La parola Utilità delimita verticalmente il logo del Festival quasi a volerlo abbracciare e contenere tutto in una domanda che innerva il percorso di quest’anno: è utile produrre cultura con le modalità e le forme rappresentative attuali? Risulta efficace organizzare eventi, festival, rassegne, convegni e conferenze? Quali i fini di tanto dispendio economico?
Queste le premesse nell’editoriale di Giovanni Floreani, direttore artistico della manifestazione giunta ormai alla sua nona edizione, organizzata dall’Associazione Culturale Furclap in collaborazione con Novella del Fabbro. Dubbi di natura legittima quando si pensa alle svariate fiere culturali che cadenzano luoghi e tempi della produzione nazionale rasentando spesso il limite dell’autocelebrazione e dell’autoreferenzialità in architetture organizzative non rinnovate. Il Festival si è quindi concesso di ripensare, alla luce della dicotomica alternanza utile/inutile, un’idea di cultura svincolata dai sistemi economici di produzione ed inserita in un immaginario luogo di diritto, in cui ognuno di noi è chiamato a partecipare. «Fare cultura» sottolinea Floreani nella sua presentazione «dovrebbe essere espressione del quotidiano di ciascuna persona, nella propria casa, tra i propri amici». Gesti semplici, come riunire un gruppo di persone nel piccolo paese carnico di Givigliana, nel cuore dell’estate, per un simposio sull’utilità.
In linea con la pratica conviviale antica, il comitato scientifico del Festival ha deciso di abbandonare la città e di raggiungere un luogo suggestivo e lontano da qualsiasi possibile elemento di disturbo per poter riflettere e discutere intorno al concetto di utilità, evidenziando quanto la società moderna sia orientata alla soddisfazione immediata dei propri bisogni, dimenticando il fine, il motivo per cui desidera lo strumento, il mezzo. Un gesto semplice ma al contempo significativo, quello di poter riunire insieme persone di età e provenienze diverse, la presenza dei giovani segna la prima sostanziale novità dell’edizione 2016, giovani che sono stati coinvolti nell’organizzazione della manifestazione come attori, presentatori, fotografi e cameramen, con la precisa volontà di creare per loro uno spazio “a lato” di chi, come Floreani, lavora ormai da tempo come operatore culturale. Una pratica che vuole essere portata avanti negli anni nel senso del passaggio del sapere, altra possibile lettura del tema “utilità” che comporta la trasmissione di generazione in generazione dei valori materiali di una cultura in essere.
Dalla giornata di incontro a Givigliana è anche emersa l’immagine simbolo della nona edizione, che sin dai suoi esordi ha sempre adottato la forma circolare, e che quest’anno è rappresentata dal fondo di un secchio di una vecchia fontana del paese.
Un’immagine suggestiva che fa da cornice alla carrellata di eventi che hanno preso inizio nel mese di maggio in Alsazia, a Belfort, con il progetto SOUNDStories (Strepitz & Area Open Project) partecipando al Festival International de Musique Universitaire. Giovanni Floreani, Paolo Tofani, Claudio Milano e Evaristo Casonato i protagonisti di questo evento che si è successivamente realizzato a Basaldella (Ud), a Trieste, nel sito archeologico di Velia (Sa), patria della scuola filosofica eleatica di Parmenide e Zenone, a Marcellina (Roma) e a Belgrado in collaborazione con il Cultural Center of Belgrade.
L’intreccio degli eventi è, come ormai consuetudine, costruito su più assi portanti progettuali. “Forme Arcaiche di Poetica Popolare” il titolo di tre interessanti iniziative, svoltesi nel mese di giugno, dedicate all’ottava rima, alla forma ottonaria e alla forma della fronna campana, svoltesi nel mese di giugno a San Vito al Tagliamento (Pn), al Museo Etnografico di Udine e a Savorgnano al Torre (Ud) alla presenza di alcuni fra i maggiori esperti di queste pratiche popolari: dai maestri di canto a braccio Pietro De Acutis e Giampiero Giamogante al cantore pellegrino, come usa chiamarsi, Vincenzo Romano, ai canti a distesa del territorio campano proposti da Antonio Giordano (della Compagnia D’Altrocanto). La tematica dell’ottava rima e della rima ottonaria tipica della villotta friulana sono state riprese nelle giornate centrali del Festival a Barazzetto (Ud) e a Rigolato (Ud) con David Riondino e Beppino Lodolo. Ambasciatore a volte discusso della cultura popolare friulana nel mondo, Lodolo ha cantato alcune delle più importanti villotte friulane alternandosi a Riondino che, con sublime maestria, ha narrato dell’ottava rima recitando parte di una versione ottocentesca (di autoria di Giuseppe Moroni, detto Il Niccheri) in versi dedicata alla Pia’ de Tolomei che ritroviamo nel V canto del Purgatorio di Dante.
Oltre al video “Europa - I luoghi della cornamusa” proiettato a Salars, in provincia di Udine, nel mese di luglio si è parlato e cantato a Stolvizza, in val Resia, di tradizioni popolari, di antiche reminescenze longobarde, di varianti linguistiche e di strumenti musicali popolari di antiche origini, mentre ad agosto a Farra d’Isonzo si è svolta la seconda edizione di “Canti al Vino”, una tre giorni di musica e perfomance teatrali legati alla cultura del vino e alla sua celebrazione.
Intorno alla Giornata del Festival, quest’anno domenica 2 ottobre, alcuni appuntamenti hanno visto protagonista lo spazio di coworking, design e eventi Lino’s & Co. di Udine, la sede della storica ex tipografia Doretti in cui Ungaretti nel 1916 stampò la sua prima antologia di poesie “Il porto sepolto”: la voce come protagonista di alcuni seminari condotti dall’etnomusicologa slovena Ljoba Jenče sulla cultura e tradizione musicale popolare slovena e da Claudio Milano, voce sperimentale tra le migliori del nostro paese. Seminari pensati come luogo in cui più che regole di tecnicismo vocale potessero risaltare le diverse esperienze di ogni singolo docente, le peculiarità legate alla lingua e alla cultura che veicolavano.
E questo si è maggiormente evidenziato nel percorso sperimentale, inizialmente chiamato “Le voci delle religioni”, nato dalla collaborazione del Festival con una Onlus di Udine, Nuovi Cittadini, che da anni si occupa di accoglienza di immigrati. Claudio Milano insieme ad alcuni stranieri che l’Associazione ha coinvolto, ha realizzato, attraverso un laboratorio articolato in tre incontri, una performance vocale con Sheraz, un ragazzo pakistano e Nadija, fisarmonicista ucraina in cui si fondevano i diversi procedimenti canori liturgici dando vita a nuove sonorità che trascendevano ognuna delle fedi.
Dalla ormai consolidata consuetudine di portare il Festival nei luoghi della tradizione, sparsi in Italia e in Europa, con reti di connessione che generano e moltiplicano le possibilità dell’incontro si è potuto assistere, il 2 ottobre, al mondo che si affacciava sul paese di Rigolato. Uno degli eventi più significativi di tutto il Festival è stato proprio il contributo di Claudio Milano, che, durante i concerti itineranti, che si sono svolti nel pomeriggio di domenica presso il Bar Giussetti, il Bar Alle Belle Arti e l’osteria Al Fogolar, si è trovato un pubblico proveniente dai più svariati angoli del mondo, che ha incominciato a cantare.
Il canto è stato portato in piazza e più tardi nella chiesa di San Giacomo a Ludaria, dove si è tenuto il concerto finale del festival. Afghanistan, Ucraina, Eritrea, Pakistan, Nigeria, le voci di queste persone, insieme, hanno creato un muro di suono, culture provenienti da tutto il mondo si fondevano con le loro modalità di canto, con i loro usi di intervalli, di melodie, di armonie, generando, cito le parole di Claudio Milano, “un’ autentica elevazione”.
La voce ancora, come nella performance con incursioni elettroniche di Paolo Tofani “La voce delle pietre” con i sassi dell’alveo del Tagliamento della zona di Ragogna e l’opera in pietra di Pinuccio Sciola (San Sperate Cagliari), svoltasi a settembre a Verzegnis (Ud).
La voce dei canti nella processione di domenica 2 ottobre a Givigliana, un raro esempio di canto patriarchino a cura dei Cantuors di Sant Jacom, di Rigolato, che grazie all’attenzione di pre’ Zef Cjargnel, don Giuseppe Cargnello, della Pieve di Gorto, uno tra i massimi esperti di canto patriarchino aquileiese, da oltre dieci anni parroco del paese, hanno ripreso dal 2004 a cantare a voci miste (il canto era tradizionalmente riservato alle voci maschili) accompagnando le funzioni religiose della comunità.
Nella messa di Givigliana, racconta il referente dei Cantuors, Franco Candido, è stata cantata la liturgia solenne, con alla conclusione della messa il “Laudate dominum omnes gentes” esclusivo di tali celebrazioni. Una processione molto sentita, quest’anno, nonostante un clima ostile che non permetteva di vedere la meravigliosa vallata sottostante, ma che non ha impedito al celebrante d’onore, Don Loris Della Pietra, originario di Mieli di Comeglians e Rettore del Seminario Interdiocesano di Castellerio “S. Cromazio di Aquileia”, di benedire, come di consuetudine, le croci di San Marco o croci di Lorena, secondo un uso, recuperato da qualche anno grazie al Festival, che si era smesso intorno agli anni ’60. Recupero a cui si aggiunge quest’anno la ripresa del percorso che collega Rigolato a Salars con il progetto “Ho viaggiato verso Sant’Anna” che ha visto gli interventi artistici dell’attrice Daniela Gattorno, di Giovanni Floreani e del gruppo di cantori di Ludaria, in un’immersione nella sacralità arcaica degli spazi rurali di cui anche il canto spontaneo è espressione. E legate alla figura di questa santa, emblema di unione, fratellanza e amore, les Nevodutes di Sant’Ane, le nipotine di Sant’Anna o Cjantarins, Canterine, un gruppo di giovani ragazzine seguite da don Cargnello che hanno aperto il concerto finale del Festival nella chiesa di San Giacomo.
Canti spontanei sono nati alla conclusione del rito della messa e dei saluti del sindaco Emanuela Gortan Cappellari, con i Cantuors di Sant Jacom e il trio vocale delle Vocinconsuete, ospiti del festival insieme ai già citati Ljoba Jenče, Claudio Milano, Antonio Giordano e Paola Tozzi e David Riondino. Piccoli concerti itineranti per il paese nel pomeriggio, il concerto finale nella chiesa con in conclusione, in assenza del tradizionale canto di Ada Zanier, moglie di Lido Zanier, fondatore del Gruppo vocale di Givigliana, Ljoba Jenče a cantare una melodia slovena.
Il Festival si chiude sulle parole di Giovanni Floreani, che annuncia il tema del prossimo anno, la disobbedienza intesa come «l’essere se stessi, con coraggio e sentire il desiderio ed il diritto di dire quello che si pensa di fronte agli altri senza sentirsi sovrastati da una dinamica di sistema», unica forma possibile di evoluzione di una società che guarda non tanto al beneficio della materia quanto a quello dell’anima.
Orietta Fossati
Foto di Luca D’Agostino
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