Maria Giaquinto - Voci Di Frontiera (Ed. III Millennio, 2013)

L’amorevole cura dei Radicanto propizia il primo disco da solista della cantante e attrice barese, già apprezzata sia come vocalist dell’ensemble pugliese sia come artista di teatro. Negli anni Giaquinto è stata impegnata in numerosi progetti (Teatro dell’Orologio, Centro di Musica Antica Pietà dei Turchini di Napoli, Fondazione Petruzzelli, Peppe Barra e Bob McFerrin, solo per citarne alcuni). Com’è nella cifra artistica dei Radicanto – che nella riproposta della musica tradizionale hanno sempre messo l’accento sulla legittimità derivante dalla personale interpretazione, dalla creazione di versioni tutte autentiche e spurie al contempo, frutto di dialettica tra memorie e creatività – anche il repertorio di canzoni tradizionali e d’autore, quanto mai variegato, presentato in questo disco obbedisce a quell’idea di “variazione sul tema” che da anni anima il lavoro della band capitanata da Giuseppe De Trizio (direzione musicale, arrangiamenti, chitarra classica mandola, mandolino) e Fabrizio Piepoli (voce), affiancati da Adolfo La Volpe (oud, cetera corsa, guitarlele, laspsteel guitar, chitarra acustica, chitarra portoghese, chitarra acustica ed elettrica, saz, ukulele, banjo, basso elettrico ed acustico, glockenspiel, armonium), Giovanni Chiapparino (fisarmonica, marimba, clavicembalo, arrangiamento archi), Francesco De Palma (percussioni) e Roberto Piccirilli (violino, viola). A dominare l’album è il canto fine, duttile e morbido di Maria, che così spiega la genesi del lavoro: “Proprio dalla collaborazione con i Radicanto e Giuseppe De Trizio, con cui condivido ormai da tempo un’esperienza legata a molteplici produzioni teatrali e musicali, nasce in me la voglia di realizzare questo progetto discografico in qualità di voce solista, con l’obiettivo di mettere un punto fermo alla mia personale ricerca sull’espressività vocale e sul repertorio etnico cui mi dedico da tanti anni. La loro “poetica” rispecchia profondamente il mio modo di intendere l’interpretazione di questo genere musicale. Le quattordici tracce del disco sono state rielaborate, arrangiate e suonate con strumenti antichi e nuovi, rinnovate nella forma e ripensate come si trattasse di composizioni originali. Il disco propone un approccio tutt'altro che filologico alle forme della musica etnica, basato più sulle suggestioni che essa suscita all’ascolto odierno, arricchito d’influenze e sonorità contemporanee. La sensibilità di musicisti provenienti da differenti tradizioni musicali dà vita a un'interpretazione non convenzionale dei canti d'amore e maternità, di lotta e di libertà, di fede e ritualità. La voce è il ponte immaginario che unisce non solo le diverse tradizioni musicali, ma anche la poesia che le attraversa. Il titolo del disco, “Voci di frontiera” è l’esplorazione di un mondo che esiste oltre i nostri confini temporali e geografici per mettere in atto un’operazione di recupero e di attualizzazione del nostro patrimonio culturale reso vivo dalla sua originale esecuzione”. La trama mobile dei Radicanto ammanta dunque le canzoni dell’album, il cui programma offre in apertura “Laggiù”, dai profumi latini, dove Giaquinto canta: “A sud io mi cercherò [...] i suoni di antiche parole”, come a fissare la bussola emozionale e sonora; in chiusura prevalgono i colori tenui di “Voci di frontiera”, la title track articolata in procedure pop acustiche; entrambe le composizioni sono musicate da De Trizio su liriche della vocalist. Le altre dodici canzoni attraversano lo spazio e il tempo, mostrando la bella conciliazione tra strumenti acustici ed elettronica. Riluce la garganica “Soj ciardine”, così come il tradizionale andaluso “Nana del cariño”, ornato del timbro cristallino della cetera; dall’altra parte del Mediterraneo arriva il canto macedone “Sto mi e milo”. Il passaggio napoletano è d’obbligo nella peregrinatio nelle terre musicali del “piccolo mare”, così accogliamo la storica “Palummella”, sposata ad una composizione strumentale di De Trizio (“Il volo”), e la villanella “Vulumbrella”, con le polifonie dell’ispirato partner vocale Fabrizio Piepoli e i riusciti giochi di corde. La Napoli moderna e contemporanea si fa strada prima con “Indifferentemente”, poi con l’omaggio a De Simone, di cui è ripresa la magnifica “Aitano”. Ancora dall’antico crocevia culturale mediterraneo proviene la canzone sefardita “Hija mia mi querida”. Gli amanti del Tejo si lasceranno sedurre da un classico del repertorio fadista come "Canção do Mar”, in cui Maria dà il meglio di sé. Forme lusofone declinate in lingua partenopea per “Stelle” di Lenine, nella versione prodotta da Teresa De Sio. Dalla Puglia, ecco ancora il tributo a Modugno, con la perfino troppo sfruttata “Malarazza”, e sempre dalla terra di Bari, la versione modugnese di una celebre ninna-nanna popolare che rimanda alle memorie personali dell’artista barese. Un bell’ascolto. 


Ciro De Rosa
Nuova Vecchia