vedremo nel testo che segue - fa riferimento allo stesso modo alle tradizioni espressive colte e popolari, i Micrologus hanno promosso un’attività di studio, approfondimento e analisi su un piano internazionale. Una parte di questo lavoro è confluita nell’organizzazione di seminari, master e corsi di formazione che i membri dell’ensemble hanno tenuto e tengono in molti paesi europei e che, da alcuni anni, coincide con le iniziative del “Centro di Studi Europeo sulla Musica Medievale”, fondato a Spello (PG) nel 2009 e dedicato ad Adolfo Broegg, uno dei fondatori dell’ensemble. Abbiamo incontrato Goffredo Degli Esposti per parlare di questo nuovo progetto, cercando di sottolineare alcune delle connessioni che si possono individuare tra i repertori raccolti nel cofanetto e l’ambito delle musiche di tradizione orale. In chiusura abbiamo anche parlato di “Saltarello and other dances. Italian dance music for bagpipes and percussion”, il nuovo disco solista di Degli Esposti - prodotto in collaborazione con il percussionista Andrea Piccioni - dedicato alle musiche da ballo medievali, rinascimentali e popolari.

Iniziamo da una presentazione generale dei Micrologus, che possa servire anche a introdurre il lavoro che in questi trent’anni di attività ha svolto sui repertori musicali antichi. Come nasce, quando e in quale scenario si inserisce?
Micrologus nasce nel 1984 dall’incontro di alcuni musicisti umbri che avevano già prodotto musica medievale, sopratutto intorno alle festa del Calendimaggio di Assisi. Il Calendimaggio è una rievocazione storica, dove oltre alla ricostruzione degli ambienti, delle sfilate, dei cortei, si pone molta attenzione all’aspetto musicale. I cori e la musica che si eseguono hanno un ruolo di primo piano, tanto è vero che c’è anche un esperto che giudica le esecuzioni musicali. Nel 1984 quattro musicisti - il liutista Adolfo Broegg, che è scomparso nel 2006, la cantante Patrizia Bovi, io ai fiati e Gabriele Russo agli strumenti ad arco - iniziano a lavorare sulla musica medievale, affiancando questa attività alla ricerca musicologica, lavorando sulle fonti originali e l’interpretazione secondo le indicazioni più accurate della musicologia. Siamo stati uno dei primi gruppi, in Italia, a promuovere la musica medievale. Dopo di noi, posso dire, sono nati decine di gruppi. Questo anche perché noi, negli anni, abbiamo anche promosso un’attività didattica, tenendo corsi in Europa, a Parigi, Copenaghen, in Belgio e poi anche in Italia. Oggi siamo al quinto anno di attività del Centro Studi Europeo di Musica Medievale “Adolfo Broegg”, attraverso il quale promuoviamo la formazione con stage, conferenze e corsi internazionali. Il gruppo, quindi, fin dagli inizia ha lavorato su una musica con un’impronta precisa, come i “Carmina Burana”, la musica spagnola del Duecento, come le “Cantigas di Santa Maria”, vale a dire musica molto brillante, reperibile, per poi specializzarsi sulla musica italiana. Si può dire oggi che affrontiamo la musica italiana dalla fine dell’anno Mille fino all’inizio del 1500, attraverso cioè cinque secoli sostanziosi che arrivano all’inizio del Rinascimento. Trattiamo musica italiana sacra e profana, con una formazione articolata che, tra cantanti e strumentisti, a volte con collaborazioni internazionali (con testi in tedesco, spagnolo, francese, per poter eseguire anche musiche di altre nazioni) con cui arriviamo anche ad essere oltre dieci elementi. Si può comunque dire che il nucleo storico è quello composto dai fondatori.

Dalle note introduttive di questi due dischi, che avete raccolto nel cofanetto “Le vie del sacro. Canti religiosi in Italia tra Medioevo e Rinascimento” e pubblicato per celebrare il trentennale dell’attività dei Micrologus, emergono questioni interessanti legate all’approccio. Cioè, al di là degli esiti, degli ambiti specifici, del fatto che voi dedichiate i vostri studi alle musiche di un periodo preciso, è importante evidenziare le informazioni metodologiche alla base del vostro lavoro. In questo quadro, degli aspetti che colpisce è la ricostruzione non solo tecnica delle musiche, ma anche degli aspetti storico-culturali che le interessano.
L’idea del concerto come lo si intende oggi, nel passato, e specie nel Medioevo, non esisteva. Il concerto oggi prevede un pubblico che paga un biglietto per assistere a uno spettacolo di un artista o un esecutore. Nel Medioevo, invece, la musica aveva una funzione sociale. Attraversava tutti i momenti importanti della vita, dai festeggiamenti, alle nascite, alle celebrazioni dei matrimoni. Poi c’era il ciclo religioso, come c’è ancora oggi, e le celebrazioni musicali nell’ambito comunale o della società nobile. Le due sfere - il sacro e il profano - erano in continuo scambio. I compositori - che erano anche musicisti ed esecutori - erano sempre in attività. C’erano musicisti che suonavano durante un banchetto, oppure in una piazza durante una festa. Quindi anche il musicista aveva un ruolo sociale ben diverso da come pensiamo oggi. La stessa musica, ad esempio, era eseguita non “a libro”, ma un po' come nel jazz: c’era un tema che dava il compositore e poi, a seconda dei musicisti che aveva intorno (si parla di piccoli gruppi di due fino a cinque musicisti), si gestiva improvvisando. Siamo vicini al jazz nel processo secondo cui un musicista guidava con un’idea e gli altri intorno lo seguivano. La musica non si leggeva, ma era memorizzata e sviluppata al momento. Quindi noi abbiamo musica medievale conservata nei libri, ma si tratta innanzitutto di opere d’arte, per come sono realizzati, con miniature, illustrazioni. Sono libri che contengono solitamente composizioni di vario tipo, sono raccolte che documentano un ambiente, una città, una corte, un periodo. E non sono libri d’uso. L’approccio del musicista era distante dal libro. I libri erano pertinenza degli scrittori. Una volta scritti finivano nelle biblioteche, nelle collezioni. I libri d’uso erano quelli della chiesa, dove si cantava il “Gregoriano” o la polifonia. Il musicista era compositore, improvvisatore ed elaboratore estemporaneo di musiche create ma non scritte. La scrittura veniva dopo, aveva un ruolo conservativo.

Quindi queste raccolte di documenti musicali a cui voi fate riferimento per i vostri lavori sono successive alle esecuzioni?
Ad esempio la musica dei famosi Trovatori, che erano attivi già alla fine dell’anno Mille, viene trascritta cento e più anni dopo. Viene tramandata oralmente. I musicisti scrivevano i loro testi su dei rotoli, che si dispiegavano anche per alcuni metri, ma avevano sostanzialmente un approccio di tradizione orale. La cultura era orale, con forte impronta mnemonica, i libri arrivano anni dopo a documentare quel movimento e quell’ambiente artistico.

Il fatto che ci sia non solo una circolazione orale dei testi musicali, ma anche un’esecuzione inquadrata dentro un processo di memorizzazione, denota alcune affinità con le musiche popolari.
Credo si possa dire che la tradizione orale della musica popolare sia stata ricevuta da quest’epoca. La tradizione orale - medievale ma anche rinascimentale - prevedeva l’improvvisazione, il fatto di tramandare la musica a memoria. Tutti conoscevano l’aria su cui si andava a improvvisare: la “romanesca” o il “bergamasco”, ad esempio, erano arie su cui tutti improvvisavano. Un modulo, composto di alcune misure di musica, con un abbozzo di andamento melodico, dove ognuno faceva le sue variazioni e improvvisazioni. In questi ambiti, nelle città - sia in chiesa che nelle corti -, avviene la variazione. Poi, quando arriva il prete nella cappella di campagna, nel paesino, arrivano anche queste espressioni. Le ricevono anni dopo e le conservano in un ambito popolare, che è più conservativo. Parlo delle forme, delle strutture e non dei testi. Questi vengono rielaborati. Tutte le corruzioni del latino nei testi del “Miserere” di Gubbio, ad esempio, sono dovute alla distorsione del cantante. Io credo che la maggior parte di tutto quello che è conservato nella realtà rurale sia un prodotto cittadino. 

Voi affrontate molti di questi temi nei due dischi che avete appena prodotto. 
Si tratta di due registrazioni separate -“Cum desiderio vo cerchando. Laude e musica sacra a Venezia e Firenza (secc. XIII-XVI)” e “Devote Passioni. Laude e suoni nelle feste religiose aquilane (secc. VX-XVI)” - che abbiamo messo insieme attraverso il tema comune delle “laudi”. La “laude” è un tipo di composizione para-liturgica, non in lingua latina ma in volgare, il cui soggetto è sacro - i canti per la Vergine, per Gesù, il ciclo mariano, i santi ecc. - e riflette la volontà di divulgare un messaggio. Proprio per il fatto di raccontare le storie della religione in italiano, piuttosto che in latino, possiamo dire che hanno una funzione non solo di preghiera, ma anche culturale in senso ampio, di divulgazione di un messaggio. Di trasmissione culturale ed educazione dei fedeli. Le musiche sono, infatti, abbastanza semplici. La forma della “lauda” che qui prendiamo in esame corrisponde, per circa due secoli, alla forma della “ballata”, cioè di una canzone “a danza”, nella quale il popolo interviene con un ritornello, che tutti cantano, e la strofa è cantata dal solista. Nel Quattrocento, poi, la forma della “ballata” viene abbandonata a vantaggio della forma canzone. Inoltre è una musica che appartiene al movimento delle confraternite, le quali erano organizzazioni laiche di cittadini che gestivano alcuni appuntamenti religiosi, grandi festività e anche momenti di preghiera. Le “laudi” sono, in questo senso, una forma di preghiera cantata, che aveva così il suo ritmo e la sua espressività in questa forma musicale molto semplice della “ballata”.

Scorrendo la scaletta del secondo dei due dischi, dedicato a L’Aquila, si incontra un “Saltarello di Amatrice”.
Le confraternite - di cui facevano parte vari ordini sociali - oltre a finanziare la costruzione e le decorazioni delle cappelle, per le celebrazioni più importanti, assoldavano dei musicisti professionisti, che avevano il compito di accompagnare con li strumenti il canto delle “laudi”. 
Questi suonavano strumenti ad arco, come la viola medievale e il liuto, oppure strumenti più potenti, come cornamuse, bombarde e tromboni - a Venezia, ad esempio, c’era la Compagnia dei piffari del Doge - che venivano immessi nelle cerimonie religiose. A L’Aquila esistono i documenti di pagamento che testimoniano delle attività di questi musicisti, suonatori di strumenti popolari, come il piffero e le ciaramelle. Il “Saltarello di Amatrice” inserito in questo disco - una suonata articolata in tre movimenti: un lamento, un processionale e una danza - è stato eseguito con strumenti arcaici. Si tratta di un saltarello particolare perché è eseguito con una zampogna senza bordoni, alla quale - seguendo la documentazione sia scritta che iconografica tra il Trecento e il Quattrocento -abbiamo aggiunto due trombe medievali dritte e un tamburello. Il disco è stato organizzato in collaborazione con il musicologo Francesco Zimei, il quale ha rintracciato molti documenti riguardanti le musiche eseguite (sia monodiche che polifoniche, a due e a tre voci) e i testi in dialetto aquilano del Quattrocento.

Visto l’accenno al saltarello parliamo del tuo nuovo lavoro da solista “Saltarello and other dances. Italian dance music for bagpipes and percussion”. Di cosa si tratta?
È un disco eseguito in duo, con Andrea Piccioni alle percussioni. È diviso in tre parti, attraverso cui si affronta e si interpreta un tema e un repertorio. C’è un riferimento al Medioevo e alla musiche rinascimentali, un riferimento alle musiche popolari del centro Italia, per poi arrivare a una forma più sperimentale, che può essere inquadrata, per comodità, nella categoria dell’etno-jazz e del new-folk. Come si evince dal titolo è un disco sul tema del saltarello. Nella sezione medievale ho utilizzato la cornamusa (in particolare la piva in coppia con i tamburi a cornice). Per quanto riguarda il Rinascimento ho utilizzato uno strumento sconosciuto alla totalità dei suonatori di zampogna e, in generale, al panorama della musica antica. Si tratta della “sordellina”, di cui si è venuti a conoscenza solo tramite recenti scoperte musicologiche, grazie a un manoscritto sulla musica per questo strumento. Da questo documento manoscritto - che è conservato a Savona e riporta le trascrizioni di musiche napoletane e italiane, sopratutto delle più famose del Cinquecento - ho ricostruito le musiche e lo strumento. Si tratta di una piccola zampogna di corte, di origine cinquecentesca e napoletana, che esegue delle polifonie su dei bordoni. Inoltre la sordellina ha una serie di chiavi per suonare nei modi maggiori e minori. 
Ha un mantice per riempire il sacco che contiene l’aria, e quindi il suonatore - come avviene con altre cornamuse europee - non suona direttamente nello strumento. In questo caso, in Italia, è l’unica documentata di questo tipo. La “sordellina” prende questo nome dalla parola sordo, perché si sente poco, e probabilmente è parente della “sordulina”, perché è di piccola taglia. La sezione dedicata all’Umbria e a centro Italia comprende musiche tradizionali non per zampogna. Sono partito dalla tradizione dell’organetto, cercando di comprendere come la zampogna potesse suonare i passaggi, i moduli e il fraseggio dell’organetto. Questo metodo a ritroso mi ha permesso di individuare un modo molto personale di suonare la zampogna, che si avvicina molto allo stile delle ciaramelle di Amatrice. Qui ci sono quindi vari balli per zampogna e alcune percussioni, come le nacchere tradizionali umbro-marchigiane, dette “sniacchere”, uno strumento di legno composto da una sola grande nacchera tenuta in una mano e percossa con le dita dell’altra. L’ultima sezione l’abbiamo dedicata all’improvvisazione, cercando di descrivere, inventare e rinnovare, tramite l’improvvisazione e la composizione, i modelli tradizionali. Negli ultimi due brani c’è anche la partecipazione di Mosè Chiavoni, sassofonista e clarinettista, con cui agiamo come un trio etno-jazz, nel quale la zampogna ha un ruolo di sostegno della struttura dell’andamento del brano, e la linea improvvisata sta più al clarinetto o al sassofono.



Ensemble Micrologus - Le vie del sacro. Canti religiosi in Italia tra Medioevo e Rinascimento (Ed. disc. Micrologus, 2014)
“Le vie del sacro. Canti religiosi in Italia tra Medioevo e Rinascimento” è il titolo del nuovo lavoro discografico dell’Ensemble Micrologus. Come abbiamo sottolineato nell’intervista a Goffredo Degli Esposti - uno dei quattro membri fondatori del gruppo - si tratta di un progetto evidentemente corposo (contiene due dischi dedicati ai canti religiosi medievali e rinascimentali delle città di Venezia, Firenze e L’Aquila), articolato attraverso trenta tracce, selezionate e interpretate nel quadro di un’attività di ricerca e interpretazione effettuate in collaborazione con il musicologo Francesco Zimei e, sopratutto, dedicato a una produzione musicale storica specifica e non propriamente popolare. Ciò che però ci ha spinto a riflettere su una produzione di questo tipo - al di là della qualità delle musiche raccolte e riproposte e, allo tesso tempo, dell’importanza che i Micrologus ricoprono in un ambito internazionale - risiede principalmente nella possibilità di evidenziare la metodologia che è alla base del lavoro dell’ensemble umbro. Allo stesso modo si può notare una serie di corrispondenze tra alcuni dei repertori proposti in “Le vie del sacro” e alcune musiche di tradizione orale che - in Umbria e non solo - sono ancora oggi eseguite entro un quadro rituale. Con quest’ultimo punto mi riferisco sopratutto ai repertori legati alla settimana santa, ai canti processionali, eseguiti dalle confraternite, di cui sono state ampiamente documentate (“in funzione”) le versioni contemporanee in molte aree montane dell’Umbria, dell’Italia centrale e non solo. Per quanto concerne la metodologia di ricerca e riproposta - di cui il gruppo descrive gli aspetti più importanti, relativi alla selezione, allo studio e all’interpretazione delle fonti, nei due booklet allegati ai dischi - si possono scorgere molte corrispondenze con gli studi sulle musiche di tradizione orale e la loro riproposta. Tra questi vale senz’altro la pena segnalare l’approccio inclusivo attraverso il quale i componenti dell’ensemble inquadrano i repertori in esame. Un approccio che, orientandone l’interpretazione “tecnica”, legge i brani (in questo caso le “laudi”) come dei documenti. Dai quali si irradiano informazioni di carattere sociale ed economico (come ci dice Goffredo, dai registri di pagamento possiamo risalire a quali e quanti musicisti partecipassero a particolari celebrazioni religiose. O ancora, “il nostro approccio spazia dal discanto vocale, modellato sull’improvvisata secondatio tipica del repertorio religioso confraternale, al raddoppio o all’integrazione strumentale delle voci con organici desunti dalle liste di pagamento dei suoni aquilani e da varia iconografia”). E i quali (documenti) assumono un profilo netto e “leggibile” in relazione alla convergenza di elementi determinati storicamente: la storia delle devozioni, la riforma ecclesiastica, la rappresentazione delle devozioni, i fenomeni della religiosità popolare, la necessità di preghiera e, più nel dettaglio, la necessità di condividerla e di condividerne (in una dimensione che sfuma dal latino al volgare, fino al dialetto) il messaggio. Tutto questo - ovviamente ridotto a informazioni schematiche - ha evidenti connessioni con i contesti in cui si sviluppano le produzioni espressive di tradizione orale. Produzioni e connessioni di cui Micrologus ci propone alcuni esempi interessanti (come “Saltarello di Amatrice” e “Chiarenzana e Saltarello de l’Aquila” nel disco “Devote passioni”). E di cui Degli Esposti ha interpretato - in una sorta di sintesi per strumenti a fiato (zampogne, sax e clarinetto) e percussioni - alcune forme (medievali e rinascimentali, popolari del centro Italia, e contemporanee e sperimentali) attraverso il suo ultimo lavoro da solista “Saltarello and other dances. Italian dance music for bagpipes and percussion”, prodotto con Andrea Piccioni.

Daniele Cestellini
Nuova Vecchia