Nato da una famiglia ebrea del Bronx nel 1927, Jerry Schatzberg trasformò la sua passione per la fotografia in un mestiere, e pur non essendo un talento si affermò velocemente nella scena artistica newyorkese, grazie alla sua straordinaria capacità di cogliere i ritratti delle grandi star della musica, della moda e del cinema. Frequentando l’Ondine a Downtown, grazie al suo coraggio ed alla sua sfrontatezza, era riuscito a stabilire i contatti giusti e non a caso fece amicizia con Nico ed arrivò a fidanzarsi con Faye Dunaway. Così, nel 1965, mentre il mondo del rock era nel pieno della sua rivoluzione, i suoi scatti si potevano trovare sulle riviste più lette del periodo da Vogue ad Esquire per finire con McCalls. Bob Dylan aveva, invece, ventiquattro anni ed era già all’apice della sua carriera che, tuttavia, stava per evolversi sorprendentemente in qualcosa di ancora più grande. Allontanatosi dalla protest song e dallo stereotipo di “voce di una generazione” si immerge a capofitto in una nuova fase della sua carriera, mettendo al centro non solo la potenza lirica ed evocativa dei suoi testi ma anche la ricerca di quel “thin, wild mercury sound” che avrebbe rivoluzionato la storia del rock. Il cantautore americano, infatti, con “Bringing It All Back Home” aveva già sovvertito l’approccio alla grande tradizione della musica americana e si apprestava a completare l’opera con “Highway 61 Revisited” e “Blonde On Blonde”. In questo senso, per nulla trascurabile è anche il cambio che imprime alla sua immagine, costruendo una rappresentazione sempre più complessa di sé stesso nel look come negli atteggiamenti. Fatalmente strade di Bob Dylan e di Jerry Schatzberg si incrociano quando quest’ultimo, durante una chiacchierata con il giornalista Al Aronowitz e il dj Scott Ross ascoltando per l’ennesima volta il nome del cantautore chiese chi poteva presentarglielo. Il primo incontro avviene nello studio dove Bob Dylan stava registrando quello che sarebbe diventato “Highway 61 Revisited”, il disco dell’epocale “Like A Rolling Stone” che sarebbe finito in testa alle classifiche di tutti i tempi. In una recente intervista Schatzberg, ora noventunenne, racconta: “Dylan l’ho scoperto un po’ tardi, ma quando finalmente ci sono arrivato mi ha travolto. Quando ho iniziato a fotografarlo, l’ho conquistato all’istante”. Gli scatti in bianco/nero del fotografo newyorkese colgono Dylan al vertice della sua creatività. Il risultato sono immagini che hanno una forte potenza iconica e la forza di resistere allo scorrere inesorabile del tempo. Del resto come racconta lo stesso Schatzberg: “Come soggetto fotografico, Dylan era il migliore”. Lo si vede ora strafottente, ora elettrizzato, ora ancora spazientito con la sigaretta accesa, e presto arriva anche la copertina di quel capolavoro che sarà “Blonde On Blonde”. Si tratta di un’immagine quasi sfocata, colta in strada mentre intirizzito dal freddo di febbraio Schatzberg scattava velocemente. Gli splendidi scatti di quei giorni sono stati raccolti, per la prima volta in Italia, in un corposo volume, edito da Skira, e che include i reprint di storiche interviste rilasciate dal cantautore americano compresa la famosa “A night with Bob Dylan” di Al Aronowitz, pubblicata sul New York Herald Tribune nel 1965. Stampato in grande formato ed in alta qualità, il libro ci regala una serie incredibile di fotografie che non sono semplici documenti storici, ma piuttosto testimonianze vive ed irripetibili della febbrile creatività e dell’elettrica ispirazione che pervadeva quei giorni. Dopo l’incontro con il cantautore, Schatzberg proseguì il suo percorso di ricerca verso il cinema mettendo in fila tre film memorabili come “Mannequin – Frammenti di una donna”, il toccante “Panico a Needle Park” del 1971, con un esordiente Al Pacino e “Lo Spaventapasseri” del 1973 che gli valse Palma d’Oro a Cannes. Quegli scatti, però, lo hanno consegnato alla storia insieme al suo protagonista.
Salvatore Esposito
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