Ensemble Bîrûn – Musica delle corti da Herat a Istanbul (Nota, 2018)/Lale Kadınlar Topluluğu/ Lale Women Ensemble – Dilhayat Kalfa: Eserleri/Classics (Kalan, 2017)

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A proposito della musica classica ottomana, Kudsi Erguner sostiene: «Purtroppo, per una concezione sbagliata, una simile eredità viene detta ancor oggi ‘musica classica turca’: per me si tratta invece della musica classica di molte genti che hanno condiviso una storia comune in seno all’impero ottomano. Non è quindi una musica fatta per essere apprezzata secondo l’appartenenza nazionale ma secondo il gusto di una cultura comune, esattamente come la musica classica europea». Nelle parole del compositore e flautista c’è la chiave di lettura del Bîrûn, il seminario di annuale di alta formazione in musica classica ottomana diretto dallo stesso Erguner, promosso dall’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Il lavoro di studio e la pratica musicale trovano compimento artistico nelle sessioni raccolte in una collana di CD, prodotti in collaborazione con l’editore Nota. I due CD contenuti in “Musica delle corti da Herat a Istanbul” fissano le attività dell’edizione 2017 del Bîrûn. Si tratta di un programma che copre l’arco di tre secoli (XIV-XVI), proponendo musiche che era possibile ascoltare a corte o nelle dimore di cultori di elevato rango in un territorio molto vasto, che dall’attuale Afghanistan (Herat era la capitale dell’impero di Tamerlano), passando per quell’epicentro culturale che è stata l’uzbeka Samarcanda, giungeva fino a Costantinopoli/ Istanbul, capitale ottomana dal 1453. A proporne la rinnovata diffusione, è l’ensemble internazionale di borsisti dal ricco strumentario (canto, kanûn, ney, viola, tanbûr, ‘ûd, târ, violino e percussioni), provenienti da Turchia, Iran, Germania, Spagna, Grecia e Cipro che, sotto la direzione di Erguner (flauto ney), e con l’imprescindibile lavoro di coordinamento di Giovanni De Zorzi, figura dotta ed eclettica di accademico di Ca’ Foscari e di musicista, si adopera per divulgare questi tesori compositivi universali. I repertori riproposti nei due dischi (di rispettivamente otto e dodici brani) presentano affinità modale e sono in forma di suite (fasil) con interludi improvvisati (taksîm). Come sempre il libretto del CD-Book Nota contiene interventi (in italiano e inglese) esplicativi dell’intero progetto, delle musiche e delle composizioni (scritti di Giovanni Giuriati, Kudsi Erguner e Giovanni De Zorzi), nonché le traduzioni dei testi dal persiano, a cura di Stefano Pellò. Si ascoltano opere dei celebri al-Fârâbî , il musicologo e filosofo del primo periodo arabo-islamico, e di ‘Abd-ul Qâdir Marâghî, quest’ultimo vissuto a cavallo tra secondo Trecento e primo Quattrocento, tra le fonti principali della musica classica ottomana. Ancora, ci sono composizioni attribuite al mistico di lingua persiana Sultan Veled (1226-1312I), al sultano timuride Huseyn Baykara (1469-1506) e al khan di Crimea Gazi Giray (1554-1607). Queste composizioni sono state trascritte da fonti orali da musicisti e musicologi turchi, quali Rauf Yektâ bey (1871-1935), Refik Fersan (1893-1965) e Ulvi Erguner (1924-1974), il padre di Kudsi, mentre l’attivissimo figlio di Kudsi, Selman, è uno dei solisti dell’ensemble. Tra le tracce, davvero bello il duetto di ney di Ahmet Faruk Ayaz e Christos Barbas (“Huseyni Taksim”) e l’ilâhi, un genere esterno alla musica d’arte, perché di carattere devozionale, in cui Erguner ha creato un bordone strumentale su cui con grande estro improvvisa il cantante Aburrahman Düzcan. 
Anche il secondo disco è un affascinante viaggio nei cicli ritmici, nei soli di questa musica di profilo modale, microtonale, monofonica, eterofonica: qui prediligiamo il duetto tra il liuto a manico lungo târ (Reza Mirjalali) e la viola (Selma Erguner) in “Mâhûr Taksim” e l’interpretazione a cappella dell’intero ensemble di “Gol bi rokh-e yâr khosh nabâshad”. Partecipe del cosmopolitismo culturale ottomano è stata Dilhayat Kalfa, notevole compositrice ed intellettuale, educata a corte. Secondo alcune fonti compose un numero considerevole di opere che, però, non ci sono pervenute nella loro totalità, quelle attestate sono all’incirca tredici, dalle quali è evidente l’abilità di scrittura sul piano melodico e lirico da parte dell’artista, che è stata anche suonatrice del cordofono tanbûr, e di cui si conosce solo la data della sua scomparsa, attestata intorno al 1737, secondo lo studioso Talip Mert, colui che ha scoperto negli archivi il terike, il testamento di Dilhayat Kalfa. Il disco “Dilhayat Kalfa: Eserleri/Classics”, pubblicato dalla prestigiosa etichetta turca Kalan, ha il grande merito di portare alla luce un repertorio di grande interesse. L’ensemble Lale Kadınlar Topluluğu è nato nel 1990 ad opera della musicologa inglese Rosaly Lambourn, ma soprattutto dal profondo lavoro della studiosa e suonatrice di kanûn Sefika Şehvar Beşiroğlu, che si è dedicata proprio a indagare il lascito delle compositrici ottomane, scrivendo molto proprio sull’arte di Dilhayat. Purtroppo la musicologa e strumentista è venuta a mancare a soli 51 anni, poco prima della pubblicazione di questo album (che a lei è dedicato). Nel libretto, che accompagna il CD, compaiono scritti in inglese di Nilüfer Saltik, della stessa Şehvar Beşiroğlu e il già citato Talip Mert. Il settetto femminile, in cui si ascolta anche la cetra di Şehvar Beşiroğlu, comprende un organico di voci, kanûn, kemânçe, ney, tanbûr, ‘ûd e percussioni; la solista Sinem Özdemir, cantante di elevato rango, si erge nell’interpretazione di quattro brani nel genere vocale “beste”, ma è tutto l’ensemble a mostrarsi ben rodato nell’esecuzione del repertorio, che è costituito da otto composizioni. Tra i brani strumentali splende il solo improvvisato di tanbûr di Göknil Bişak Özdemir, che impreziosisce il brano “Nev-hirâmum sana meyl eyledi can bir dil iki”, suonato nel maqâm rast. Non sono da meno lo strumentale nel modo evcârâ (“Evcârâ Saz Semaîsi”) e il peşrev (“Sipihr Peşrev”) che chiude il disco. Le due delizie ottomane ci inducono a un magnifico viaggio nel tempo e nello spazio. 


Ciro De Rosa

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