Suzel Ana Reily and Katherine Brucher (eds), Brass Bands of the World: Militarism, Colonial Legacies, and Local Music Making, Ashgate, Farnham, 2013, pp. 268 £ 65.00

Se è vero che le bande costituiscono un fenomeno sociale di portata mondiale, non si può dire esse siano state oggetto di studi approfonditi da parte del mondo scientifico. Esiste una trattatistica di profilo storico e organologico, nonché saggi di matrice demo-antropologica che hanno riportato la funzione delle bande nei rituali pubblici, né tantomeno mancano interventi di cultori locali che ripercorrono la storia delle bande cittadine, ma analisi che aprano la strada a riflessioni sui processi di modernizzazione, sul ruolo sociale degli ensemble, sul loro essere spia di più ampi processi di comunicazione culturale, sui rapporto tra musica e appartenenze locali, sulle forme dell’apprendimento musicale, di certo non abbondano. Insomma, tanto dagli etnomuscologi quanto dagli studiosi di musica euro-colta la banda musicale ha finito per essere un po’ trascurata. In un certo senso, è questo il punto di partenza di Reily e Brucher, curatrici di “Brass Band of the World: Mlitarism, Colonial Legacies, and Local Muisc Making”, un volume destinato a coloro i quali, etnmusicologi e, storici della musica, studiosi di storia sociale e di popular culture, si interessano degli organici strutturati principalmente su strumenti a fiato di legno e ottoni. Nella presentazione del volume, l’eminente etnomusicologo Charles Keil, in un intervento che mette insieme aneddotica personale e riflessione su estetica e prassi musicale, ricorda la peculiarità simbolica e fisica degli strumenti a fiato, il cui suono proviene dall’interno del corpo umano: lo studioso ci ricorda come sia la cornamusa e non un quartetto d’archi a fare piangere ai funerali (p. XIV). Delle due autrici, Suzel Ana Reily è Reader di Etnomusicologia e Antropologia Sociale alla Queen’s University di Belfast, dove è fiorita una scuola di studiosi nel segno del magistero di John Blacking. Da parte sua, Katherine Brucher è Assistant Professor alla DePaul University School of Music di Chicago. Il testo collettaneo è il frutto di ricerche etnografiche e d’archivio che affrontano in maniera comparativa l’universo delle bande facendo interagire differenti prospettive disciplinari. Non poteva mancare nell’introduzione delle autrici un excursus sulla storia delle bande militari: dai giannizzeri dell’impero ottomano alle bande tedesche, fino a quel passaggio epocale che è stata la Rivoluzione Francese. In seguito, sono messe a fuoco le relazioni tra imprese coloniali e diffusione delle brass band, i rapporti tra attività delle bande e costruzione sociale dello spazio e del luogo, nonché tra le bande e la loro musica quale espressione del sentire di piccole comunità. Il giro del mondo in nove saggi – purtroppo nessuna stazione in Italia, dove il fenomeno delle bande municipali e dei complessi che intervengono nei rituali religiosi o nelle cerimonie civiche è tanto vigoroso che meriterebbe di essere portato all’attenzione degli studiosi più di quanto non sia stato finora – inizia dall’Europa. Trevor Herbert, già autore di un’importante monografia sulle brass band, si occupa per l’appunto di bande militari e di bande di fiati e ottoni in Gran Bretagna (“Brass and Military Bands in Britain – Performance Domains, the Factors that Construct them and their Influence”) a partire dalla fine del diciottesimo secolo. Partendo dal concetto di “performance domain”, l’autore sottolinea come, lungi da essere uno sviluppo continuativo di organici di epoche precedenti, l’avvento delle brass band è il portato di fattori plurimi come slittamenti culturali, ideologia nazionalista, aspetti militareschi, innovazione tecnologica e mutamenti economici. In altre, parole, al centro è un aspetto significativo del fare musica nel Regno Unito è analizzato nella sua interazione con le più vaste sfere della storia sociale e culturale del Paese. Con Sarah McClimon, ci spostiamo in Giappone (“Western Challenge, Japanese Musical Response: Military Bands in Modern Japan”) per rivolgerci allo sviluppo della musica militare giapponese tra fine ottocento e metà del ventesimo secolo. La studiosa legge i repertori alla luce della tensione tra processi di modernizzazione di stampo occidentale ed elementi musicali riconducibili alla visione tradizionalista nipponica. Ancora dall’Estremo Oriente, nello scenario dei conflitti nella penisola di Corea – quello mondiale con l’invasione giapponese e, successivamente, quello della Guerra degli anni Cinquanta, con un nuovo intervento americano – Heejin Kim (“Battlefields and the field of music: South Korean military band musicians and the Korean War”) discute la produzione di marce militari di sapore coreano, l’impatto del nazionalismo, l’arrivo della popular music di influenza statunitense e la versatilità di musicisti coreani che nel dopoguerra mettono a frutto la loro esperienza di strumentisti in arme al di fuori della sfera militare. Ancora l’impatto di processi di modernizzazione, l’arrivo dell’amplificazione degli strumenti e i cambiamenti di gusto musicale sono al centro del saggio di Suzel Ana Reily sulla risposta che le formazioni note come bandas da musica nelle comunità minerarie del Minas Gerais (“From processions to encontros: the performance niches of the community bands of Minas Gerais, Brazil”) danno a detti sconvolgimenti. L’articolazione delle categorie di razza e classe sono messe al centro delle argomentazioni di Matt Sakakeeny, impegnato in una ricerca etnografica sul peso della rappresentazione degli strumentisti delle brass band che suonano nelle parate di New Orleans (“The representational power of the New Orleans brass band”). Tutta interna alle relazioni razziali della società sudafricana e al rappresentazione dell’idea di una cittadinanza rispettabile in confronto con le deprivazioni e le difficoltà della vita delle township è il saggio di Sylvia Bruinders relativo alle performance rituali del periodo natalizio (“Soldiers of God: the spectacular musical ministry of the Christmas bands in the Western Cape, South Africa”). Ci spostiamo poi in Portogallo, nella società filarmonica di Covões. In “Composing identity and transposing values in Portuguese amateur wind bands”, Katherine Brucher dà conto della dialettica tra apprendimento musicale e senso della comunità locale. Un senso di appartenenza che è centrale anche nel potente scenario delle flute band lealiste dell’Irlanda del Nord (dotatate di flauti in siB, rullanti e grancasse), protagoniste della stagione delle marce nelle sei contee del nord dell’isola. Protagonista del saggio è la Sir George White Memorial Flute Band, seguita nel suo annuale “pellegrinaggio” in Scozia, per prendere parte ad una competizione tra bande, tipica della pratica musicale di questi ensemble di flauti e tamburi. Nello studio di Gordon Ramsay ("Playing away: liminality, flow and communitas in an Ulster flute band’s visit to a Scottish Orange parade”), centrato sul concetto turneriano di communitas, emerge la centralità politica dell’esperienza della banda, che da un lato sottolinea il suo ruolo funzionale nella pratica rituale, dall’altro diventa un meccanismo di riproduzione delle forme popolari della cultura lealista protestante. Infine, dalla tradizione delle band fino allo sviluppo delle technobandas, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, si dipana il filo narrativo seguito da Helena Simonett (“From village to world stage: the malleability of Sinaloan popular brass bands”) nell’analizzare i folk ensemble di Sinaloa, Messico). Il volume in brossura, disponibile anche nei formato ebook PDF e ebook ePUB, fa parte della prestigiosa collana SOAS Musicology, che già allinea un ricco catalogo di studi etnomusicologi. 

Ciro De Rosa
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