
È iniziato oltre dieci anni fa, con la creazione della romana Orchestra di Piazza Vittorio, il fenomeno delle cosiddette orchestre multietniche, sbocciate come azione cultuale e politica al contempo, segno delle ibridazioni contemporanee, ma anche risposta alla promulgazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione in Italia, nella fase storica in cui le pratiche multiculturali iniziavano ad essere messe in discussione nella “Fortezza Europa”. Qualcuno le ha definite una moda – nemmeno fossero migliaia – in ogni caso rappresentano, in un certo senso, una particolare tendenza italiana, laddove nel resto d’Europa, si tende con ogni probabilità – stante le eccezioni – a non ricorrere a tale categorizzazione nell’autorappresentarsi. Insomma, sono specchio musicale transculturale, ma forse anche esito di un certo provincialismo italico, del ritardo con cui il senso comune e il discorso mediatico si confrontano con categorie ambigue come etnie, nazione, nazionalità, identità, usate quasi sempre con molta superficialità. Non da ultimo, rappresentano una nicchia di gusto musicale nell’arena dell’industria dello spettacolo. Radicati nelle principali città metropolitane del Belpaese, gli ensemble germogliano anche in cittadine meno popolose: è il caso dell’OMA, acronimo di Orchestra Multietnica di Arezzo, nata come Orchestra Popolare Multietnica, diretta nella primo anno di esistenza dai musicisti Jamal Ouassini ed Enrico Fink, un marocchino di religione musulmana e un italiano di fede ebraica, per voler rientrare nelle categorizzazioni etnico-culturali-confessionali.

Ciro De Rosa
foto Coleschi dal sito lanazione.it
Tags:
Global Sounds