Paolo Fresu & Omar Sosa, Aula Magna Università La Sapienza, Roma, 3 novembre 2015

Ore 20.45 decollo del volo charter musicale sulla rotta Italia – Cuba – Italia. Pista di decollo è l'Aula Magna della Sapienza di Roma, il pubblico dei passeggeri in sala attende di sorvolare il Mediterraneo, l'Oceano e giungere fino ai Caraibi. Le persone, in fila fuori al Botteghino, abbandonano sconsolate il Rettorato, è sold out, siamo già oltre le capacità effettive dell’aeromobile. In cabina di comando c’è il pilota sardo Paolo Fresu, fra le mani tromba e flicorno al posto della canonica cloche. Il copilota, invece, è il cubano Omar Sosa, che muove le dita su pianoforte e tastiere come sulla console dei comandi di volo. Non c’è da dubitare che più della metà dei presenti sia lì per il pilota, quel Fresu, ormai ampiamente riconosciuto come uno dei migliori trombettisti al mondo, vincitore negli ultimi trent'anni di moltissimi premi e direttore di importanti festival jazz. L’uomo al suo fianco, in tunica bianca e viso sorridente, desta probabilmente la curiosità maggiore e chissà, forse anche perplessità. Chiama Paolo «il mio fratello maggiore» è questo dice già tanto sul loro rapporto. Solo qualche minuto, appena un cesto di note offerto ai passeggeri come omaggio di benvenuto, e diventa subito chiaro che Omar Sosa è più di una piacevole sorpresa. Posizionato con le spalle al pubblico, rivolto esclusivamente verso i suoi strumenti, tabernacoli musicali, con indosso la lunga veste bianca, il pianista cubano somiglia a un sacerdote del rito pre-conciliare. 
D’altronde l’inizio dell’esibizione, affidato agli electronics, è potentemente mistico. Subentrano poi i suoni pesanti, tasti pestati a mano aperta da Sosa come zampe di un elefante, che fanno vibrare l’Aula Magna, infine si inserisce Fresu e i due sembrano sposarsi perfettamente. Sebbene il concerto si presenti apparentemente come una riproposizione live di “Alma”, disco uscito nel 2012 per l’etichetta Tŭk Music (fondata da Fresu stesso) costituito da undici tracce equamente divise nelle firme dei due protagonisti, già l’apertura con il brano “Rimanere Grande”, in realtà traccia di chiusura dell’album, palesa la non prevedibilità dell’esperienza musicale incorso. Che senso ha ascoltare un concerto incentrato su un disco uscito a tre anni fa? Lasciamo rispondere lo stesso Fresu, con le parole che questi rilasciò a Daniele Vogrig – allora studente della Sapienza, oggi studioso pucciniano – quando nel 2013 il musicista sardo si esibì sempre per la IUC in questa Aula Magna con Cristina Zavalloni & Brass Bang: «Sono una persona abbastanza razionale, ma il momento della musica, dell’esecuzione o della creazione rappresenta un momento in cui ci si lascia andare completamente, cercando un qualcosa che è poi il mistero fondamentale della musica, che fa sì che ogni giorno non si sappia dove si deve andare, che ci sia questa idea dello scoprire e del cercare cose nuove. 
Il jazz poi è la musica, nel senso che non possiamo fare due concerti uguali, altrimenti non sarebbe jazz». La riproposizione live di “Alma” in questa stagione concertistica 2015-16 dell’Istituzione Universitaria dei Concerti, è stata in grado non sono solo di tradurre in emozioni i brani, i suoni e le note musicali raccolti nelle sessioni di registrazione nel maggio 2011, ma ha permesso anche ai due interpreti di rimettersi in gioco, di mettere da parte le certezze per provare a cercare cose nuove, emozioni nuove. Questa, forse con un azzardo, si potrebbe definire “la poetica del jazz”. Si alternano momenti di tenerezza e attimi di raffinata tecnica. Spesso è Sosa a dipingere un placido mare sonoro di tastiere e pianoforte sul quale volteggia come un gabbiano Fresu con la sua tromba. D’altronde il suo continuo muoversi sul palcoscenico, prima seduto, poi in piedi, quindi in movimento intorno al pianoforte, infine inginocchiato, richiamano proprio la spensieratezza di un uccello. Il risultato è incredibilmente una musica rilassante e al tempo stesso dinamica È il caso, ad esempio, di “No Trance”, “Moon in the Sky” e “Alma”. Una particolarità balza all’orecchio: la maggior parte dei brani non terminano con finali eclatanti, quelli che strappano l’applauso immediato, ma piuttosto con un immergersi della musica, il suono vigoroso diventa tellurico fino a spegnersi. Il pubblico resta rapito quasi che quella musica, divenuta soffusa, si sia trasferita dal palco al proprio animo. 
Qualcuno applaude maldestramente, perché Fresu ricomincia il suo moto perpetuo e parte con un nuovo brano senza dare tempo a interruzioni. Emozionante senza dubbio la cover di “Caruso”, sentito e apprezzato omaggio a Lucio Dalla; è il pianoforte di Sosa ad accennarla, ma a Fresu spetta darle libero sfogo, il suo flicorno somiglia ad una voce straziata e straziante. «Se faccio un concerto e non c’è emozione per me è un concerto un po’ perso. Per cui penso poco alla musica in senso matematico, penso soprattutto al suono ... Quando c’è un suono che ci piace, che ci alimenta, che ci riempie allora le cose vengono da sole, bisogna solo lasciarsi trasportare». Se l’obiettivo era trasportare il pubblico in un mistico viaggio acustico e musicale, allora ben venga aver scelto la Sosa - Fresu Airlines. 

Guido De Rosa
Foto di Damiano Rosa
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