Fatoumata Diawara, Festival Dromos, Anfiteatro Tharros (OR), 06 agosto 2018

Dromos, la più interessante fra le rassegne che popolano l’estate sarda, compie vent’anni, e lo fa mettendo sulla bilancia gli ingredienti di sempre: la disponibilità di location invidiabili in tutta la provincia di Oristano, una delle zone meno battute dal turismo di massa ma che riserva paesi bellissimi e angoli inaspettatamente deliziosi; un pubblico competente e fidelizzato negli anni, proveniente da ogni angolo dell’isola, oltre ai numerosi turisti stagionali; una direzione artistica che combina nomi di sicura presa (quest’anno Capossela e Dee Dee Bridgewater, fra i più noti), con altri di grande richiamo per un pubblico mid-cult (il latin jazz di Gonzalo Rubalcaba e Horacio “El Negro” Hernandez, o il rock saheliano di Bombino), e nomi apparentemente destinati ad un pubblico di nicchia ma che riescono a riempire di pubblico pagante lo spazio, in questo caso il bell’anfiteatro sul mare costruito nell’area archeologica punica di Tharros. 
Fra questi la nuova diva della musica maliana, la splendida Fatoumata Diawara, eccezionale performer e notevole cantante (e chitarrista), autrice di un set decisamente rock nella strumentazione e nell’approccio, ma assolutamente africano nelle vibrazioni e nei sottotesti forniti all’ascoltatore. Una scaletta pressochè interamente basata sull’ultimo album “Fenfo”, con uniche concessioni una intensa cover del classicissimo “Sinnerman”, reso celebre da Nina Simone, e “Sowa”, forse il brano più famoso della cantante maliana, reso con un arrangiamento mutuato dal disco live inciso insieme al pianista cubano Roberto Fonseca. E se “Fenfo” nella lingua bambara significa “qualcosa da dire”, Fatou tanto, tantissimo ha detto durante il concerto e altrettanto ha da dire fuori dal palco, come dimostra la breve intervista concessa in un’improvvisata sala stampa a lato della platea a fine soundcheck. Introdotto da una bella lettura di Alessandro Melis, tratto del suo “Bestiario della Rivoluzione” (rivoluzione che è il tema, o il filo conduttore, della rassegna di quest’anno), lo show è iniziato con una mezz’ora più down-tempo, dove la Diawara si è esibita nei brani più raffinati tratti dall’ultimo disco, in cima questo mese a tutte le classifiche di settore, dall’iniziale “Don Do”, basato su un ipnotico ostinato di chitarra, a “Kokoro”. Ma è con “Negue Negue” che il concerto ha iniziato a salire: il sound vira verso un rock acidissimo, con Fatou che si dimostra abilissima anche alla chitarra solista e un hammond che condisce il suono, rendendolo forse un po’ retro, ma sicuramente affascinante, mentre la stessa diva canta, balla, si atteggia a sciamana, sacerdotessa e agitatrice politica, bellissima nel suo abito rosso e con la band che asseconda la leader in ogni momento. 
Dopo i tributi a Fela Kuti, padre dell’afro-beat, e a Nina Simone, il concerto prosegue ormai su suoni e ritmi decisamente rock e funk, con il pubblico che balla sotto il palco (e nel bis addirittura sopra il palco) e una decina di connazionali che cingono con la bandiera maliana Fatou, che, ormai in piena trance, inneggia all’unità dei popoli, delle genti africane e alla mescolanza di bianchi e neri nel nome dell’unica razza esistente, quella umana, non prima di aver citato persino Stevie Wonder in una vorticosa “Higher Ground”. Il festival Dromos andrà avanti fino al 15 di agosto, giorno in cui nel bellissimo borgo di Nureci è previsto il concerto di Seun Kuti con la storica band Egypt 80.



Qualcosa da dire. Intervista alla nuova stella maliana Fatoumata Diawara
Dopo il soundcheck, Fatou ci chiede di limitare la conferenza stampa a massimo tre domande (”Se non mangio entro cinque minuti svengo” ci dice). Si concede, gentilmente e con il sorriso, ad una breve chiacchierata sul sentiero che dalla platea del teatro porta al ristorante.

Rivoluzione è il tema della rassegna di quest’anno, quando hai attuato la tua personale rivoluzione ?
Verso i vent’anni, volevo cambiare la mia vita e la mia storia e ho deciso di andarmene da casa, infrangendo la tradizione; volevo riscrivere la tradizione, costruendomi un percorso di vita e un modello di pensiero come donna; sento che è grazie a questo che oggi posso stare su un palco, a rappresentare non solo il mio paese, ma le donne del mio continente

Parlando al presente: tu sei molto attiva riguardo temi sociali. Pensi valga la pena oggi attuare una rivoluzione, e in che misura ? Qual è il compito che ti assegni come essere umano e come artista ?
C’è un tema che mi sta molto a cuore e che è presente soprattutto in questo nuovo album, che è il tema delle migrazioni; dobbiamo ricordarci che siamo tutti esseri umani, e lo sono anche i migranti, che arrivano da un continente enorme; il nostro pianeta è come un enorme libro: conoscere i diversi paesi e le diverse culture è come leggere più pagine di questo libro. 
Invece di sottolineare le differenze, dobbiamo ricordarci che abbiamo tutti il sangue dello stesso colore rosso, e meritiamo tutti lo stesso rispetto; nasciamo tutti nomadi e ci muoviamo, abbiamo i piedi per camminare, viaggiamo e facciamo esperienze; voglio dire agli europei di permettere ai miei fratelli di arrivare qui: siamo diversi ? Forse, ma le differenze sono meravigliose. In Africa ci sono 55 stati, e ciascuno, secondo la propria provenienza, ha tante cose da insegnare, esperienze da mettere a disposizione, cibo, musica, danza, tradizione. Siamo capaci di amare e ci piacerebbe che l’amore ci torni indietro. La vita è corta per tutti, dobbiamo approfittarne per godere di tutte le belle cose che abbiamo a disposizione: Il mondo sta impazzendo, davvero, troppa sofferenza per niente.

Conosci bene l’Italia. Ti preoccupa questa ondata di razzismo?
Un po’debbo dire di sì. Viaggio tantissimo e ogni volta che torno in Italia mi ricordo di essere nera. 
L’Italia è uno di quei paesi dove ancora sento il peso di essere nera. Non credo ci sia cattiveria, ma solo che sappiano poco dell’Africa; mio marito è italiano e vivo in Italia da un po’di anni; abbiamo spesso considerato di andare via, ma è un posto molto bello e per il mio lavoro è fondamentale stare in Europa.

Il Mali ha conosciuto recentemente anni difficili, eppure è uno dei paesi che esportano più musica.
Il Mali è un paese dalla ricchissima tradizione musicale, soprattutto strumentale; storicamente gli strumenti vengono prima, la voce è venuta più tardi. La kora è il simbolo del paese, lo strumento degli antichi griot, è come il sitar per gli indiani, simbolo di identità e coesione. Abbiamo altri strumenti come lo ngoni, io stessa ho suonato il kamale-ngoni che è un po’ più piccolo della kora. Poi strumenti a percussione. La musica strumentale è soprattutto una cosa per uomini. Le donne cantano ma è difficile farlo nel nostro paese, ed è difficile affermare, in quanto donna, la propria posizione. “Fenfo” il titolo del nuovo album, significa “qualcosa da dire” e questo è il senso.

Gianluca Dessì

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