Paolo Angeli – Talea (RER, 2017)


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Abbiamo già parlato del chitarrista di Palau e del suo strumento, un pressoché mitologico ibrido fra chitarra, violoncello e macchina, che rende Paolo Angeli quasi un centauro, mezzo uomo e mezzo strumento. Il nuovo disco, il doppio dal vivo “Talea”, è la summa artistica della suo carriera, iniziata nel 1995 con l’album “Dove Dormono gli autobus” e destinata ancora ad essere luminosa e lunga. Il doppio CD è stato registrato durante i tour del 2015 e del 2016 in ben quattro continenti. Nonostante l’inusitata lunghezza, il disco è bellissimo e oltre a dare un’idea della bravura strumentale e compositiva del chitarrista gallurese coglie bene le due anime del protagonista: il musicista (e musicologo) immerso nella tradizione e lo sperimentatore, ardito ma cosciente, forte di una preparazione non comune e – diciamolo – di quella piccola dose che pazzia necessaria al compimento delle grandi opere. Al Paolo Angeli che sviluppa la tradizione appartengono sicuramente “Primavera Araba” e la “Corsicana” (mutuati dal repertorio del Canto a Chitarra), i due “Stabat Mater” (dai repertori paraliturgici di Aggius e Castelsardo) e la bella “Circolare” ispirato al suono e al repertorio a ballo delle launeddas. Paolo ha anche una voce interessante e mi piacerebbe che un giorno potessimo a sentirlo al servizio di brani che fossero ascrivibili alla forma-canzone. 
Ma la chitarra sarda preparata di cui è inventore e anche unico e sommo interprete da il meglio di sé in brani dove pizzicato, arco, ventole, pedali e distorsore possono esprimersi liberamente come nel sublime “Baska” o nei tempi asimmetrici di “Mascaratu” (entrambi originariamente in “Sale Quanto Basta”). Bellissimo l’omaggio a Pinuccio Sciola “Carezze alle Pietre”, dove lo scultore di San Sperate, recentemente scomparso, viene ricordato con un breve brano che ricorda il suono delle sue pietre sonore. Momento bellissimo è la suite “Mancina/Vlora” con uno strumming ostinato che si apre in un pizzicato gentile e in un archetto che ricorda per melodia e scomposizione ritmica il suono della gadulka bulgara. Un grande disco, per un artista che già con “Vostok”, il secondo disco della Piccola Orchestra Gagarin, aveva sfornato uno dei dischi più interessanti dello scorso anno. Per chi ancora non avesse intrapreso la conoscenza di questo grande musicista, è questo il disco da cui iniziare, non fatevi scoraggiare dalle due ore tonde di durata, vale la pena incrociare le proprie orecchie con uno dei musicisti migliori e più originali dell'intero panorama mondiale delle cosiddette nuove musiche.


Gianluca Dessì

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