Rino Arbore – Temporary Life? (Dodicilune/I.R.D., 2021)

Chitarrista e compositore pugliese, Rino Arbore si era affacciato sulla scena jazz regionale agli inizi degli anni Settanta e, nel corso della sua lunga carriera artistica, aveva dato vita a numerosi progetti, oltre a mettere in fila diverse collaborazioni internazionali, come quella con lo scandinavo Arild Andersen, per giungere agli ultimi anni in cui ci aveva consegnato dischi pregevoli come “Après la nuit” del 2009 e “The roots of unity” del 2015. A giugno di quest’anno la sua vita è stata prematuramente spezzata da un male incurabile, poche settimane dopo aver dato alle stampe “Temporary Life?”, album che rappresenta certamente il vertice di tutto il suo cammino artistico. Composto da dieci brani originali, incisi con la collaborazione di Giorgio Distante (tromba), Mike Rubini (sax alto), Giorgio Vendola (contrabbasso) e Pippo D’Ambrosio (batteria), il disco è stato ispirato al dramma della Shoah e, in particolare, alle vicende di due prigionieri nel campo di concentramento di Auschwitz la giovane polacca Czeslawa Koka uccisa a solo quattordici anni e di cui restano solo tre foto che la ritraggono terrorizzata ed impaurita e quella dell’autore di quegli scatti, Wilhelm Brasse, il fotografo del campo dove fu internato dopo aver rifiutato di aderire al Nazismo in seguito all’occupazione della Polonia. Laddove “The Roots of Unity” affrontava il tema del dolore, le due storie racchiuse in questo nuovo album pongono al centro questioni centrali nell’esistenza di un uomo come il valore della vita, la capacità di fare fronte al male che ci sommerge e l’empatia verso le sofferenze di chi ci è accanto. Significativa in questo senso è la scelta del titolo, accompagnato da un eloquente punto interrogativo, a rimandare all’interrogativo che lo stesso chitarrista pugliese sembra rivolgersi sulla reale precarietà della vita. La risposta traspare netta nei dieci brani in cui si coglie il senso della battaglia contro la malattia che Arbore ha condotto con le armi della musica che lo ha aiutato a resistere alle sofferenze, alla paura e al dolore. Dal punto di vista musicale, il disco esce dai sentieri del jazz classico per esplorare i territori del free-bop con il quintetto che continuamente rimescola le carte, scomponendosi e ricomponendosi per lasciare poi spazio agli assoli delle voci strumentali. Sebbene ognuno di loro provenga da esperienze musicali diverse, la scrittura moderna e brillante di Arbore esalta il talento, l’eclettismo e la curiosità dei singoli musicisti. Si spazia, così, da momenti di inquieta sperimentazione a tutto campo ad episodi melodici, ma ciò che non viene mai meno sono gli addentellati con i grandi maestri passati che si mescolano le intuizioni del jazz contemporaneo. Brillano, così, “Czeslawa Cries”, “The Train at Dawn” e “Dance of Pigs”, ma soprattutto “Temporary” e la drammatica “Corpi inutili”, ma il vero vertice del disco è nella melodia della ballad “L’amore in fondo”, un testamento spirituale che si sedimenterà nella nostra memoria e nel nostro cuore. 


Salvatore Esposito

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