#CONSIGLIATOBLOGFOOLK
Il viaggio sulle tracce della cultura tataro-polacca ha portato Karolina non solo nei villaggi di Kruszyniany e Bohoniki, ma in altri paesini del Voivodato di Podlachia in cui in passato era rintracciabile la presenza tatara, nei musei in cui sono custoditi prodotti della cultura materiale tatara e nella stessa città di Białystok, oggi centro della cultura tatara, in cui sono organizzazioni culturali e religiose impegnate nel promuovere l’antico retaggio turco-mongolo. La coppia di musicisti lavora da anni traendo ispirazione da una regione di transiti tra mondo occidentale e orientale, ma porta con sé un più ampio spettro compositivo che va oltre la musica di tradizione popolare. Nelle note suggestive dell’iniziale “Kirfiklere”, rilettura di un tradizionale dei Tatari del Volga, il morin khuur contrappunta le note del piano, richiamando sonorità mongole. Anche “Jal kajen” proviene dalla stessa area; qui Bart interviene con il canto armonico che evoca ancora le steppe asiatiche. Si cambia registro in “Dahdan da endi bir kozu” e “Arnawutlar” originarie delle popolazioni della Crimea, che costituiscono il corpus centrale del disco. Difatti, appartengono alla stessa area culturale anche la percussiva “Bahczalarda” e “Tawga bardim”, dove scacciapensieri, fisarmonica, voce e canto armonico costruiscono una notevole tessitura di rimandi di bordoni e melodia. Con “Jaz cite” ci spostiamo nella regione del Volga, dalla stessa area proviene “Tipir Umyrzaja”, in cui Bart recita forme di divinazione e augurali tratte dal Corano. Il fatto è che nella sua ricerca Karolina si è imbattuta in documenti letterari che attestano come i tatari nel XVIII e XIX secolo usassero commentare il Corano in polacco ma con caratteri arabi. Si riascolta con piacere “Umyrzaja”, già contenuta in “9 languages”. Il brano successivo, “Ej guziel Kyrym”, una struggente canzone della Crimea dagli echi klezmer e la chitarra elettrica di Serwer Aliev, racconta della deportazione dei tatari, accusati di collaborazionismo con i nazisti in Uzbekistan, operata da Stalin nel 1944 (All’Eurovision Song Contest del 2016, Jamala, una cantante d’origine tatara, rappresentante dell’Ucraina, ha portato sul palcoscenico la vicenda della popolazione ricollocata dalla Crimea). Più prossima alla musicalità anatolica è “Ireksez jeszlehem” che sfocia nelle liriche di Gabdulla Tukaj, poeta tataro della Russia del XIX secolo. Un coro di bambini, membri del gruppo di danza Buńczuk e della più ampia comunità di discendenza tatara, intervengono in “Jestesmy, jestesmy”, un altro brano costruito sull’imitazione del ritmo degli zoccoli dei cavalli dei nomadi delle steppe, le cui liriche sono state scritte dal poeta Musa Czachorowskiatar per presentare la condizione contemporanea dei tatari. Il booklet contiene note esplicative del percorso di studio e di ricerca dei due musicisti, i testi tradotti dei canti e informazioni sulla minornza di origine tatara in Polonia. “Tatar Album” non è un esercizio intellettuale, ma una ricerca creativa che prova ad immaginare musiche perdute senza perdere contatto con la realtà culturale e un’estetica sonora di oggi. Info: karolinacicha.eu
Ciro De Rosa
Tags:
Europa