Non si può dare inizio alle tante riflessioni che la lettura e l’approfondimento del volume “Il nostro caro Lucio. Storia, canzoni e segreti di un gigante della musica italiana” di Donato Zoppo ha suscitato a chi scrive, senza partire dalla Hoepli, la casa editrice a cui questa pubblicazione è legata. Il libro infatti fa parte della collana “Storia della canzone italiana. I protagonisti” - diretta da Ezio Guaitamacchi - che si distingue nelle sue intenzioni divulgative. Sono tutti volumi ben stampati, in una carta che dà soddisfazione sfogliare. Sono pieni di illustrazioni, di curiosità, di colore: è davvero un piacere averli e consultarli. E – soprattutto - sono sempre affidati a scrittori capaci, competenti e seri. Pur mantenendo la leggerezza necessaria per dare un reale godimento nella lettura, non sono mai esercizi di stile (e poi, ammettiamolo, a volte manca anche quello) utili solo ad aggiungere titoli al curriculum.
Il volume di Donato Zoppo non solo non fa eccezione a questa regola, ma è uno degli esempi più rappresentativi. D’altronde non sorprende, perché siamo di fronte a un autore eccellente, giornalista e conduttore radiofonico: un professionista dalla penna soave.
Zoppo ha affrontato la biografia di Lucio Battisti con piglio leggero, eppure con grande serietà. E ha fatto delle operazioni all’interno particolarmente apprezzabili.
Il libro si apre con una piacevole pagina - in realtà sono tre- che in due righe ciascuno presenta tutti i protagonisti legati alla vicenda artistica del “nostro caro Lucio”. Non manca per ognuno di loro la fotina che permette di inquadrare meglio tutta la storia nell’insieme e ogni situazione in particolare. E per immaginarla anche visivamente. Una presentazione che sembra prendere a modello i classici copioni teatrali, con i personaggi descritti all’inizio, e che ci consente di entrare nella vicenda da seduti, mentre il sipario si apre. Proprio come quando ha inizio lo spettacolo.
Perché subito dopo si fa sul serio. Lo stesso autore ci tiene molto a spiegare di aver avuto un approccio con Lucio non da fan ma da “battistiano laico”. Non è affatto irrilevante, perché in questo modo ha potuto affrontare il genio musicale, il carattere, gli incontri, le solitudini, le ritrosie e tutte le vicende di quella particolarissima vita, con la giusta distanza, eppure con l’adeguata partecipazione. E soprattutto gli ha consentito di considerare la vita dell’artista Battisti come un unicum, al di là delle scissioni, delle separazioni, degli allontanamenti mediatici.
Perché la storia artistica di Fabrizio De Andrè - che nella vita ha goduto della collaborazione di mille eccellenti autori - è sempre stata considerata la naturale evoluzione in un solo uomo, mentre quella di Lucio Battisti è stata sempre divisa in due, come se esistesse un Battisti mogoliano e uno panelliano? Come se nonsi trattasse sempre di lui, di Lucio Battisti?
E a proposito di questo, Zoppo riesce ad affrontare la fine del sodalizio con Mogol in termini di necessità artistica, al di là quindi dei raffreddamenti umani e delle beghe finanziarie. Complice forse anche la differenza di età, ci appare chiara la figura di un Mogol in fase di ripiegamento; i suoi testi da borghese adulto non corrispondevano più al genio musicale di un consapevole Battisti. Quella che è stata considerata una forma di ribellione dell’allievo che abbandona il maestro per non subirne più peso e soggezione, in questo libro viene letta come la naturale necessità di un uomo che - al di là della riconoscenza dovuta a chi lo aveva aiutato a crescere - aveva già da tempo spiccato il volo, era davvero oltre e doveva andare via.
Come racconta lo stesso Zoppo, quella sintonia, quel sodalizio che aveva permesso alla cugina di Battisti di riconoscere nel vestito a fiori della madre dei “Giardini di Marzo” l’abito della mamma di Lucio – mentre si trattava logicamente del vestito di quella di Mogol – non c’erano più.
Da un altro punto di vista, invece, l’autore non si risparmia nel raccontare, senza addolcire la pillola, quella freddezza, quell’allontanamento dal mondo che aveva reso la musica di “Hegel” “clinica”, come gli disse Chris Porter: era la rappresentazione di un isolamento che aveva raggiunto tratti esasperati.
Con la stessa lucidità Zoppo affronta altri nodi importanti della vicenda battistiana, a partire dall’annosa questione politica, che qui viene inquadrata alla luce dei fatti e non delle ideologie che ancora confinano Battisti in un mondo che non gli apparteneva. In questo senso, ma non solo in questo, va apprezzata la capacità avuta di inserire la vicenda nell’adeguato contesto storico, senza errori e anacronismi sentimentali, valoriali, materiali.
Ne esce fuori l’immagine di un ragazzo - poi uomo – con una grande esperienza di band e gruppi, che però al Live preferiva lo Studio, perché gli dava molte più possibilità espressive: gli consentiva infatti sperimentazione, invenzione e ricerca, in un’epoca dove organizzare dei live ben fatti era difficile anche per i Beatles, vista l’arretratezza tecnica delle amplificazioni, la scarsezza di luoghi adeguati, la quasi inesistenza di organizzazioni professionali, per non parlare poi delle contestazioni politiche che toccavano a tutti, in quel clima sociale particolarmente effervescente. Ne esce fuori infine l’immagine di un uomo che di fronte a un giornalismo musicale ancora alle prime armi - che sembrava più interessato al suo taglio di capelli che alla sua musica - preferì parlare di sé solo attraverso le sue canzoni.
Un musicista a tutto tondo insomma - con un sound sempre all’avanguardia, dotato di una voce particolare e di una capacità interpretativa unica: un insieme di cose che sapevano suscitare vere reazioni emotive all’ascolto – che un giorno decise appunto di comunicare solo attraverso tutto questo: scusate se è poco, anzi, come avrebbe detto lui, “Scusa er guanto!”. In definitiva è stata la scelta giusta se è vero, come è vero, che la musica di Battisti emoziona ancora oggi quasi ogni giovane che si trovi ad ascoltarla. È per questo che ancora ne parliamo, ne scriviamo, ci emozioniamo. Ed è per questo che ci fa piacere avere in libreria il volume di Donato Zoppo, insieme naturalmente a quell’abito… quello nero, con i fiori non ancora appassiti.
Elisabetta Malantrucco
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