Jawa – Last Breaths from Aleppo (Muziekpublique, 2023)

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Pubblicato dall’organizzazione non profit belga Muziekpublique, che produce un programma di corsi di danza e strumenti tradizionali, concerti e promozione degli artisti residenti a Bruxelles, “Last Breaths from Aleppo” è un album interamente dedicato al corpo di musiche associate al sufismo nella martoriata città siriana di Aleppo. Jawa è un ensemble composto da musicisti di Siria, Palestina, Maghreb e Belgio, si tratta di Khaled Alhafez (voce), Yousef Zayed (‘ūd), Youssed Nassif (qānūn), Tammam Alaramadan (nay e kawala), Marwan Fakhir (violino) e Simon Leleux (percussioni). “Conservazione e resistenza” nel progetto originato dalla stringente necessità di salvaguardare un repertorio la cui pratica e trasmissione sono state compromesse dalla guerra siriana ed ora anche dal terremoto che ha colpito la storica città, plurimillenario splendore culturale del Paese, per la scomparsa o l’emigrazione di molti maestri. Nella multiculturale e pluriconfessionale Aleppo, da sempre simbolo della musica di tutto l’Oriente arabo, le voci risuonavano, tramandando un sapere musicale che passava da maestro ad allievo. La Jawa Band privilegia una prospettiva personale, innestando strumenti su canti in precedenza eseguiti a cappella, offrendo, difatti, un approccio nuovo nell’esecuzione delle mūwashshahat, genere di poesia strofica con ritornello di origine medievale, caratterizzate dalle sottigliezze intervallari del maqām e da complessi cicli ritmici. Il lavoro è concepito in cinque wasla, suite di mūwashshahat legate da una comune organizzazione
modale, ciascuna delle quali inizia con un’improvvisazione di uno dei musicisti, attraverso la quale è esposta la propria visione del maqām. Nel muhawash/moshar, segnato da ritmi lunghi, il cantore mostra la sua padronanza del modo. Nella parte successiva della suite, i quodud (brevi poemi), la componente ritmica è meno articolata, ma i temi risaltano per il gusto brioso. I brani si susseguono nella stessa wasla secondo la velocità e la dinamica, dal lento al veloce, dal complesso al semplice, dal lungo al breve. Nello sviluppo si segue una sorta di transizione dalla tristezza alla gioia, di movimento dalla terra verso il cielo, da intendersi come spinta verso il divino. Non è un caso che la copertina mostri il vorticoso danzare di un derviscio. La prima suite è “wasla hijaz”, nel maqām hijaz, uno dei modi più antichi, usato anche per la cantillazione coranica e per la chiamata alla preghiera. Ad aprire la scaletta è un brano del compositore ottomano settecentesco Veli Dede, “Hijaz Humayun Peşrev” (in un ciclo di 24/8), che evoca il periodo ottomano di Aleppo che cui segue un antico muwashah in 7/4 che evoca immagini d’amore. Due temi differenti (9/8 e 8/4) animano “Allamo almahboba hajri”. Gioia e felicità sono esaltate
in questo canto in 14/4 (“Hajarni Habibi”). I tre brani successivi compongono la “wasla awj”, in cui primeggiano i micro-intervalli: è una sequenza in cui l’ud evoca differenti colori paesaggistici, dalla Palestina alla cittadella fortificata che domina la città a ridosso del dedalo del suq e che è stata gravemente danneggiata dal sisma. Ed è proprio nella città nord-siriana che si finisce, con il bendir che batte un tempo di 16/4 (mukhammas) come è suonato proprio ad Aleppo, mentre la band ornamenta la melodia con ispirate variazioni. La successione di tre wasla presenta un gran ventaglio di lineamenti, sfumature e stati d’animo: prima c’è la “wasla bayati-husayni”, poi la moderna “wasla ajam ‘ushayran”, più prossima alla scala maggiore, suonata con tratto austero e profano. Qui, la traccia numero 14 (“Munyati sida al Milah” proviene dal prestigioso compositore aleppino Omar Al-Batsh (1885-1950). Gli ultimi quattro brani sono occupati dalla “wasla rast” che porta ad un finale in crescendo. Memoria, levatura tecnica, immaginazione ed improvvisazione nella risonanza emotiva generata dalla rotta sonora di questo sestetto. 


Ciro De Rosa

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