Blue Bottazzi, Perchè Non Lo Facciamo Per La Strada, TIP.LE.CO, 2014, pp. 256, Euro 15,00

Blue Bottazzi sa scrivere, è un dato di fatto, e lo ha dimostrato negli anni in cui scriveva per il glorioso “Mucchio Selvaggio”. Scrivere bene di musica non è una dote che si rintraccia facilmente in tutti gli autori che invadono le nostre librerie, e spesso ci troviamo a leggere cose rimasticate, di seconda mano, per altro scritte anche in un italiano che dire opinabile è poco. La scrittura di Blue Bottazzi, al contrario, si caratterizza per un approccio scientifico live ma allo stesso tempo ferreo, e per quella capacità di riuscire a rimettere nella giusta prospettiva gli accadimenti della musica, facendoli riverberare alla luce del tempo che impone necessariamente il suo passo. A distanza di pochi mesi dal pregevole “Long Playing”, Blue Bottazzi ha di recente dato alle stampe il suo secondo libro “Perché Non Lo Facciamo Per La Strada”, opera fortemente voluta, e frutto di una resilienza tutta emiliana (sì, insomma, lasciatemelo dire una volta tanto...). In queste pagine non troverete rivelazioni fulminanti, così come troverete qualcosa di più della sua vita, ma piuttosto verrete a contatto con l’anima di Blue, con la sua volontà di mettersi in gioco senza risparmiare nulla, il tutto non per mero gusto voyeuristico, ma per fame di sensazioni forti, di sentimenti che si allargano come cerchi sulla superficie di un lago colpito da un sasso nella luce del tramonto. Blue Bottazzi ci regala qualcosa che ti fa ricordare con nostalgia e ripensare a certi “incontri” sulla faccia scura di un disco in vinile che ci hanno cambiato la vita, ognuno a suo modo, ognuno con le sue coordinate. Questa estate 2014, con la pioggia che bagna le nostre giornate, sembra perfetta per leggere di quanti dischi straordinari uscissero negli anni ottanta e di quali concerti potessero cambiarti la vita nel corso di pochi anni. In questo libro c’è vita, viaggi, amori, motociclette, Londra e tanto tanto altro. Ci sono i suoi ormai classici elenchi, così come non manca qualche refuso che hanno l’aria di essere come quegli errori che i tessitori di tappeti mettevano nel loro lavoro perfetto volontariamente per non offendere l’Unicità dell’Altissimo. Insomma c’è tutto quello che un appassionato di musica vorrebbe leggere, ma c’è una qualità rarissima che Blue Bottazzi possiede intrinsecamente ovvero la voglia di voltare la pagina, di seguire il filo dei pensieri tra un peana per la scomparsa precoce di John Belushi, e l’attacco a quella mediocrità italiota che ora pare sembra più che mai alive and well. Blue è uno che il rock sa molto bene cosa significa.

Antonio "Rigo" Righetti
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