L’eclissi degli anni ’40 e ’50. Il Bluegrass
Negli anni '40 il nuovo blues elettrico e il rhythm 'n' blues, per il solito problema del volume, ridimensionano di molto l'uso della chitarra acustica, incapace di competere con strumenti come contrabbasso, batteria e fiati. Negli anni '50 la rivoluzione del rock 'n' roll esalta tutto il fascino timbrico, ed anche glamour, della chitarra elettrica che diventa ora, e per sempre, la regina degli strumenti rock ed il simbolo stesso di un genere musicale. Allo stesso tempo ciò determina l'eclissi della chitarra acustica relegata per lo più in una posizione di semplice accompagnamento, incapace, anche per la tecnologia delle registrazioni dell’epoca, di competere con i "nuovi" strumenti elettrici. Nel 1939 il mandolinista Bill Monroe (1911-1996) fonda i Blue Grass Boys e con questo gruppo, e con Earl Scruggs al banjo, crea un nuovo stile che dal nome del gruppo si chiamerà bluegrass: questo genere viene identificato dai più come un particolare stile di country 1, di cui riprende il repertorio basato sulle antiche ballate popolari degli immigrati irlandesi, scozzesi e inglesi. Il bluegrass non è un genere vero e proprio, ma piuttosto uno stile esecutivo che si nutre di una tradizione popolare precedente, old-time, country, jazz, blues. Tipico di questo stile è però il tempo binario spesso molto veloce, o comunque abbastanza sostenuto e ballabile.
Negli anni '60 con Doc Watson (1923-2012) la tradizione del bluegrass viene reinterpretata sfruttando le potenzialità della chitarra come strumento principe, ma è Clarence White (1944-1973) che coi Kentucky Colonels emancipa definitivamente la chitarra acustica dalla funzione esclusiva di accompagnamento e la trasforma in uno strumento solista. Questo stile raggiunge forse il suo livello più alto con la Nitty Gritty Dirt Band, che nel disco Will the Circle be Unbroken (1972) riunisce due generazioni a confronto, ognuna coi suoi stili. Questi chitarristi hanno applicato lo stile del bluegrass alla chitarra acustica e hanno creato la tecnica flatpicking: le corde sono suonate sempre con una pennata alternata, riprendendo forse inconsapevolmente lo stile gipsy che era stato di Django Reinhardt (1910-1953) 2. Negli anni '70 Dan Crary (1939) e Norman Blake (1938) per primi, grazie anche ad una superiore capacità tecnica, si cimentano in brani strumentali per chitarra sola, più spesso per due chitarre, ma è certamente Tony Rice (1951) che riesce a portare al punto più alto le possibilità della chitarra acustica di matrice bluegrass riuscendo a miscelare anche elementi jazz. A proposito merita di essere segnalato il nostro Beppe Gambetta che è riuscito nell'impresa di "vendere il ghiaccio agli eschimesi", diventando un rispettatissimo chitarrista bluegrass, lui italiano di Genova, in America.
Il blues revival e la rinascita degli anni ’60
Per la storia della chitarra acustica solista è però di certo più importante l'ondata di blues revival che investì i primi anni '60 quando, grazie ad un rinato interesse per le radici della cultura americana e quindi anche di quella musicale nera, un manipolo di volenterosi etnomusicologi, talvolta un po' improvvisati ma certamente carichi di tanto entusiasmo (come Tom Hoskins, Bill Barth o Henry “Sunflower” Vestine) riporta alla ribalta i protagonisti della musica nera delle origini, come Skip James e Mississippi John Hurt, talvolta andandoli a ritrovare nelle campagne in cui erano tornati a lavorare dopo le incisioni degli anni '20-'30 (per le quali tra l'altro non avevano avuto alcun compenso da diritto d'autore da parte dell'industria musicale "bianca"). Tra questi c'era pure un giovane appassionato di blues rurale che lavorava in una pompa di benzina a Langley Park nel Maryland, e che un giorno decise con l'amico Ed Denson di partire per il sud per ritrovare il vecchio Bukka White (1909-1977) e fargli reincidere un disco. Questo ragazzo era John Fahey (1939-2001). John Fahey è sicuramente l'artefice della vera grande innovazione della musica per chitarra acustica solista, anzi, se non si può dire che ne sia stato l'inventore, è certamente stato quello che ha dato dignità artistica al genere, dimostrando come la chitarra, partendo dalle basi e
dagli stili tradizionali americani, potesse aspirare a diventare uno strumento totalmente autosufficiente e, come talvolta con forse troppa enfasi si dice oggi, una vera e propria orchestra su sei corde, pure teorizzando e definendo i principi e l'estetica di quella che lui stesso chiamò American Primitive Guitar 3. Anche se non si può parlare di una vera e propria scuola, l'esempio di Fahey spinse presto altri musicisti sulla sua stessa strada e lui stesso ne produsse alcuni con l'etichetta da lui fondata, la Takoma. Tra questi ad esiti diversi e pure notevoli giunge Robbie Basho (1940-1986), che partendo dagli stili della tradizione americana nutre la sua musica di suggestioni orientalizzanti. Parallelamente in Gran Bretagna qualcosa di simile accade laddove Davy Graham (1940-2008) per primo comincia a riproporre in chiave solista brani ispirati alla tradizione folk inglese 4, seguito subito da Bert Jansch (1941-2011) ma soprattutto da John Renbourn (1944-2015) il quale, dotato di una tecnica esecutiva certamente più raffinata, pur nella diversità dell'ispirazione, per il posto che occupa come modello di approccio musicale e per la notevole influenza su tantissimi chitarristi successivi si può in un certo senso considerare il Fahey inglese o europeo.
Gli anni ’70
Negli anni '70 un altro chitarrista esce dalla scuderia di Fahey, Peter Lang (1948), mentre la musica per chitarra acustica, in modo abbastanza imprevisto, comincia pure a conquistarsi un suo spazio nel mercato discografico.
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Il chitarrista che per primo raggiunge un successo quasi pop è ancora un prodotto di Fahey e della Takoma, Leo Kottke (1945), che all'approccio faheyano aggiunge una superiore abilità tecnica sullo strumento, oltre ad utilizzare spesso in modo assai originale la chitarra dodici corde. In questi stessi anni sono comunque attivi lo stesso John Fahey e Robbie Basho che, pure appartenendo cronologicamente alla generazione precedente, producono ancora adesso alcune tra le loro opere migliori. Dalla metà degli anni '70, passata la generazione dei vecchi padri del blues, e forse proprio per questo, col tentativo di conservare e perpetuare la memoria di un genere che è ormai sentito come un patrimonio culturale, nasce un nuovo revival del blues acustico. Il migliore interprete è certamente Stefan Grossman (1945), buon chitarrista ma più famoso per le innumerevoli pubblicazioni didattiche in cui, tramite libri o registrazioni di sue interpretazioni, descrive e "insegna" a suonare nello stile degli interpreti del blues rurale e del fingerpicking. Grossman è certamente un grande divulgatore (oltre che un abile businessman) e si deve molto anche a lui se nasce un vero e proprio "mercato" intorno alla chitarra acustica, grazie anche alle pubblicazioni della sua etichetta discografica Kickin’ Mule, fondata assieme al già citato Ed Denson.
Il chitarrista che per primo raggiunge un successo quasi pop è ancora un prodotto di Fahey e della Takoma, Leo Kottke (1945), che all'approccio faheyano aggiunge una superiore abilità tecnica sullo strumento, oltre ad utilizzare spesso in modo assai originale la chitarra dodici corde. In questi stessi anni sono comunque attivi lo stesso John Fahey e Robbie Basho che, pure appartenendo cronologicamente alla generazione precedente, producono ancora adesso alcune tra le loro opere migliori. Dalla metà degli anni '70, passata la generazione dei vecchi padri del blues, e forse proprio per questo, col tentativo di conservare e perpetuare la memoria di un genere che è ormai sentito come un patrimonio culturale, nasce un nuovo revival del blues acustico. Il migliore interprete è certamente Stefan Grossman (1945), buon chitarrista ma più famoso per le innumerevoli pubblicazioni didattiche in cui, tramite libri o registrazioni di sue interpretazioni, descrive e "insegna" a suonare nello stile degli interpreti del blues rurale e del fingerpicking. Grossman è certamente un grande divulgatore (oltre che un abile businessman) e si deve molto anche a lui se nasce un vero e proprio "mercato" intorno alla chitarra acustica, grazie anche alle pubblicazioni della sua etichetta discografica Kickin’ Mule, fondata assieme al già citato Ed Denson.
Il suo esempio fa proseliti anche in Italia, dove pure vivrà per un periodo, e le pubblicazioni, a volte davvero pionieristiche, di Andrea Carpi, Giovanni Unterberger e Reno Bandoni ne sono certamente l'eredità più importante: una serie di manuali su cui si formerà una intera generazione di chitarristi e appassionati italiani. Va aggiunto la grande popolarità che grazie a Grossman ottiene l'intavolatura 5, capace di rendere fruibile ad un pubblico più vasto un grande repertorio di brani tradizionali e non, ma che nel contempo ha anche alimentato una conoscenza un po’ dilettantesca della "forma" musicale. Infatti pur coi grandi meriti che gli si devono riconoscere, la “grande colpa” di Grossman è però quella di avere diffuso in questo modo un'analisi senza un'estetica, sfociata sovente in molti suoi epigoni in una sorta di "classicismo manierista" del fingerpicking.
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1 La formazione era mandolino (di tipo americano, a fondo piatto), chitarra, violino, banjo e contrabbasso, e questa resterà da allora la formazione tipo di ogni gruppo bluegrass.
2 A differenza di tutti i protagonisti citati finora, Django Reinhardt è un chitarrista europeo, uno zingaro belga attivo a Parigi negli anni '30-'40. Un vero "caso" musicale, dotato di uno stile del tutto particolare e originalissimo, che ha lasciato la sua impronta nei generi più disparati.
3 Il concetto stesso di American Primitive Guitar è in verità di per sé discusso e discutibile, ma è innegabile che una definizione simile, per quanto equivoca e passibile di diverse interpretazioni, chiarisca immediatamente il senso fondamentale di una precisa estetica, e soprattutto, per la prima volta in questo contesto, ne definisce una.
4 Non è provato che, come si legge talvolta, sia stato lui l'inventore dell'accordatura DADGAD, ma certamente è lui il primo e principale divulgatore.
5 Un sistema di notazione musicale che si basa sulla rappresentazione grafica delle corde su cui vengono indicate non le note bensì i tasti da premere, con una notazione del tempo notevolmente semplificata o talvolta assente. Un sistema che si rivela assai utile per la trascrizione in diverse accordatura, per le quali è impossibile pretendere che si possa conoscere per tutte la notazione reale su pentagramma. Un sistema certamente di facile approccio, ma che banalizza di molto la notazione musicale: certamente più evoluto il sistema del doppio rigo musicale (intavolatura + pentagramma) attualmente in uso per lo più sulle pubblicazioni di settore, che a mio avviso riunisce senza compromessi i vantaggi dei due sistemi.
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Strings