Musicista di estrazione colta, compositore raffinato, intellettuale e critico musicale, figura centrale della seminale stagione de I Cantacronache – vale a dire di quel gruppo torinese il cui intendimento era il rinnovamento della canzone italiana, mosso dalla necessità di ’evadere l’evasione’ – Sergio Liberovici ha dato anche un contributo fondamentale alla documentazione etnomusicologica di tradizione orale. Del 1956 sono le sue registrazioni in Val d’Aosta, è di dodici anni dopo – era l’aprile del 1968, a due anni dall’alluvione che aveva colpito le terre lagunari – il suo lavoro sul campo nel Delta del Po. Al viaggio e ai documenti sonori raccolti da Liberovici nel Polesine è dedicato il dodicesimo volume della collana Aem (“Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia”), pubblicato dall’editore romano SquiLibri in collaborazione con la rodigiana Associazione Culturale Minelliana. Il volume è curato da Paola Barzan – musicista ed etnomusicologa, accademica dell’Università di Padova –, che ha selezionato le tracce e sistematizzato l’apparato documentario sonoro proposto nei ben tre CD allegati alla pubblicazione. Nel saggio “Le ricerche sulla musica tradizionale in Polesine” Barzan passa in rassegna, inoltre, le campagne di rilevamento che hanno interessato il territorio: dalle coeve raccolte di Sergio Libervoci e Antonio Cornoldi, al precedente passaggio di Lomax, dall’interesse di Luisa Ronchini e Gualtiero Bertelli, fino alle campagne di registrazioni più recenti. Tra queste ultime spiccano il lavoro di Roberto Tombesi del gruppo Calicanto, che ha indagato soprattutto i repertori strumentali, e l’attività del Centro Etnografico Adriese, svolta in collaborazione con l’associazione Minelliana. Dall’indagine di fine anni Sessanta condotta dallo studioso piemontese, si rivela un territorio quanto mai ricco in termini di varietà esecutive e di particolarità repertoriali, a dispetto della sua limitata estensione e nonostante che all’epoca fosse ancora isolato sul piano tanto geografico quanto culturale. L’opera rende disponibile alle comunità locali, agli studiosi, ai musicisti, a chi ama queste sonorità distanti nel tempo ma notevoli e uniche sul piano estetico, la quasi totalità dei brani contenuti nella Raccolta 117 (sono circa 200), conservata nell’Archivio dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Dai tre CD sono stati esclusi unicamente frammenti non ben identificabili, testi di difficile comprensione e canzoni d’autore di musica leggera, laddove non vi si ravvisassero elementi di interesse musicologico nel passaggio all’oralità. Il ‘foresto’ Liberovici registra nelle tre isole di Polesine Camerini, Ca’ Venier e Donzella, scoprendo un luogo di confluenza di tradizioni musicali dal sud e dal nord dell’Italia. È soprattutto dalla voce della bracciante di risaia Angela Binatti, abitante a Tolle (alla cui figura di testimone della tradizione Chiara Crepaldi, autrice anche delle trascrizioni musicali contenute nel volume, dedica il suo saggio “Angela, una voce nel Delta”) a impressionare il ricercatore, che ne riconosce non soltanto le spiccate doti canore, ma il suo essere depositaria di un consistente repertorio (canti narrativi, villotte, canti conviviali, canti di monda, canzonette, canti burleschi, canti propagandistici, canti rituali, canti del repertorio dei cantastorie). Ecco che due dei tre CD (vale a dire 45 brani) contengono canti della Binatti (scomparsa nel 1997), mentre il terzo dischetto, che consta di 39 tracce, fissa le registrazioni tra Basso e Alto Polesine raccolte a Calto, Scardovari e Polesine Camerini. Anche in queste località c’è testimonianza di un variegato patrimonio musicale quasi totalmente canoro con un’unica testimonianza di repertorio strumentale per fisarmonica. Tra l’altro, i dischi si aprono e chiudono con due estratti dedicati al paesaggio sonoro polesano registrati da Liberovici il primo e l’ultimo giorno di rilevamento. L’introduzione del volume è il denso saggio del compianto Febo Guizzi dal titolo “Il programmatico zigzagare. Modello etico e sfida metodologica in Sergio Liberovici etnomusicologo”, che diventa riflessione non solo sull’opera del ricercatore torinese nel contesto della nascente etnomusicologia italiana, ma sul senso del “ritornare sugli archivi”. Flavio Giacchero in “Uno sguardo sonoro: arte, ricerca e pensiero di Sergio Liberovici”, e Paolo Rigoni, ne “Il Delta dei sospiri. Note di viaggio di Sergio Liberovici alla foce del Po”, contribuiscono a inquadrare la figura dello studioso, collocandola nella dimensione della ricerca polesana, e ancora a delineare il contesto sociale, culturale ed economico nel quale si svolge la campagna. Il volume accoglie anche un piccolo apparato fotografico. Benché possieda un impianto saggistico scientifico, “Musiche tradizionali in Polesine” è libro di agevole lettura anche da parte dei non addetti ai lavori, e soprattutto, ci porta in un mondo culturale e sonoro unico.
Ciro De Rosa