Folkatomik – Polaris (ItalySona, 2022)

Per il quartetto di “adozione” torinese è un debutto sorprendente che non è passato inosservato, considerati i lusinghieri riscontri da parte della stampa italiana e internazionale. “Polaris” è entrato nella Transglobal World Music Chart e nella World Music Chart Europe, il periodico Songlines gli ha assegnato quattro stelle: un veterano come Ian Anderson, musicista, già direttore della storica rivista fRoots nonché agitatore culturale del folk britannico, si è fatto prendere dal vortice di “Polaris”, inserendolo tra i suoi top album per l’anno appena trascorso: di certo, non cose da poco. 
Chi sono Folkatomik? Il polistrumentista Oreste Forestieri (plettri, strumenti ad ancia), originario del versante calabrese del Pollino, ha accompagnato artisti come Otello Profazio, Tonino Carotone e Raiz, pubblicando il suo primo disco nel 2006 (“Taranta Muffin - U passatu è turnatu”). Ha lavorato con diverse compagnie teatrali come musicista in scena e musicista attore e di recente è entrato nel progetto Banda del Sud. Franco Montanaro (voce, darbuka, daf e tamburi a cornice) è di Villa Castelli nel brindisino; a Torino ha fondato il “Collettivo Musicale In.con.tra.da” e per otto anni è stato co-organizzatore del Festival delle Province con il Teatro delle Forme di Torino. Valeria Quarta (voce, tamburi a cornice e percussioni) è torinese ma con legami familiari sparsi tra Salento e Calabria, vanta un background tra pop, e rock, è anche cantante e percussionista del trio “Le tre sorelle”, il progetto musicale che intende valorizzare le vocalità femminili del Sud Italia. Infine, il producer torinese Daniele Li Bassi (chitarre e macchine) ha firmato lavori per Emi, Warner Chappell, Universal, Diy, RaiTrade e molte altre etichette, è autore per la casa di produzione Banijay e ha pubblicato il suo disco d’autore “Il lato giusto” nel 2015 vincendo il premio Carisch
“Stefano Rosso”. Lavora stabilmente con la compagnia “Assemblea Teatro”. 
Elaborato all’incirca in due anni, pubblicato nel giugno 2022 da Italysona con il contributo di Puglia Sounds, “Polaris” fa convivere strumenti delle tradizioni popolari del Sud Italia e di Paesi dell’area mediterranea con l’elettronica, i ritmi delle danze e i repertori folklorici con le pulsazioni della club culture. Insomma, la ricerca di un terreno comune con il fine di riproporre la musica del sud Italia in maniera non convenzionale.
All’indomani della finale del Premio Parodi, al quale i Folkatomik hanno partecipato, abbiamo riunito il quartetto per una cordiale e allegra chiacchierata sul loro progetto e sull’album di debutto.

Come nascono i Folkatomic?
Oreste Forestieri - Con Franco suonavamo musica tradizionale a Torino da un bel po’, ma con Folkatomik l’intenzione è fare qualcosa di nuovo per avvicinare il pubblico più giovane, anche perché a Torino la situazione sta diventando abbastanza chiusa, nel senso che nascono tanti corsi di ballo e di strumenti tradizionali, ma si crea una realtà parallela a quella del sud con la chiusura delle piccole comunità. In questo contesto, ci siamo detti: ‘L'unica cosa bella che c’era qui, era proprio essere contaminati: il calabrese con il pugliese, col sardo e col napoletano, perché non torniamo a provare a dare questa dimensione? Inizialmente, in un concerto torinese, era il 2018, ci siamo presentati come un gruppo folk che proveniva da uno scenario distopico, da lì anche il nome Folkatomik, venuto in mente a un nostro
amico. Eravamo in quattro con una DJ sulle cui basi inserivamo i nostri suoni. Quella sera capimmo che se volevamo suonare strumenti acustici su basi elettroniche, quelle basi dovevamo farle fare su misura. Di seguito, ci siamo incontrati con il master Li Bassi… 
Daniele Li Bassi - Questi giovanotti del sud sono arrivati dopo alcuni step. Franco ha proposto di inserire un po’ di elettronica nel suono tradizionale. Abbiamo fatto un test e ci siamo subito innamorati del progetto, perché l’equilibrio rispettava certi canoni della tradizione. Ho detto: ‘Vabbè, mi piace’. 

Come si è sviluppato il processo di elaborazione del vostro suono?
Daniele Li Bassi - Uno dei primi brani su cui abbiamo lavorato era una “Tarantella di Sannicandro” molto velocizzata, che però non abbiamo inserito nel disco. Ho ascoltato un sacco di musica propostami da loro, li ho registrati per poi ascoltare e dire: ‘Qui, sento qualcosa…, proviamo a fare questo’. Di tutto l’infinito catalogo della tradizione abbiamo scelto alcuni brani, anche se sono famosi, e li abbiamo messi insieme a un originale, che è “Polaris”. La cosa bella è che nel caso di “Quant’ ave”, io ho lavorato sulla traccia di tamburello e voce… Solo dopo due anni, l’ho ascoltata in una versione diciamo più tradizionale, perché non volevo farmi guidare dagli interpreti della tradizione. 
Oreste Forestieri - Il trucco è stato l’incontro con la diversità, restando diversi, nel senso di dire:
‘uniamoci per quello che ciascuno di noi porta’.
Franco Montanaro - È successo anche al Premio Parodi nel riproporre “Rosa Resolza”. Ascoltando l’originale, ci è partita una versione arabeggiante, con darbuka e riqq. In studio Daniele ha pensato a una diversa chiave ritmica, che noi non concepiamo proprio, perché abbiamo una forma mentis musicale diversa. 

Come siete arrivati alla scaletta di “Polaris”?
Daniele Li Bassi - Il primo step è stato ascoltare e registrare tante ore a microfono aperto, campionando tutti i generi, catalogandoli per capire quanta roba c’era davanti e fare una selezione. Il secondo step è stato capire ritmicamente, almeno per me, quei grandi binari ritmici da mettere a fuoco, con le differenze e le infinite varianti … tarantella, pizzica, tammurriata… varianti ritmiche, ma anche geografiche. Poi, capire cosa non toccare: siccome ci sono degli stilemi che non puoi forzare, nel senso che una cosa è incontrarsi e metterci un nuovo suono o una nuova atmosfera, una altra è piegare qualcosa che funziona: ‘Se funziona non lo toccare”, è la mia regola! Le cose che mi sono piaciute, cerco di non muoverle mai, mentre il passo successivo è stato ri-armonizzare, spostare gli accordi, creare nuove versioni, anche melodiche in qualche cosa, e proporre riletture. A quel punto li ho messi sotto a registrare… Questo mi ha permesso poi di rimaneggiare e in qualche caso ri-campionare. Da lì, siamo arrivati al live, che è ancora un altro tipo di processo, un meccanismo da una parte molto semplice, dall’altra anche complesso tecnicamente per lo sviluppo armonico, per le escursioni di volume da gestire dettate dai diversi strumenti: si va dal moog al mandolino, dal flauto alla drum machine.

Vi siete assunti una certa responsabilità nel riprendere la “Pizzica di San Vito”, considerato che è brano molto esposto e che è un caposaldo della tradizione salentina…
Daniele Li Bassi - Io ho proposto di farla per incoscienza…
Oreste Forestieri - Sono molto affezionato al brano, perché è uno dei primi imparati sul mandolino. Ho conosciuto suonatori che mi hanno insegnato molte varianti, quando giravo a registrare anziani, a 
importunare per farsi accettare. È un nostro apripista, il primo in scaletta ed il brano più lungo: ne abbiamo fatto due versioni, in minore e maggiore.
Daniele Li Bassi - Ho scoperto anche che le canzoni tradizionali non hanno un tempo di durata: possono durare più di quattro minuti! Perciò ne faccio due o tre versioni diverse a seconda del mood. Per me che avevo tutto un altro imprinting era qualcosa che non immaginavo. In un DJ set io tengo un pezzo sul piatto circa 1 minuto e 20 secondi, qualcosa che dura 7 minuti per me è come un’era geologica. Ma essendo un brano che ha la funzione di far ballare, questa durata ha senso. Anche in questo caso è stato un incontro tra mondi diversi sulla stessa strada. 

Cosa deve accadere perché un brano vi convinca per riprenderlo?
Daniele Li Bassi - Dipende da chi si arrende prima! (ride, ndr)
Oreste Forestieri - Ci convince se fa ballare. Perché con il mix che siamo riusciti a fare, abbiamo riportato questa musica tradizionale da ballo alla funzione originaria nel contesto urbano di Torino.
Franco Montanaro - Dopo dodici anni che suonavamo a Torino ci siamo accorti che le cose erano cambiate, che la gente era intimorita e non ballava perché c’erano quelli dei corsi… c’erano i maestri. Da lì, abbiamo pensato che dovevamo riportare la felicità del ballo. A uno dei nostri primi concerti abbiamo visto anziani a Torino che ballavano sulla nostra musica insieme ai ragazzini che si dimenavano. Siamo riusciti a scardinare quella paura di sfigurare.

Domanda d’obbligo: perché “Polaris”?
Daniele Li Bassi - È l’idea stella polare come rotta di partenza, ma in continuo mutamento, non fissa, come la tradizione che non è rigida. Ci è sembrata la metafora perfetta per quello che stavamo cercando.
Oreste Forestieri - “Polaris” è anche la prima traccia del disco. Racconta di un naufrago nel mare che invoca la stella polare per farsi ricongiungere alla riva, tornare casa o all’infinità: lasciamo il finale aperto.
Daniele Li Bassi -
È nata in modo strano. Era una suite di mandolino di Oreste di 12 minuti. Da questa super partitura di 280 battute, che per me sono tre dischi, abbiamo iniziato a estrarre ed estrapolare: Io ci sento un cantato qui, un tema qui… ed è venuta fuori una canzone, metafora perfetta della nostra musica

Oltre alle pizziche, riprendente una “Tammurriata”.
Oreste Forestieri - Quello è un brano già denso di suo. È stato facile: tromba degli zingari e cassa in battere…ed è già techno!

Un altro motivo che colpisce è “Tira la pinna”, di che si tratta?
Franco Mantanaro - Il testo è attribuito a un brigante che operava in Sila, Domenico Strafaci. Era detto “Palma”, nacque a Longobucco, in provincia di Cosenza nel 1831, non era analfabeta e si dilettava a comporre brevi poesie popolari che firmava con l'appellativo di “Re di la Montagna”. Sfidava potenti e “galantuomini”. In una sua lettera mandata al Viceré. C’è una strofa “Tu tiene carta, calamaro e pinna e io sono lu re della montagna’. Con cui intende siamo più o meno allo stesso livello. Ci è piaciuto il messaggio, che è quello di non piegarsi a tutto.

In che rapporto siete con storiche esperienze di fusione con l’elettronica come realizzate in passato in Salento, da Nidi D’Arac o Mascarimirì? 
Oreste Forestieri - Avevo fatto anche io un disco elettronico nel 2006, ma non era il momento adatto. Per come la vedo, te li colloco in modo temporale: Nidi d’Arac 2000, Mascarimirì 2010, nel 2020 si apre 
un’altra fetta. E come se ogni dieci anni ci si risvegliasse in qualche modo, come se queste cose andassero a periodi. In questi ultimi venti anni si è provato a tornare indietro alla forma pura, anche se c’era già stata tanta contaminazione. Io mi sono avvicinato alla musica tradizionale attraverso Parto delle Nuvole Pesanti, Panta Rei, Nidi d‘Arac e prima ancora Agricantus. Ho ascoltato questa forma che mi è piaciuta, per poi dire: ‘Proviamo a capire come era in origine’. Questo è il lavoro che stiamo facendo. Speriamo che tanti giovani, come è avvenuto per noi, ascoltando la nostra musica si incuriosiscano e vadano a capire qualcosa in più. Per me era stato un passaggio obbligato per capire chi si è stati, come dice Braudel: “Sapere chi si è stati è la condizione necessaria per essere”. Credo che si arrivi a un punto nella vita in cui scatta questa molla. Prima scatta, prima la si risolve.
Daniele Li Bassi - Personalmente sono esperienze che ho conosciuto dopo. Però, devo dire la verità: per voi l’elettronica è un oggetto nuovo, qualcosa che crea scompiglio. Ogni tanto arriva qualcuno che fa sta’ roba. Per me è successo il contrario, perché lo scompiglio è arrivato scoprendo gli strumenti non sintetici: i tamburi o i diversi tipi di flauto, scoprendo che c’è un mondo. Non mi sono affacciato alle esperienze di quelle stagioni se non di recente. 

Cosa cambia dal disco al concerto?
Daniele Li Bassi - Il live è la carta foto perché, avendo questo spirito di impronta dance più ampio, il live 
punta tutto sull’energia, è un live pieno di colpi di scena, di stacchi, di momenti di sali e scendi, una sorta di montagne russe in cui si passa dal momento più rarefatto a momenti di dance pura, con cassa in quattro. Quello che cambia rispetto al disco è che a seconda dei momenti, portiamo in giro uno show dove ci sono dei mash-up con il DJ-set, è un continuo spingere perché nasce dal concetto che quando vai a ballare questo tipo di musica tutto sommato è un flusso continuo. Tornare sulla ciclicità, sulla ripetitività, sulla lunghezza dei temi ha fatto da legame con l’elettronica; il matrimonio ha funzionato perché ha significato ritrovare elementi comuni. Tutti gli elementi elettronici rimangono quelli del disco rielaborati ma poi ci sono i musicisti live. Ascoltare il disco e poi vederci è un’esperienza interessante, perché in qualche modo sei circondato dai suoni. L’esperienza del Parodi è stata bella, bellissima, un piacevole scambio, un luogo di incontri. Volendo fare un po’ l’avvocato del diavolo, però, non siamo proprio la band adatta a questo tipo di manifestazione. Il nostro approccio è da club e da festival, siamo stati onorati e felici di partecipare, ma siamo partiti sapendo di arrivare a gamba tesa in una sala con gente seduta, dove i volumi sono d’ascolto ma non ci siamo fatto problemi. Sono due le scene che frequentiamo: quella più tradizionale e quella più indipendente del mondo allargato che va dal reggae al dub, dalla rumba alla patchanka: di base il nostro è un pubblico che viene a ballare.

Cosa bolle nella casa ribollente di Folkatomik?
Oreste Forestieri - Oltre alla promozione di “Polaris”, stiamo accumulando un po' di cose nel cassetto. In primavera uscirà il video del brano originale che dà il nome al disco e, probabilmente, pubblicheremo una cover, che lanceremo come singolo, ma non diciamo altro… Stiamo approntando lo show live per le prime date primaverili, per essere al massimo per il nostro pubblico. Da fine marzo partiremo con un po' di date in Sud Italia fino ai primi di aprile e a metà giugno saremo in Francia. Da qui andremo avanti con i live fino a fine estate, dopodiché chiudiamo un altro disco che bolle in pentola da un po’. Vedremo se uscire con un EP o con un disco di lunga durata, ci stiamo pensando. Ci vediamo in giro!



Folkatomik – Polaris (ItalySona, 2022)
Torinesi di “adozione” i polistrumentisti Oreste Forestieri e Franco Montanaro con la cantante Valeria Quarta, hanno scavato nelle forme tradizionali delle regioni del sud dello Stivale, combinando voci, percussioni, strumenti a fiato e corde pizzicate con l'elettronica padroneggiata dal DJ-producer Daniele Li Bassi, per creare un paesaggio sonoro originale. D’accordo, Mascarimirì e Nidi D’Arac e altri ancora si sono mossi in passato su queste coordinate, ma conta la primogenitura? Cosa importa se non il fatto che parliamo di differenti sensibilità e vissuti musicali e culturali? Di timbrica e architetture elettro-folk che contano e fanno la differenza. Polaris è “la stella che guida il percorso in continua evoluzione”, dichiarano i quattro che creano canzoni e danze per portarle alle giovani generazioni urbane. La title track di apertura è una pizzica cantata in dialetto calabrese arcaico in cui un naufrago in mare aperto implora l'aiuto della stella per ritrovare la strada di casa. Il magnetico primo singolo, “Quant'ave” cattura immediatamente l'ascoltatore con la sua veste electro-latin: è un'altra pizzica che flirta con la cumbia (la trovate anche come bonus track in versione radio edit). Il loro girovagare sonoro li porta a creare un’ambientazione rebetiko a "Lu Tirullalleru", una tarantella calabrese tra le più conosciute, cantata e diffusa prevalentemente sul territorio cosentino, dove è stato usato un testo molto particolare che racconta le vicende di due sventurati amici. I due si chiedono aiuto a vicenda con una serie di divertenti battute, ma per ovvie vicissitudini non potranno aiutarsi; di conseguenza ognuno sarà abbandonato al proprio destino da parte dell'altro. Un efficace groove elettronico pervade "Tammurriata" dall’incipit a fronna. Altrove, "Lu trainu" è un canto di carrettiere tradizionale siciliano dal sapore balcanico, mentre "Tira La Pinna", il cui testo è attribuito a un brigante calabrese del XIX secolo, si traduce in un'inaspettata atmosfera di tango nuevo. Nel loro viaggio, i Folkatomik riprendono classici della tradizione salentina con "Pizzica di Torchiarolo”, mentre la conclusiva “Pizzica di San Vito”, è il loro omaggio alla tradizione mandolinista di San Vito dei Normanni, in cui riprendono il classico danzante, sia in versione in minore che in maggiore innestandovi una inflessione reggae. “Polaris” è un pieno di idee e di energia elettro-acustica al servizio del folk. Alzate il volume e abballate!


Ciro De Rosa 

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