Da anni la voce cartacea del Circolo della Zampogna di Scapoli (IS) è una rivista di divulgazione scientifica a tutti gli effetti, naturalmente incentrata sulla ricerca e sull’attualità del mondo degli aerofoni popolari. Diamo conto della pubblicazione di due numeri, relativi alle annate 2014 e 2015, del periodico distribuito gratuitamente ai soci dell’associazione culturale molisana (www.zampogna.org), che a novembre ha compiuto venticinque anni di vita. Accanto all’editoriale di Antonietta Caccia (presidente del Circolo), agli articoli che testimoniano l’impegno e i riconoscimenti internazionali del sodalizio scapolese, alle rubriche consolidate (Zampogne sul pentagramma e Miscellanea Zampognara, quest’ultima curata da Mauro Gioielli, che di “Utriculus” è il direttore responsabile) nel n. 48 si segnalano, anzitutto, due interessanti interventi di Valter Biella. Il primo ha un taglio operativo (“Alcune riflessioni su come fotografare e disegnare cornamuse e altri strumenti etnici a fiato”), il secondo è di carattere storico-organologico (“La müsa delle ‘Quattro Province’”), dove si analizza lo strumento che ha accompagnato il piffero nell’area appenninica transregionale fino ai primi decenni del Novecento, prima di essere scalzato dalla più versatile fisarmonica adatta a suonare i nuovi balli. Restando in Molise, due interventi, uno di Antonio Fanelli (“Le tradizioni del futuro”), l’altro scritto a quattro mani dallo stesso Fanelli con Giuseppe Moffa (“La zampogna a Riccia”) mettono al centro del discorso il ruolo di musicisti sperimentatori e innovatori del repertorio degli aerofoni a sacco, proprio come “Spedino” Moffa. Olga Ambrosiano si occupa, invece, della Sumoud Guirab, una band palestinese (di uomini e donne) attiva nel campo profughi di Burj al Shemali in Libano, che soffia nelle cornamuse scozzesi lascito della colonizzazione britannica (“La cornamusa… resistente!”).
Fresco di stampa è il volume 49-50, che copre l’anno 2015. Il numero accoglie l’intervento di Gioielli: “Gli aerofoni a sacco italiani dall’antichità all’epoca moderna”, un compendio che riprende il paper presentato a una conferenza del 2008 in Francia. Sul fronte musicale revivalistico, Angelo Bavaro si occupa di una formazione storica del panorama neo-tradizionale italiano come i Musicanti del Piccolo Borgo (“Musicanti del Piccolo Borgo.
Quarant’anni di musica etnica dell’Italia centromeridionale”). Invece, Anna Donatella Rega propone un focus su un’altra figura di punta dell’innovazione compositiva ed organologica zampognara: il pugliese Nico Berardi (“Emanuele ‘Nico’ Berardi. Un amore chiamato zampogna”). Ritroviamo Valter Biella, che questa volta presenta uno studio sul baghèt bergamasco (“Il baghèt. Note organologiche su metodologie di progetto e costruzione delle antiche cornamuse bergamasche”). Di ben altro tenore il secco, ma deciso intervento: “Per il Molise, il futuro non è altro che uno storytelling”, dove Antonio Ruggieri mette a fuoco gli anni in cui il Festival della Zampogna di Scapoli ha raggiunto livelli artistici con pochi eguali in Italia, non risparmiando critiche alle politiche culturali delle amministrazioni locali che hanno volutamente accantonato un progetto culturale unico che per pochi anni ha fatto uscire il Molise dalla sua marginalità. Proprio di quegli anni formidabili (1996-2002) parla Maurizio Agamennone in “Le zampogne e l’orchestra… La Mainarda”. L’etnomusicologo, protagonista di quella fertile stagione, come direttore e consulente scientifico, negli stessi anni in cui si ideava e si iniziava a tracciare il fortunato progetto de “La Notte della Taranta”, di cui sempre Agamennone è stato uno degli artefici. Si comprende come tra i due festival ci siano state motivazioni condivise, scambi di idee, di esperienze e di collaborazioni. Parliamo di vicende quasi anomale per il nostro Paese, per la capacità di riunire in una dimensione sopranazionale (i finanziamenti del festival internazionale della zampogna di Scapoli venivano dalla UE, ma di statura internazionale erano anche i tanti musicisti che hanno preso parte alla manifestazione), intorno al tema degli aerofoni a sacco, la forza ’militante’, organizzativa e di expertise del Circolo della Zampogna, numerosi compositori colti ed extra-colti, musicisti di ampia provenienza e l’Università del Molise, il Conservatorio. In quella cornice, la «cifra della programmazione» - come sottolinea nel suo scritto Agamennone - non solo intendeva valorizzare strumenti, suonatori ed artigiani locali, ma considerava gli aerofoni del mondo agro-pastorale in grado di «sostenere un confronto efficace, bilanciato, credibile ed emozionante con la contemporaneità, con l’invenzione musicale di oggi, il sentire dei musicisti attivi nel presente, di appassionati esigenti e di ascoltatori curiosi e intraprendenti» (p. 17). Dunque, Scapoli e il suo festival al centro d’Europa, simbolo di creazione, a partire da risorse umane, materiali ed immateriali locali, ma in dialogo continuo con la musica mondiale. Era questo il clamoroso dato emerso da quegli anni fecondi. Così non è stato più; le politiche culturali locali si sono mostrate incapaci (o hanno agito deliberatamente) di proseguire su quel percorso che coniugava creatività ed elevato profilo culturale, facendo del borgo molisano uno dei più “luoghi della musica” del nostro Paese.
Ciro De Rosa
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